Fare i conti con l’astensionismo

Spesso si liquida perentoriamente l’astensionismo affermando “chi non vota non conta“, ma la questione è “quanto conta chi vota“?

Se il corpo elettorale non può scegliere coloro che in Parlamento dovrebbero rappresentare il popolo sovrano, se i candidati alla carica di sindaco o di presidente di Regione sono calati sulle comunità locali da ristrette oligarchie partitocratiche, se la volontà del popolo viene cancellata persino quando il popolo sovrano con il voto referendario decide qualcosa (vedi finanziamento pubblico ai partiti, acqua pubblica …), se l’accesso alle cariche elettive di cui all’art. 51 Cost. è appaltato ai Partiti che decidono chi candidare e dove … quanto vale realmente il voto di ogni cittadino e cittadina?

Certo, chi non si sente rappresentato dalle attuali forze politiche (circa 70), può sempre fondare il proprio partito, ovviamente senza gareggiare alla pari con le altre forze politiche perché chi ha già un posto al sole ha dei privilegi … E’ la nuova forma di nobiltà che ha edificato la casta degli eletti, per preservare se stessa. La conseguenze è che chi dovesse entrare nella casta, ben preso impara ad apprezzarne i privilegi e viene fagocitato dal sistema.

La Costituzione definisce l’esercizio del voto un  “dovere civico“ (art. 48 Costituzione). Il concetto è ripreso all’art. 4 del Testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati e richiamato anche dalla legge costituzionale di attuazione del referendum (L. 352/1970) che recita all’art. 50: “Per tutto ciò che non è disciplinato nella presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361“. Il successivo art. 51 richiama anche per i referendum le sanzioni penali di cui al Titolo VII del citato Testo Unico, quindi anche l’art. 115 che, fino al 1993, sanzionava chi senza valido motivo non esercitava il diritto di voto.

Altra conferma della non differenza di valore “civico” tra le diverse tipologie di voto si desume dalla discussione sulla legge attuativa del referendum. In quella discussione fu, infatti, respinto un emendamento teso a equiparare il “non voto” al “voto contrario” all’abrogazione. Anche la disciplina della propaganda referendaria, legge n. 28/2000, stabilisce che nella comunicazione radiotelevisiva per i referendum abrogativi gli spazi siano “ripartiti in misura eguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario“, escludendo qualsiasi valore alla posizione di chi invita a disertare le urne.

I Costituenti non avevano pensato che le forze politiche parlamentari avrebbero fatto ricorso all’astensione per invalidare un referendum e che avrebbero invitato ad andare al mare o esplicitamente a non votare, anche perché l’invito al non voto esponeva a conseguenze penali. Nel 1967, infatti, la Cassazione confermò la condanna di alcuni anarchici che avevano fatto propaganda per l’astensione; i giudici ravvisarono nella propaganda astensionista il reato di istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato (art. 415 c.p.). L’art. 115 del Testo Unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati, che sanzionava chi senza valido motivo non esercitava il diritto di voto, è stato abrogato con decreto legislativo n. 534 del 1993.

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I tagli lineari sulla Costituzione

L’accetta dei tagli lineari indiscriminati si abbatte sulla Costituzione. Di questo si tratta quando ci occupiamo della modifica costituzionale oggetto dell’imminente referendum del 20 e 21 settembre.

Una banalissima operazione contabile che investe la Costituzione in uno dei suoi aspetti fondanti e fondamentali: la rappresentanza politica, strumento principe attraverso cui si esprime la sovranità popolare.

Non si può ridurre tutto a un mero aggiustamento numerico dei rappresentanti parlamentari, perché la misura del taglio (36,5%) va ben oltre il semplice aggiustamento e ci porta ad avere di gran lunga il peggior rapporto alla camera bassa tra abitanti e deputato (1 oltre 150.000 abitanti, qualsiasi altro paese ha un rapporto molto più favorevole) e uno degli ultimi tra i paesi che dispongono di una camera alta: peggio di noi ci sarebbe solo la Polonia, il cui Senato ha poteri legislativi ridotti e non ha un rapporto fiduciario con l’esecutivo, e la Germania, la cui camera alta – Bundesrat – è una assemblea federale che rappresenta i Länder e si occupa di determinate materie, quindi non paragonabile al nostro Senato che ha la stessa identica funzione della Camera.

