I tagli lineari sulla Costituzione

L’accetta dei tagli lineari indiscriminati si abbatte sulla Costituzione. Di questo si tratta quando ci occupiamo della modifica costituzionale oggetto dell’imminente referendum del 20 e 21 settembre.

Una banalissima operazione contabile che investe la Costituzione in uno dei suoi aspetti fondanti e fondamentali: la rappresentanza politica, strumento principe attraverso cui si esprime la sovranità popolare.

Non si può ridurre tutto a un mero aggiustamento numerico dei rappresentanti parlamentari, perché la misura del taglio (36,5%) va ben oltre il semplice aggiustamento e ci porta ad avere di gran lunga il peggior rapporto alla camera bassa tra abitanti e deputato (1 oltre 150.000 abitanti, qualsiasi altro paese ha un rapporto molto più favorevole) e uno degli ultimi tra i paesi che dispongono di una camera alta: peggio di noi ci sarebbe solo la Polonia, il cui Senato ha poteri legislativi ridotti e non ha un rapporto fiduciario con l’esecutivo, e la Germania, la cui camera alta – Bundesrat – è una assemblea federale che rappresenta i Länder e si occupa di determinate materie, quindi non paragonabile al nostro Senato che ha la stessa identica funzione della Camera.

Non si può nemmeno affermare che questo taglio aumenta l’efficienza del parlamento e avvicina il Parlamento ai bisogni dei cittadini.

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Zingaretti, Bersani … non ci siamo!

La cultura progressista, riformista e di sinistra sta replicando scelte sbagliate del passato; scelte che hanno favorito il degrado istituzionale svilendo la costituzione a strumento di lotta politica nelle mani della maggioranza di turno e a merce di scambio in accordi di potere, mentre persiste l’incertezza sulle regole elettorali, una delle cause della instabilità politica. In soli 26 anni abbiamo cambiato 5 leggi elettorali nazionali e ci apprestiamo a varare la sesta.

Dal 1993 viviamo sotto il rischio che una minoranza politica, per effetto del sistema elettorale, possa assumere il controllo assoluto del parlamento, eleggersi il proprio presidente della repubblica, controllare la corte costituzionale, modificare a piacimento la Costituzione senza nemmeno l’impiccio di un referendum se questa minoranza dovesse disporre, per meccanismi di ingegneria elettorale, dei due/terzi del parlamento.

Il centro-sinistra dopo aver impiegato 26 anni per rendersene conto, nuovamente se ne dimentica, mentre in questi 26 anni si è cincischiato con leggi elettorali indecenti (italicum e rosatellum, dopo aver lasciato colpevolmente in vita il porcelum e non aver corretto il mattarellum) e riforme costituzionali pasticciate e dannose.

Oggi dobbiamo fare i conti con una maggioranza che si è costituita su un patto che prevedeva l’approvazione della riduzione dei parlamentari.

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La Costituzione in mani inadeguate

Sembra essere un destino: bugiardi o incompetenti che si improvvisano costituenti.

E desta anche preoccupazione che la stragrande maggioranza dei giornalisti non si renda conto di ricevere menzogne in risposta alle proprie domande, limitandosi a fare gli amplificatori dei politici.

Avviene così che una giornalista chiede al ministro Fraccaro (M5S) se andrà avanti la proposta di riduzione delle indennità parlamentari e si sente rispondere che “questo, lo sa benissimo, è di competenza dell’ufficio di presidenza della Camera (…); devo rispettare l’autonomia del Presidente della Camera”.

Come dire, vorrei farlo ma non posso.

Niente di più falso, come Fraccaro sa benissimo, e se non lo sa provi a documentarsi prima di parlare.

E’ infatti una legge della Repubblica (Legge 31 ottobre 1965, n. 1261) che affida agli uffici di presidenza delle camere il compito di determinare le indennità dei parlamentari indicando il tetto massimo che non deve essere superato: “che non superino il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate”.

Sufficiente modificare questa legge per abbassare il tetto o addirittura stabilire direttamente le indennità togliendo questo compito agli uffici di presidenza.

Fraccaro, bugiardo o incompetente? Non lo so, ma certamente inadeguato alla funzione che ricopre. Continua a leggere

Il costo della democrazia

Candidarsi alle elezioni politiche costa.

