L’accetta dei tagli lineari indiscriminati si abbatte sulla Costituzione. Di questo si tratta quando ci occupiamo della modifica costituzionale oggetto dell’imminente referendum del 20 e 21 settembre.
Una banalissima operazione contabile che investe la Costituzione in uno dei suoi aspetti fondanti e fondamentali: la rappresentanza politica, strumento principe attraverso cui si esprime la sovranità popolare.
Non si può ridurre tutto a un mero aggiustamento numerico dei rappresentanti parlamentari, perché la misura del taglio (36,5%) va ben oltre il semplice aggiustamento e ci porta ad avere di gran lunga il peggior rapporto alla camera bassa tra abitanti e deputato (1 oltre 150.000 abitanti, qualsiasi altro paese ha un rapporto molto più favorevole) e uno degli ultimi tra i paesi che dispongono di una camera alta: peggio di noi ci sarebbe solo la Polonia, il cui Senato ha poteri legislativi ridotti e non ha un rapporto fiduciario con l’esecutivo, e la Germania, la cui camera alta – Bundesrat – è una assemblea federale che rappresenta i Länder e si occupa di determinate materie, quindi non paragonabile al nostro Senato che ha la stessa identica funzione della Camera.
L’efficienza dipende dai regolamenti parlamentari, dal procedimento legislativo, dalla distribuzione delle funzioni tra le due camere; tutti aspetti che non sono modificati. Il taglio agisce sulle presenze in Aula, ma il dibattito in Aula occupa una minima parte del lavoro parlamentare mentre la parte rilevante è occupata dal lavoro delle commissioni. L’efficienza, pertanto, rischia di essere compromessa perché avremo meno Commissioni mentre le esigenze legislative resteranno invariate, anche perché più dell’80% del lavoro parlamentare è dettato dall’Esecutivo.
Allo stesso modo non si vede come questo taglio dovrebbe avvicinare gli eletti ai cittadini dal momento che aumentano le distanze, i rapporti di rappresentanza e i collegi diventerebbero enormi. Al Senato avremmo un collegio uninominale mediamente ogni circa 810.000 abitanti!
Resta da considerare il tema del risparmio; per questo motivo, non ci stiamo occupando di una riforma costituzionale ma di una banale operazione contabile, attuata con la logica dei tagli lineari, che non ci consente nemmeno di sperare che produca una migliore qualità degli eletti poiché non si modificano i criteri di selezione e votazione dei candidati.
Riduzione della spesa pubblica, dunque, agendo sui costi della politica di cui si dibatte da qualche tempo.
Anche Renzi aveva agitato il tema del risparmio per la sua riforma costituzionale: tagliamo 315 politici e mettiamo in Costituzione un tetto per i compensi dei consiglieri regionali, ricordate?
Chi oggi sostiene l’importanza di questo risparmio al tempo criticò aspramente lo svilimento ragionieristico che Renzi faceva della Costituzione. Tra i più severi nel criticare Renzi su questo punto era proprio il M5S e Travaglio che rinfacciavano le spese per gli F35 e per l’aereo presidenziale Air Force Renzi …
Le spese per la politica non si riducono ai parlamentari, ma includono tutto il personale politico ai diversi livelli locali e nazionali.
Se facessimo dei confronti con Francia, Germania e Spagna scopriremmo che l’Italia è il paese con i più bassi costi per il personale politico, i minori costi “trasparenti” sono proprio quelli italiani. Tanto per dare una indicazione di dimensione, in Italia sommando parlamentari e consiglieri comunali e regionali abbiamo circa 106.000 persone; in Francia siamo a 500.000!
Non ha alcun senso blaterare sui costi della politica senza aver prima definito il confine di queste spese perché il sistema politico va analizzato nel suo insieme e non prendendo un dettaglio avulso dal contesto. Si scoprirebbe allora che abbattere i costi della politica significa contrastare i danni economici e sociali provocati da lobby e affarismi politici. Significa rendere il sistema politico trasparente nei processi decisionali interni alle forze politiche, nell’affidamento degli incarichi e nelle candidature. I veri sprechi sono determinati dal lobbismo, dall’affarismo politico, dal nepotismo e dal clientelismo che si annidano nella miriade di aziende pubbliche, nelle consulenze, nell’affidamento degli incarichi grazie a un sistema politico poco trasparente.
Che senso ha tagliare i costi “trasparenti” e lasciare immacolati i costi dovuti a clientelismo, lobbismo e familismo?
Serve solo ad autorizzare la classe politica a depauperare le risorse pubbliche per esclusivi interessi di parte!
Perché, poi, ridurre questi costi agendo sul numero dei rappresentanti e non su indennità, diarie, spese di mandato, privilegi e finanziamenti ai gruppi parlamentari (da soli ammontano a ben 55 milioni di euro all’anno)? Agendo sui bilanci di ciascuna camera dal 2013 sono stati risparmiati la bellezza di 700 milioni di euro.
Chiaro, allora, che questa operazione contabile nasconde altre finalità.
Risparmio della spesa pubblica pari ad appena lo 0,007%, circa 57 milioni di euro, come calcolato dall’Osservatorio conti pubblici italiani diretto da Carlo Cottarelli. I sostenitori del taglio dicono che il risparmio è pari a circa 100 milioni di euro all’anno, ma anche in questo caso non forniscono alcun modello di calcolo che consenta di comprendere come arrivano a questo importo.
Questo risparmio, come già evidenziato, poteva essere ottenuto senza generare problemi di rappresentatività e funzionalità delle camere, come affermato anche da chi ha approvato questa riforma precipitandosi a presentare una nuova riforma che interviene sullo stesso articolo 57 della Costituzione, già modificato dalla riforma oggetto di referendum (il riferimento è al progetto di DDL costituzionale n. 2238 a firma anche di deputati del M5S), nonché altre riforme per attenuare i problemi già indicati.
Che senso ha confermare una riforma che genera danni quando non c’è alcuna certezza che poi si rimedierà ai danni provocati?
La Costituzione richiede un diverso approccio e maggiore attenzione nel maneggiarla.
Se è così fondamentale questo risparmio, come anche il liberarsi degli assenteisti e dei fannulloni (perché poi dovrebbero essere tagliati fuori proprio gli assenteisti e i fannulloni non è dato saperlo), allora ci aspettiamo che in caso di vittoria del SI l’attuale maggioranza determini il ritorno alle urne per cominciare subito a risparmiare e finalmente avere un parlamento emancipato da assenteisti e fannulloni. Tanto, abbiamo sognato un anno fa quando abbiamo creduto che questa maggioranza fosse nata perché avvertiva una emergenza democratica!
Succederà?
In realtà questo parlamento chiede di ridurre se stesso per assecondare il risentimento popolare verso la classe politica; ci danno in pasto 345 poltrone per farci fare un ruttino e continuare esattamente come prima.
Votare SI significa dire “bravi parlamentari, adesso siete sulla buona strada”, ma cosa garantisce che i prossimi 600 non saranno i peggiori degli attuali 945?
Assolutamente nulla!
Votando SI, ingoiate la pietanza populista, offerta proprio dai parlamentari, per continuare indisturbati con le loro logiche.