Non si può nemmeno affermare che  questo taglio aumenta l’efficienza del parlamento e avvicina il Parlamento ai bisogni dei cittadini.

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Zingaretti, Bersani … non ci siamo!

La cultura progressista, riformista e di sinistra sta replicando scelte sbagliate del passato; scelte che hanno favorito il degrado istituzionale svilendo la costituzione a strumento di lotta politica nelle mani della maggioranza di turno e a merce di scambio in accordi di potere, mentre persiste l’incertezza sulle regole elettorali, una delle cause della instabilità politica. In soli 26 anni abbiamo cambiato 5 leggi elettorali nazionali e ci apprestiamo a varare la sesta.

Dal 1993 viviamo sotto il rischio che una minoranza politica, per effetto del sistema elettorale, possa assumere il controllo assoluto del parlamento, eleggersi il proprio presidente della repubblica, controllare la corte costituzionale, modificare a piacimento la Costituzione senza nemmeno l’impiccio di un referendum se questa minoranza dovesse disporre, per meccanismi di ingegneria elettorale, dei due/terzi del parlamento.

Il centro-sinistra dopo aver impiegato 26 anni per rendersene conto, nuovamente se ne dimentica, mentre in questi 26 anni si è cincischiato con leggi elettorali indecenti (italicum e rosatellum, dopo aver lasciato colpevolmente in vita il porcelum e non aver corretto il mattarellum) e riforme costituzionali pasticciate e dannose.

Oggi dobbiamo fare i conti con una maggioranza che si è costituita su un patto che prevedeva l’approvazione della riduzione dei parlamentari.

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Allinearsi alla Germania?

La Germania è uno stato federale. Al Bundestag federale composto da 709 parlamentari va aggiunto il Bundesrat (il senato federale) e ogni singolo parlamento di ogni Stato della federazione. Solo così si ricompone l’interezza del potere legislativo e della rappresentanza.

Il Senato tedesco, Bundesrat, non rappresenta la sovranità popolare, come il Senato italiano che ha stesse funzioni e competenze della Camera. Il senato tedesco rappresenta i Governi degli Stati federati.

In base a quale logica si confronta il Senato tedesco con quello Italiano?

La Germania, sommando il parlamento federale tedesco, composto da Bundestag e Bundesrat, ai parlamenti degli Stati federati, dispone di 2.526 parlamentari! Già, perché la sola Baviera ha 180 deputati (la Lombardia 80 consiglieri regionali) per circa 13 milioni di abitanti.

Anche in Italia per ricomporre l’interezza del potere legislativo bisogna considerare le regioni (art. 117 Cost.): “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:” (segue elenco che va dalla lettera A alla lettera S).

Tralasciando le differenze tra le nostre Regioni e i Länder tedeschi, scopriamo che le nostre regioni contano tra Presidenti e Consiglieri regionali appena 897 persone!

Quindi,

in Germania 2.526 legislatori, uno ogni 33.063 abitanti

in Italia un legislatore ogni 32.872 abitanti (sommando ai 945 parlamentari gli 897 presidenti e consiglieri regionali).

Siamo già perfettamente allineati alla Germania!

Germania vs Italia

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Uniformarsi ai paesi europei più virtuosi …

Ridurre i nostri parlamentari del 36,5% avrebbe la finalità di uniformare il nostro Parlamento ai più virtuosi paesi europei, sostengono i promotori di questa drastica riduzione.

E’ davvero così?

Esiste un modello europeo e all’interno di questo modello paesi più virtuosi e mono virtuosi?

La risposta è NO: i parlamenti dei paesi europei esprimono rapporti di rappresentanza molto differenti che vanno da 16,5 parlamentari ogni 100.000 abitanti a 1 parlamentare ogni 100.000 abitanti. La media tra i 27 paesi UE (quindi UK escluso) è 1,88 parlamentari ogni 100.000 abitanti.

L’Italia ha 1,45 parlamentari ogni 100.000 abitanti, quindi se dovessimo uniformarci alla media europea dovremmo aumentare il numero di parlamentari

Il concetto di virtuosità nella rappresentanza solleva molte perplessità perché si tratta di una valutazione rimessa alla libera e soggettiva interpretazione : per qualcuno potrebbe significare avere un rapporto di rappresentanza alto, per altri potrebbe significare avere un rapporto di rappresentanza basso; oppure, la virtuosità potrebbe stare nell’essere nella media o nell’essere nella fascia alta o in quella bassa. Continua a leggere

Il SI al taglio dei parlamentari fa a pugni con la logica

Perché quando persone “intelligenti” si esprimono a favore della riduzione dei parlamentari sorge il dubbio che non siano obiettivi o che  non siano così brillanti nella loro capacità di analisi logica?