Forza Italia ha messo nero su bianco le proprie regole di ingaggio: euro 30.000 come una tantum alla accettazione della candidatura e euro 900 entro il 10 di ogni mese per gli eletti.

Ovviamente, il contributo può arrivare da terzi che così potranno anche approfittare delle agevolazioni fiscali. Tutto nella opacità più totale, come già avviene con le fondazioni politiche. Sui nomi dei finanziatori c’è sempre la massima riservatezza.

Costi importanti anche per la Lega; si vocifera di un contributo di euro 20.000.

Nel PD c’è un contributo mensile di euro 1.500 a carico degli eletti, ma si vocifera che per essere candidato in determinati collegi come capolista occorre essere generosi con il partito.

Il Movimento 5 Stelle prevede il taglio di una parte dello stipendio, che viene devoluto al fondo per l’accesso al microcredito, e un contributo di 300 euro mensili per sostenere l’associazione Rousseau.

Sparito il finanziamento pubblico ai partiti, dobbiamo fare i conti con il finanziamento privato al candidato, che poi saprà come ricompensare gli sponsor …

Mentre i vecchi partiti sono in crisi, si moltiplicano le fondazioni politiche, oltre 100, strettamente legate a politici e a strutture partitiche, ma solo poche pubblicano i bilanci e rendono noti i loro finanziatori. Nonostante i tanti progetti legislativi, siamo in un campo senza regole che non conosce trasparenza.

Il rischio maggiore è che le Fondazioni si trasformino in collettori di finanziamenti politici ed elettorali.

I finanziamenti possono arrivare anche da Enti pubblici e Istituzioni. Per esempio, il Ministero degli esteri retto da Alfano ha elargito un contributo di 20.000 euro alla Fondazione De Gasperi presieduta da Alfano …

In assenza di una legge regolatrice le fondazioni vivono nell’opacità. A ciò si aggiunga che manca in Italia una legge sulle lobby, nonostante siano stati presentati una cinquantina di progetti di legge!

Il quadro si complica se all’intreccio opaco tra gestione finanziaria dei partiti, ruolo delle fondazioni, finanziamenti pubblici discutibili … si aggiunge un sistema dei partiti per nulla democratico e trasparente nei suoi processi decisionali. Continua a leggere

Berlusconi o Di Maio?

Berlusconi o Di Maio?

Domanda imbarazzante? No, fuorviante e ingannevole.

Nel nostro sistema parlamentare non ci troviamo nella condizione di dover scegliere tra A e B; può piacere o non piacere ma è così. Mai ci siamo trovati in questa situazione perché nessun governo della Repubblica è stato eletto dai cittadini e mai i cittadini hanno votato il candidato premier disgiuntamente dalle liste di partito (vedi modello elettivo per i sindaci).

Porre, quindi, queste alternative equivale a rafforzare una percezione distorta della realtà politica e istituzionale: si offre una lettura politica in cui l’immaginazione e la messinscena prevalgono sulla realtà.

Continuare a proporre una contrapposizione tra due soggetti, come fossimo allo showdown, non aiuta a comprendere la realtà e a favorire il corretto confronto tra le forze politiche.

Il nostro sistema di governo è di tipo parlamentare: gli elettori scelgono i propri rappresentanti politici e questi dovranno trovare il comun denominatore per costituire una maggioranza e sostenere un governo, che nasce in Parlamento. Continua a leggere

Al voto, al voto!

Perché precipitarsi al voto?

Abbiamo importanti scadenze finanziarie, ci sono in discussione leggi sinora considerate urgenti, tra queste la riforma del processo penale, occorre mettere in sicurezza i conti pubblici anche per evitare sanzioni a livello europeo.

Come se non bastasse c’è la legge di stabilità che il Governo dovrà presentare in parlamento entro il 15 ottobre per essere approvata entro fine anno.

Su tutto ciò grava il rischio della speculazione finanziaria: questa corsa al voto è un ghiotto pasto per gli squali della finanza.

Tutto questo per andare al voto qualche mese prima della naturale scadenza della legislatura; perché? a chi giova?

Non certo al Paese e agli italiani; quindi, serve solo agli interessi di parte dei capi-partito che gridano al voto, al voto!

Vediamo il calendario.

