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Al voto, al voto!

Perché precipitarsi al voto?

Abbiamo importanti scadenze finanziarie, ci sono in discussione leggi sinora considerate urgenti, tra queste la riforma del processo penale, occorre mettere in sicurezza i conti pubblici anche per evitare sanzioni a livello europeo.

Come se non bastasse c’è la legge di stabilità che il Governo dovrà presentare in parlamento entro il 15 ottobre per essere approvata entro fine anno.

Su tutto ciò grava il rischio della speculazione finanziaria: questa corsa al voto è un ghiotto pasto per gli squali della finanza.

Tutto questo per andare al voto qualche mese prima della naturale scadenza della legislatura; perché? a chi giova?

Non certo al Paese e agli italiani; quindi, serve solo agli interessi di parte dei capi-partito che gridano al voto, al voto!

Vediamo il calendario.

Dopo aver cincischiato per mesi – il parlamento poteva e doveva mettersi al lavoro sulla legge elettorale sin dal 5 dicembre – adesso vogliono accelerare per approvare un “mega porcellum”, come giustamente Paola Taverna ha definito questa nuova proposta di legge elettorale.

La tabella di marcia prevede l’approvazione definitiva della legge al 7 luglio.

Che succede dopo?

Bisogna attendere la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica, che ovviamente potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) rinviarla alle Camere.

Supponiamo che il Presidente continui a non impicciarsi, come già fece con l’italicum, salvo poi con 19 mesi di ritardo rendersi conto che non si poteva votare con due leggi così disomogenee tra Camera e Senato; quindi, promulga la legge: arriviamo al 10 luglio.

A questo punto occorre che il presidente Gentiloni si dimetta o sia sfiduciato; mettiamo che con l’esperienza acquisita da Renzi, questa operazione riesca in una settimana: siamo al 17 luglio.

Ci siamo, finalmente!

NO, ai sensi dell’art. 88 della Costituzione il Presidente della Repubblica deve sentire i presidenti dei due rami del parlamento e, come da consuetudine, valutare se fare un giro di consultazioni con i gruppi  parlamentari.

Supponiamo che il 20 luglio firmi il decreto di scioglimento delle camere e in pari data firmi il decreto di indizione dei comizi con l’indicazione della data delle elezioni e della prima riunione delle camere, che ai sensi dell’art. 61 della Costituzione devono rispettivamente avvenire entro 70 giorni dallo scioglimento ed entro 20 giorni dal voto.

Nel 2006 le elezioni si sono svolte 57 giorni dopo il decreto di scioglimento e la prima riunione del nuovo parlamento è avvenuta 18 giorni dopo il voto.

Nel 2008 le elezioni si sono svolte 66 giorni dopo lo scioglimento delle camere e la prima riunione del parlamento si è svolta 15 giorni dopo le elezioni.

Nel 2013 le elezioni si sono svolte 64 giorni dopo il decreto di scioglimento e la prima riunione del parlamento è avvenuta 20 giorni dopo le elezioni.

Nella migliore delle ipotesi, quindi, la prima riunione del parlamento sarebbe 60 giorni dopo il decreto di scioglimento e arriviamo al 20 settembre; più plausibile che si arrivi a fine settembre anche per evitare che la campagna elettorale si svolga interamente mentre gli italiani sono in ferire …

Bisognerà che si formi il nuovo governo che deve incassare la fiducia e il 15 ottobre va presentata la legge di stabilità.

Evidente il rischio di essere per qualche mese in balia degli speculatori. Evidente il rischio dell’esercizio provvisorio.

Perché correre un tale rischio?

Per evitare al PD di assumersi la responsabilità della legge di stabilità, togliere al PD la patata bollente, come l’ha definita Paola Taverna; certamente serve al PD che così potrà più facilmente escludere gli oppositori interni e rendere più complicata l’organizzazione alle diverse anime della sinistra.

Questo è l’interesse del PD, che si intreccia con l’interesse di FI, che così tenta di rientrare in gioco, della Lega, che spera di superare FI e quindi di poter fare una prova muscolare con l’ex alleato.

E il M5S? Boh, forse preferisce favorire l’abbraccio tra PD e FI per poter dall’opposizione avere per qualche altro anno facile materia di contestazione.

E chi è contrario a questa corsa al voto?

Certamente ha interesse a guadagnare tempo per organizzarsi meglio, ma questo non entra in conflitto con l’interesse generale.

Vedremo quale sarà l’evoluzione degli eventi, ma l’impressione è che si stia organizzando una corsa verso il baratro.

In questo momento e in queste condizioni non esistono ragioni valide e interessi generali per cui valga la pena precipitarsi al voto, tanto più se l’intenzione è sostituire un parlamento di nominati con un altro parlamento di nominati.

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