Non ho sinora avuto il piacere di imbattermi in un argomento a favore della riduzione dei parlamentari che non sia stato sostenuto solo con slogan o con argomenti falsi, capziosi, illogici.

Questa volta è il turno di Roberto Perotti e Tito Boeri che su la Repubblica di ieri 11 agosto pubblicano un intervento a sostegno del SI alla riduzione dei parlamentari e offrono argomenti logici a sostegno del NO.

BoeriI due economisti Boeri e Perotti esordiscono ricordando che “da 40 anni si parla di tagliare il numero dei parlamentari”.

Evidentemente i due sono distratti da tanto tempo perché non è vero che da 40 anni si discute di ciò; da decenni si discute di modificare il bicameralismo, il procedimento legislativo, i poteri del presidente del consiglio e la ripartizione dei poteri tra Stato e Regioni … e in conseguenza di queste riforme si proponeva un ridimensionamento del numero dei parlamentari che mai in ogni caso giungeva a questo livello. Oggi si discute per la prima volta di riduzione “drastica” dei parlamentari lasciando invariato tutto il resto.

Il primo argomento di Boeri e Perotti è quindi respinto per evidente superficialità e pressapochismo.

Il secondo argomento riguarda il risparmio.

I due riconoscono che si tratta di un risparmio modesto, in sostanza pari a un cappuccino all’anno per italiano o a un caffè se si considerano i costi al netto delle imposte che ritornano nelle casse dello Stato e che quindi costi non sono, come dimostra Cottarelli. Quindi, Boeri e Perotti, confrontatevi con Cottarelli se vi piace fare i conti della serva, a me poco importa se i risparmi sono circa 80 milioni all’anno o 57 milioni all’anno, mi interessa che siano nettamente inferiori ai declamati 100 di cui blatera da un anno il M5S e che anche per voi, esimi Boeri e Perotti, si tatti di un risparmio “simbolico”.

Possiamo convenire che in politica i simboli contano, ma perché per ottenere un risparmio simbolico si tocca la Costituzione in uno dei suoi aspetti più delicati, la rappresentanza politica del popolo sovrano, e non si riducono le diarie parlamentari, le indennità e i contributi ai gruppi parlamentari che ammontano da soli a 55 milioni di euro all’anno?

Perché non ci spiegate le ragioni della ineluttabile necessità di tagliare i parlamentari modificando la Costituzione anziché modificare leggi ordinarie e ottenere lo stesso risparmio?

Cari Boeri e Perotti, se il Parlamento avesse deciso di ridurre del 30% i contributi ai gruppi parlamentari, le indennità parlamentari e gli altri benefit … il popolo, che come voi ricordate vive “nella recessione più grave del dopoguerra”, avrebbe gradito, anche perché i risultati sarebbero stati certi e immediati. La vostra esperienza come mai non vi conduce a interrogarvi sul perché non sia stata seguita questa strada per anni indicata agli elettori?

L’aver scelto la strada della riduzione dei rappresentanti del popolo sovrano, disinteressandosi di ogni aspetto relativo al pluralismo e del sistema elettorale, fa nascere il dubbio che il tema del risparmio sia solo fumo negli occhi per assecondare il qualunquismo e il risentimento distruttivo verso la classe politica poiché non si fa nulla per migliorarla.

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La propaganda e la disonestà intellettuale

La disonestà intellettuale produce più danni della disonestà materiale.

Chi ruba può essere punito e il derubato può essere risarcito, ma quando la politica costruisce il consenso sulle menzogne, vale a dire rubando la verità, non esiste risarcimento possibile e i danni sono incalcolabili.