Dopo aver cincischiato per mesi – il parlamento poteva e doveva mettersi al lavoro sulla legge elettorale sin dal 5 dicembre – adesso vogliono accelerare per approvare un “mega porcellum”, come giustamente Paola Taverna ha definito questa nuova proposta di legge elettorale.

La tabella di marcia prevede l’approvazione definitiva della legge al 7 luglio.

Che succede dopo? Continua a leggere

ANCORA UN PARLAMENTO DI NOMINATI

Se la nuova scellerata legge elettorale denominata “alla tedesca”, come se qualcosa diventi rispettabile solo con una fasulla etichetta per attestarne la provenienza, se questa nuova “legge suina” fosse approvata così come è stata presentata, avremmo un nuovo Parlamento al 100% di nominati.

Una evidente legge incostituzionale che, se fosse approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica, certificherebbe l’inadeguatezza di Sergio Mattarella a ricoprire la carica che ricopre.

L’elettore sarebbe privato in modo totalitario della possibilità di scegliere i propri rappresentanti.

In questa legge di tedesco non c’è nulla; persino la soglia del 5% è stravolta.

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Diritto di microfono

Chi concede il diritto di microfono?

La cosiddetta opinione pubblica si forma prevalentemente sulle informazioni proposte dai media.

Rilevante, dunque, in una democrazia come sono organizzati i media, chi li controlla, il grado di libertà di cui godono dal potere politico e da quello economico-finanziario, spesso intrecciato con quello politico.

La circolazione delle idee, l’accesso al palcoscenico mediatico e al microfono sono importanti tanto quanto la libertà di accesso alle notizie, alle fonti, ai documenti. E c’è sempre qualcuno che decide di cosa di deve parlare: i temi del giorno.

Conoscere per deliberare non è uno slogan, ma il pane di cui ogni giorno dovrebbe nutrirsi ogni cittadino per difendere e far crescere la democrazia.

L’accesso alle fonti, nell’era di Internet, è apparentemente semplice, ma se una persona non è stata educata al pensiero critico… sarà difficile che si dedichi alla ricerca e all’approfondimento e se avviene spesso si troverà in difficoltà perché gli mancano le griglie interpretative, le conoscenze di base per interpretare quel che legge. Si accontenterà quindi della TV illudendosi di essere una persona informata perché naviga tra le innumerevoli trasmissioni di cosiddetto approfondimento.

Analfabetismo di ritorno che produce un mondo pieno di cretini istruiti.

Succede così che ciascuno di noi è alla mercé dei media, di quel che ci propongono. Nascono i nuovi casi mediatici e spesso anche i leader politici. Creati a tavolino per essere facilmente masticati dall’opinione pubblica, come una canzonetta orecchiabile.

Ultimo caso da qualche mese in costruzione: Matteo Salvini

Più si coltiva l’idea che Salvini possa essere il leader del centro-destra più si mette in evidenza il fallimento dello storico leader: Berlusconi, che in vent’anni non ha saputo creare una squadra che andasse oltre la sua persona. Chi sono i personaggi che possono prendere il posto di Berlusconi? Non ci sono.

Berlusconi accetterà acconsentirà ad affidare la leadership a Salvini? Probabilmente NO

C’è una previsione di leadership costituita con metodo democratico e confronto interno? NO, siamo ancora fermi al predellino.

Salvini può essere lusingato e illuso di poter essere il leader? SÌ

Sa che non vincerà, ma sa che prenderà più voti se si propone come nuovo leader (anche non riconosciuto e in opposizione ad altro leader) dello schieramento di centro-destra a livello nazionale o semplicemente della Lega 2.0, abbandonando il vecchio e ormai logoro slogan “prima il nord“.

Così il centro-sinistra avrà più probabilità di vittoria, per mancanza di una alternativa unitaria e credibile e perché così vuole Berlusconi al quale serve essere utile alla leadership renziana per ottenere riabilitazione e protezione. Ah quanto erano belli i tempi in cui potevo contare sul bravo Craxi, pensa ogni giorno Silvio. Non solo di riabilitazione si tratta, con evidenza sono tanti gli interessi che Berlusconi deve ancora tutelare e mettere in salvo per la progenie.

La strategia pro - Salvini che i media ci stanno rifilando con assiduità quotidiana ha anche la funzione di contenere il M5S… E questo è un aspetto sottovalutato che può presentare qualche sorpresa.

