Al voto, al voto!

Perché precipitarsi al voto?

Abbiamo importanti scadenze finanziarie, ci sono in discussione leggi sinora considerate urgenti, tra queste la riforma del processo penale, occorre mettere in sicurezza i conti pubblici anche per evitare sanzioni a livello europeo.

Come se non bastasse c’è la legge di stabilità che il Governo dovrà presentare in parlamento entro il 15 ottobre per essere approvata entro fine anno.

Su tutto ciò grava il rischio della speculazione finanziaria: questa corsa al voto è un ghiotto pasto per gli squali della finanza.

Tutto questo per andare al voto qualche mese prima della naturale scadenza della legislatura; perché? a chi giova?

Non certo al Paese e agli italiani; quindi, serve solo agli interessi di parte dei capi-partito che gridano al voto, al voto!

Vediamo il calendario.

Dopo aver cincischiato per mesi – il parlamento poteva e doveva mettersi al lavoro sulla legge elettorale sin dal 5 dicembre – adesso vogliono accelerare per approvare un “mega porcellum”, come giustamente Paola Taverna ha definito questa nuova proposta di legge elettorale.

La tabella di marcia prevede l’approvazione definitiva della legge al 7 luglio.

Che succede dopo? Continua a leggere

Il pluralismo televisivo

TV_colorNel 1990 il Parlamento con la legge Mammì avrebbe dovuto risolvere il problema esploso con la nascita delle televisioni private, adempiere le sentenze della Corte Costituzionale che ne sancivano la legittimità, riconsiderare il controllo parlamentare sul servizio pubblico, procedere al riordino delle frequenze. Non raggiunse nessuno di questi obiettivi poiché quella legge (la 223 del 6 agosto 1990) si limitò a fotografare l’esistente: il passaggio dal monopolio Rai al duopolio Rai-Mediaset.

Nel 1994 interviene la Corte Costituzionale che con sentenza n. 420 censura la legge Mammì affermando che riconoscere a un solo soggetto la possibilità di gestire 3 reti private sulle 9 allora previste lede i principi costituzionali sull’informazione e il pluralismo. Continua a leggere

TV, stampa e Potere Politico

TV_BNIn Italia la TV nasce sotto il controllo del governo e vi rimane sino al 1975. Esisteva solo il monopolio di Stato. Dal ’75 il controllo sulla TV passa dal governo al parlamento. Il Tesoro (oggi il Ministero dell’Economia e delle Finanza) in qualità di azionista ha il suo peso. La riforma del ’75, voluta fortemente dal PCI, fu sbandierata come una vittoria del pluralismo. Nei fatti fu un perfezionamento della lottizzazione con l’allargamento del potere di controllo a un nuovo soggetto: il PCI che utilizzò quel potere non per scardinare la lottizzazione ma per entrare nel sistema dalla sala dei bottoni.

Il sistema rimase ingessato e tutti gli imprenditori che tentarono di scalfire quel monopolio televisivo fallirono (Agnelli, Rizzoli, Rusconi): non per incapacità, ma per compromesso politico. I loro interessi erano fortemente legati alla partitocrazia: preferirono quindi non entrare in rotta di collisione con il sistema politico incentrato sulla DC, che tentava di mantenere se stessa al potere, e sul PCI, che tentava di essere ammesso alla gestione del potere centrale in alleanza con la DC. In questo scenario, che Giorgio Galli definì “bipartitismo imperfetto”, s’inserirono Craxi e Berlusconi, che nel politico socialista trovò un referente autorevole.

Ha inizio una nuova stagione delle televisioni private (e per le radio private) ma anche una lunghissima e complessa vicenda giudiziaria che chiamò più volte la Corte Costituzionale a dirimere la matassa.

La Corte Costituzionale sancì il diritto di esistere della TV privata e poiché mancavano norme di riferimento e di regolamento della pluralità di mercato, la TV privata crebbe senza regole ma con un obiettivo preciso: arrivare a un peso di dimensioni pari a quelle della TV pubblica, intuizione o ambizione che mancò ai precedenti imprenditori della TV privata. Solo così, infatti, avrebbe potuto competere sul mercato pubblicitario basato sull’offerta a pacchetto proposta dalla SIPRA, concessionaria pubblicitaria della TV di Stato e della stampa di partito cui assicurava ricchi minimi garantiti  (in sostanza forme di finanziamento ai partiti). Continua a leggere