Il M5S diffonde questa immagine a sostegno del SI al referendum sul taglio dei parlamentari

https://www.ilblogdellestelle.it/2019/10/1miliardodimotivi-finalmente-un-numero-di-parlamentari-come-nel-resto-deuropa.html

falso M5S

Accompagnandola con affermazioni false come quella di questo tenore: “Finalmente un numero di parlamentari come nel resto d’Europa”, “Con il taglio di 345 parlamentari possiamo adeguarci ai più virtuosi standard internazionali. Perché l’Italia è uno dei Paesi con più poltrone al mondo. Niente di paragonabile a quello che succede in Stati che, nonostante le grandi dimensioni, hanno un numero di parlamentari inferiore. Ad esempio: in Germania il Parlamento conta circa 700 membri; nel Regno Unito 650; in Francia 577; in Spagna 558 e negli Stati Uniti 535 membri.

Siamo alle menzogne spudorate con cui si travalica l’ignoranza e si entra nel territorio della disonestà intellettuale che rende il M5S socialmente e politicamente più pericoloso dei peggiori politici ladri.

Il M5S basa la propria propaganda sul confronto capzioso tra la totalità dei nostri parlamentari con i soli parlamentari eletti direttamente dal popolo o addirittura con il solo parlamento federale, fingendo di ignorare che in ogni Länder e in ogni Stato degli USA esiste un parlamento nazionale.

Se una forza politica ricorre sistematicamente alle menzogne per sostenere una tesi, significa che quella tesi è al servizio di finalità che non possono essere rappresentate pubblicamente. Continua a leggere

2018: le promesse mancate del governo verde pisello

Nei primi mesi di vita del 2018 del governo verde pisello sono tante le promesse mancate.

Lotta alla precarietà: nessun risultato concreto. Il decreto dignità doveva essere un colpo mortale  alla precarietà ma nella realtà ha fatto solo un po’ di solletico.

TAP: promesso che non si faceva e invece si farà. Indecoroso il mare di menzogne che sono state raccontate per giustificare questo tradimento.

ILVA: promessa la conversione industriale invece si attua il programma Calenda (migliorato); anche in questo caso è evidente quanto le forze che compongono la maggioranza abbiano fatto solo propaganda per poi rimangiarsi ogni promessa. Nel contratto di governo si parlava ancora di “un programma di riconversione economica
basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti“!

Sicurezza: dicevano che “una seria ed efficace politica dei rimpatri risulta
indifferibile e prioritaria” e invece sono stati trasformati in clandestini i migranti già presenti smantellando i programmi di integrazione e senza ottenere alcun risultato con i rimpatri.

Accoglienza e integrazione: si prometteva di “puntare ad un maggiore coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, a cominciare da quelle territoriali, affidando la gestione dei centri stessi alle regioni e prevedendo misure che dispongano l’acquisizione del
preventivo assenso degli enti locali coinvolti, quale condizione necessaria
per la loro istituzione” ma è stato fatto l’esatto contrario tornando ai centri-lager!

Corruzione: vedremo i risultati che darà la nuova legge spazza corrotti ma intanto si può dire che non va oltre il solito livello repressivo senza intervenire sulla prima causa che rende possibile la diffusa corruzione nella vita pubblica: i processi decisionali e la mancanza di trasparenza e democrazia nell’affidamento degli incarichi e nella selezione delle persone.

Pensioni: quota 100 è una semplice finestra per consentire il pensionamento anticipato ma manca una misura strutturale per stabilizzare questo provvedimento.

Rimborsi ai truffati delle banche: promesso il rimborso fino all’ultimo centesimo e invece sarà concesso al massimo il 30% e solo a condizione di rinuncia a ogni ulteriore pretesa.

Reddito di cittadinanza: promessa la cancellazione della povertà ma in realtà è stata stanziata una somma assolutamente insufficiente a mantenere le promesse e senza realizzare la riforma dei Centri per l’impiego, quindi con il rischio che tutto si traduca in un flop occupazionale e in una manovra assistenzialista. Dopo tanti mesi di discussione non c’è nemmeno una proposta concreta e appena ne circola una subito viene sconfessata.

Rilancio dell’occupazione e della crescita: nessun provvedimento concreto

Detassazione: marginale e con riguardo alle partite IVA prevalentemente ditte individuali senza alcun impatto sui livelli occupazionali

Unione europea: nessun risultato apprezzabile. il Governo si impegnava per “la piena attuazione degli obiettivi stabiliti nel 1992 con il Trattato di Maastricht, confermati nel 2007 con il Trattato di Lisbona, individuando gli strumenti da attivare per ciascun obiettivo” ma non è stato fatto alcunché in questa direzione e la maggioranza di governo ha posizioni diametralmente opposte nel parlamento europeo rispetto a quello nazionale oltre a procedere in modo ambiguo con i Paesi favorevoli a una maggiore integrazione e quelli cosiddetti sovranisti e nazionalisti.