Per tanti italiani Grillo rappresenta ancora una incognita eccessiva e rischiosa.

Salvini pesca nel torbido, nella paure, nelle inefficienze… ma oltre le parole c’è ben poco, come dimostra la reazione alla bocciatura del referendum sulla legge Fornero, ampiamente scontata. Idee concrete e progetti sono prossimi allo zero.

Centro-destra diviso, opposizioni divise e poco appetibili per il grande pubblico, ecco che si inizia a costruire a tavolino la vittoria del PD senza il rischio del ballottaggio.

Si scherza col fuoco: il gioco delle alleanze in politica è imprevedibile, come dimostra quanto avvenne nel 1994.

I media stanno creando il consenso a Salvini, dando per scontato che tanto non ha alcuna possibilità di vittoria, stanno facendo dimenticare il fallimento della Lega bossiana, la mediocrità della gestione Cota e Maroni, l’inconsistenza dei tanti notabili leghisti… Ma se dovessero cambiare le alleanze, smontare il consenso creato non sarà affatto facile e immediato.

La politica è imprevedibile: non si vince mai a tavolino e quel che oggi appare ovvio e prevedibile potrebbe con facilità sfuggire di mano.

Chi concede il diritto di microfono?

Exploit della Lega, déblậcle dei pentastellati

salviniExploit della Lega, déblậcle dei pentastellati.
Da settimane sentiamo questo ritornello, al quale immancabilmente si aggiunge che il PD di Renzi ha portato a casa due regioni su due con ottimi risultati e l’astensione è un dato secondario, e quindi si ribadisce che il vero vincitore è la Lega di Salvini, mentre il Movimento 5 Stelle di Grillo sarebbe già sulla via della rottamazione. Stanno proprio così le cose?

Compito dei partiti è raccogliere il consenso.
Le elezioni servono a misurare il gradimento di ciascun partito e ciascuno lavora per riconfermare i voti in precedenza raccolti e possibilmente incrementarli.
La prima valutazione da fare è quanti voti un partito ha raccolto rispetto alla precedente elezione, indipendentemente dalla quota dei votanti.
L’efficacia dell’azione di un partito si misura sulla capacità di riportare gli elettori al voto, di avere riconfermato il voto e possibilmente incrementare i voti.
Il fatto che il partito A abbia deluso i propri elettori non impatta sugli elettori del partito B, che anzi potrà avvantaggiarsi dei voti in uscita.

Se applichiamo queste riflessioni all’ultimo voto nelle elezioni regionali svoltesi in Emilia Romagna e in Calabria, scopriamo che la realtà dei fatti è molto diversa da quella raccontata da eterei politici e giornalisti dalla penna nobile.

Contrariamente a quanto tutti danno per assodato, in Calabria c’è stata una reale affermazione del PD che, nonostante il forte calo degli elettori, ha aumentato il proprio consenso. Nel 2010 aveva preso 162.000 voti e nel 2014 185.000. Dimostrazione che il consenso verso un partito è influenzato dal clima generale di scontento e sfiducia solo se anche quel partito ha creato scontento e sfiducia. Il risultato di un partito e il suo gradimento va sempre misurato solo ed esclusivamente rispetto all’ultima prestazione.

Se andiamo in Emilia Romagna, scopriamo che in realtà non ci sono vincitori politici, solo un mezzo vincitore di cui dirò dopo.

Nel loro insieme i partiti non sono riusciti a portare gli elettori al voto. Il crollo dei votanti è stato del 44,6%, vale a dire che ogni 1000 elettori che nel 2010 avevano votato, nel 2014 ben 446 non hanno votato.

Se il dato generale è -44,6%, possiamo dire che chiunque abbia perso meno di questa quota ha performato meglio, ma non possiamo dire che ha vinto o ha avuto successo perché, ricordiamolo, un partito ha successo se ottiene la riconferma del consenso precedentemente acquisito e magari riesce a incrementarlo.

Se un titolo in borsa perde il 20% e gli altri dello stesso indice di riferimento perdono mediamente il 40%, potremo senza dubbio dire che è andato meno peggio, ma nessun investitore dirà di aver guadagnato se ha perso il 20% del proprio capitale.