Politiche migratorie: inconcludenti bracci di ferro con molti passi indietro sul fronte dell’integrazione e gestione dei flussi. Si prometteva il “ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’UE” e hanno cantato vittoria per un vertice europeo che sanciva la FACOLTATIVITA’ dei ricollocamenti,

TAV: stato confusionale giocando a tira e molla con la valutazione costi-benefici espressamente esclusa dal contratto di governo nel quale la maggioranza si impegna “a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo
tra Italia e Francia“, formula che non può certo tradursi in “la TAV non si fa” giacché l’accordo Italia-Francia prevede che si faccia! Lo stesso Contratto prevede che sulla base della “valutazione del rapporto tra costi e benefici” la maggioranza  “adotterà le opportune decisioni con riferimento alla realizzazione e al completamento delle opere pubbliche di rilievo nazionale non espressamente menzionate nel presente contratto“. La Torino-Lione è espressamente menzionata nel Contratto quindi è esclusa dalla valutazione costi benefici … che non può essere fatta senza la Francia con cui esiste un accordo internazionale per la realizzazione dell’opera. Ci troviamo in una situazione grottesca in cui il Governo è prigioniero della propria propaganda e perde tempo con la farsesca valutazione costi-benefici in attesa di tirar fuori un coniglio dal cappello!

Il Governo del Cambiamento al momento ha ottenuto risultati solo sul piano della comunicazione: più rozza e volgare. Per il resto siamo alle promesse mancate con andamento incerto, senza direzione e prospettive.

IL 4 MARZO 2018

Il voto nazionale del 2018 ci restituisce un’Italia dominata da un nuovo bipolarismo; non più CDX e CSX ma CDX trainato dalla Lega e M5S. Le “regioni rosse” non ci sono più; ciò che rimane è molto sbiadito; Marche e Umbria sono fagocitate dalla Lega e dal M5S.

Esce sconfitto tanto il centro quanto la sinistra, in tutte le loro gradazioni. Non solo è sconfitta la posizione centrista di FI e Noi con l’Italia-UDC, ma anche il centrismo del PD e dei sui nuovi alleati di centro (Civica Popolare di Lorenzin e Insieme).

Crescono con forza i cosiddetti populismi che fondano la loro proposta politica sul nazionalismo (“prima gli italiani”) e sul cambiamento radicale senza compromessi con l’ancien regime.

Personalmente ritengo sia riduttivo e semplicistico definire populiste le forze politiche che hanno prevalso in questa competizione elettorale. Tanto la Lega quanto il M5S riescono a raccogliere il consenso della metà degli elettori perché offrono una identità e una risposta al bisogno di protezione che le altre forze politiche non sono in grado di dare. Quando viene meno la protezione sociale e si dissolve l’identità sociale o di classe… anche il nazionalismo diventa la bandiera a cui aggrapparsi nel tentativo di recuperare una identità.

Si consolida la destra tradizionale che con Fratelli d’Italia di Meloni si attesta su un rispettabile 4,35% raddoppiando i voti e fungendo da argine ai movimenti neo-fascisti rappresentati da CasaPound e Italia agli italiani (lista nata dall’alleanza tra Forza Nuova e Movimento Sociale Fiamma Tricolore), rispettivamente fermi a 0,94% con 310.793 voti e 0,38% con 126.207 voti.

Si attenuano fin quasi a scomparire le differenze di voto tra Camera e Senato dimostrando che le differenze di voto tra i giovanissimi (18-24) e i meno giovani (25-39) tendono ad affievolirsi.

In sintesi, una notevole volatilità del voto: non c’è più il voto fedele e il 28% degli elettori cambia il destinatario del proprio voto. Non si raggiungono le vette del 2013 quando il 39% degli elettori cambiò voto e nemmeno quelle del 1994 quando fu il 36,7% a cambiare voto; sono state solo le terze elezioni più volatili della storia repubblicana ma non era mai successo che per due elezioni consecutive si manifestasse una volatilità così elevata.