La palma dell’insuccesso spetta a Forza Italia e a tutta l’area di centro-destra.
Nel 2010 si presentava il PdL, mentre nel 2014 troviamo separatamente FI, NCD, Fratelli d’Italia e se regaliamo all’area ex-berlusconiana anche i voti dell’UDC, presentatosi nel 2014 in coalizione con il NCD, scopriamo che questa area ha perso il 70% dei consensi riuscendo a totalizzare solo 155.000 voti contro i precedenti 518.000.

Al secondo posto sul podio dei peggiori perdenti troviamo il PD che totalizza 535.000 voti contro 857.000 del 2010: -37%!

Medaglia di bronzo quale terzo peggiore perdente alla Lega: totalizza 233.000 voti contro 288.000 del 2010: -19%

Quindi, la Lega ha perso per strada 55.000 elettori nonostante la grande fuga dagli altri partiti. Ha scontentato meno, è meno colpito dalla sfiducia generale ma possiamo dire che ha vinto?
Singolare affermazione considerato il presenzialismo di Salvini.

Fuori dal podio dei peggiori perdenti, l’unico vero vincitore dimezzato: il M5S; aveva totalizzato 126.000 voti e nel 2014 ne prende 159.000, aggiudicandosi una percentuale sui voti validi del 13% che non è molto lontano dal 14 o dal 17% conquistato nel 2013 in Lombardia e in Lazio. Certamente una vittoria dimezzata perché non riesce più a essere catalizzatore della protesta, ma non possiamo parlare di sconfitta. Il dato dell’Emilia Romagna conferma che era eccezionale il risultato conseguito alle politiche del 2013, che si svolsero in contemporanea con le regionali in Lombardia e Lazio. Mentre per la Camera il M5S raccoglieva in Lombardia circa il 20% e ben 1.126.000 voti, nello stesso momento per le Regionali solo 775.000 confermavano il voto al M5S.

Questo dimostra quanto sia fuorviante confrontare risultati elettorali conseguiti per differenti finalità: gli elettori sanno quel che fanno quando votano per il Parlamento, il Comune, le Regioni, le Europee… i giornalisti evidentemente no.

Possiamo affermare che il treno del M5S sembra aver fortemente rallentato la corsa, non sembra più capace di raccogliere lo scontento e non è nemmeno percepito come voto di protesta, ma possiamo parlare di déblậcle?

La crisi di rappresentanza è anche crisi di rappresentazione.

Scanzi, il facocero del giornalismo querulo saturo di niente*

C’è sempre stato un giornalismo schierato politicamente. Giornalismo militante, d’inchiesta che, generalmente, sostiene una determinata posizione con documenti, analisi, dati, argomentazioni… non sempre di qualità ma almeno il tentativo c’è.

Era lecito attendersi che una nuova politica, fortemente in polemica con il sistema dell’informazione, producesse nuovo modo di fare informazione. Invece, così come spesso in politica nuovo si riduce a fare per poter dire “abbiamo fatto”, e giù con l’elenco delle millantate riforme, o a promuovere volti nuovi e donne, come se bastasse un po’ di giovani o una predominanza di genere per rinnovare un Paese, allo stesso modo assistiamo a schiere di giornalisti che si dedicano alla sistematica denigrazione della parte politica che meno gradiscono. Tutto si esaurisce in sterili polemiche, reciproche accuse, propaganda dell’ignoranza.

A questi giornalisti fiancheggiatori si aggiungono i giornalisti reggi microfono, coloro che pensano che informare significhi riportare quel che ha detto Caio… sebbene per sapere ciò sia sufficiente collegarsi ai siti delle agenzie di stampa e non serva l’esercito di giornalisti che indefessamente clona i dispacci d’agenzia, i comunicati stampa e le dichiarazioni di Caio.

Succede così che a “8 e mezzo” del 26 maggio la Gruber abbia come ospiti la neo- eurodeputata Picierno, Andrea Scanzi e in collegamento esterno Massimo Cacciari, il quale giustamente sottolinea che non intende discutere della Picierno.

Scanzi e Picierno non perdono tempo e si esibiscono in un vuoto e infantile battibecco. Scanzi apprezza molto le capacità intellettive e politiche di Picierno, come dimostra il suo articolo Renzi, sciacquati la bocca quando parli di Berlinguer o il suo intervento su Twitter con il quale afferma che Picierno fa le figuracce persino con “Gasparri, che non vinceva un duello di intelligenza dal ‘62”! Continua a leggere