Il M5S ha guadagnato 7 punti percentuali (e 2 milioni di voti) rispetto al 2013, il PD ha perso 6 punti, la Lega (“nazionalizzata”) fa un balzo di 13 punti quasi quadruplicando i voti. Il CDX guadagna circa 8 punti, il CSX ne perde  quasi 7. A sinistra del PD, considerando il dato delle due liste Liberi e Uguali e Potere al Popolo, lo stop arriva al 4,5% vale a dire un punto in meno rispetto al 5,5% raccolto da SEL e Rivoluzione Civile nel 2013.

Grande sconfitto è il PD che perde oltre 2,5 milioni di voti rispetto al 2013, pari a circa il 30%; ancora peggio Forza Italia che perde il 37% degli elettori del 2013, oltre 2,7 milioni d voti su circa 7,3 milioni, ma gli elettori di FI restano nell’area del CDX e solo marginalmente vanno verso il M5S o confluiscono nell’astensione.

Anche nell’astensione notiamo una tendenza contrastante: aumenta in alcune regioni e diminuisce in altre.

Modesto calo nazionale di circa tre punti nella partecipazione al voto rispetto al 2013: su 46.505.499 aventi diritto ha votato il 72,93% contro il 75,24% del 2013

La maglia nera spetta alla Sicilia dove ha votato il 62,75% contro il 64,58% del 2013.

Il record di votanti in Veneto con il 78,72% contro 81,75% del 2013; al secondo posto l’Emilia Romagna con il 78,27% contro 82,10% del 2013. Il record del decremento va al Molise che si ferma al 71,62% contro il 78,13%, seguito dal Lazio che si ferma al 72,57% contro il 77,50%.

Incremento in Basilicata (71,11 contro 69,49), Campania (68,17 contro 67,86), Calabria (63,63 contro 63,08).

Il 79% degli astenuti del 2013 riconferma la scelta astensionista; mentre il 7% vota per il M5S e il 4% per la Lega; il 3% per FI e il 3% per il PD. Continua a leggere

Il costo della democrazia

Candidarsi alle elezioni politiche costa.

Forza Italia ha messo nero su bianco le proprie regole di ingaggio: euro 30.000 come una tantum alla accettazione della candidatura e euro 900 entro il 10 di ogni mese per gli eletti.

Ovviamente, il contributo può arrivare da terzi che così potranno anche approfittare delle agevolazioni fiscali. Tutto nella opacità più totale, come già avviene con le fondazioni politiche. Sui nomi dei finanziatori c’è sempre la massima riservatezza.

Costi importanti anche per la Lega; si vocifera di un contributo di euro 20.000.

Nel PD c’è un contributo mensile di euro 1.500 a carico degli eletti, ma si vocifera che per essere candidato in determinati collegi come capolista occorre essere generosi con il partito.

Il Movimento 5 Stelle prevede il taglio di una parte dello stipendio, che viene devoluto al fondo per l’accesso al microcredito, e un contributo di 300 euro mensili per sostenere l’associazione Rousseau.

Sparito il finanziamento pubblico ai partiti, dobbiamo fare i conti con il finanziamento privato al candidato, che poi saprà come ricompensare gli sponsor …

Mentre i vecchi partiti sono in crisi, si moltiplicano le fondazioni politiche, oltre 100, strettamente legate a politici e a strutture partitiche, ma solo poche pubblicano i bilanci e rendono noti i loro finanziatori. Nonostante i tanti progetti legislativi, siamo in un campo senza regole che non conosce trasparenza.

Il rischio maggiore è che le Fondazioni si trasformino in collettori di finanziamenti politici ed elettorali.

I finanziamenti possono arrivare anche da Enti pubblici e Istituzioni. Per esempio, il Ministero degli esteri retto da Alfano ha elargito un contributo di 20.000 euro alla Fondazione De Gasperi presieduta da Alfano …

In assenza di una legge regolatrice le fondazioni vivono nell’opacità. A ciò si aggiunga che manca in Italia una legge sulle lobby, nonostante siano stati presentati una cinquantina di progetti di legge!

Il quadro si complica se all’intreccio opaco tra gestione finanziaria dei partiti, ruolo delle fondazioni, finanziamenti pubblici discutibili … si aggiunge un sistema dei partiti per nulla democratico e trasparente nei suoi processi decisionali. Continua a leggere