Nesso di causalità

28 aprile 2013 ore 11:34, Roma Palazzo del Quirinale: Enrico Letta e i ministri del 62° governo giurano fedeltà alla Repubblica. Stessa ora, poco distante, in Piazza Colonna, tra Palazzo Chigi e Piazza di Montecitorio, un uomo spara ferendo due carabinieri.

Inizia la corrida dei politici dalla dichiarazione facile e degli sgambettanti giornalisti che li rincorrono.

Apre la corsa il sindaco Alemanno: “Quando si dice diamo l’assalto al Parlamento, al Palazzo, presto o tardi, un pazzo, un folle, un disperato che esce e spara viene fuori”.

Prosegue Maroni: “l’idea che i politici sono causa di tutti i mali, le frasi di chi ha detto “bombardiamo il Parlamento” sono parole che hanno conseguenze”.

gasparri_ditoE poi Brunetta, Gasparri e avanti con le dichiarazioni tutte tese a stabilire un forte nesso di causalità tra la cosiddetta antipolitica e il gesto di un hombre.

Il top si raggiunge con la trasmissione In Onda: sul banco degli imputati, la critica alla “casta”. La tesi che la trasmissione intende discutere, muovendo dalle dichiarazioni di Alemanno, è il nesso di causalità, la responsabilità morale, tra la propaganda “di tanti anni di odio e di antipolitica” e lo sparatore. L’accusa è forte e sostenuta con veemenza, tanto Continua a leggere

E infine giunse Provvidenza…

rospo4Come in un western all’italiana quando ormai il nostro eroe sta per soccombere… arriva Provvidenza… Ma nella terra del Manzoni provvidenza significa molto: un mondo di attese, una filosofia di vita…

Riepiloghiamo.

Il PD conduce una pessima campagna elettorale: prende sberle da tutti e in particolare da Monti ma, nonostante ciò, il PD decide di tenere aperta la porta a una eventuale privilegiata collaborazione con la formazione politica guidata dal tecnico dei tecnici. Continua a leggere

Scalfarotto, NO a Rodotà

laico3In tanti si sono chiesti perché il PD non ha sostenuto la candidatura di Stefano Rodotà. Gli eventi politici di questi giorni, culminati con la riconferma di Napolitano, rischiano di finire nel dimenticatoio, perdendo un’occasione per comprendere le vicende politiche.

La politica, infatti, non dovrebbe mai ignorare i conflitti. Vediamo nel conflitto sempre e solo lo scontro. Esaltiamo gli aspetti patologici del conflitto, azzerando il dialogo tra i contendenti. Ma il conflitto offre anche un’opportunità di crescita e di sviluppo. Il conflitto va controllato e gestito per ridefinire la situazione tra le parti. Il conflitto non è solo pericolo, scontro è soprattutto opportunità, può essere quindi costruttivo: tutto dipende da come è vissuto, affrontato e gestito. Occorre però che i “contendenti” parlino, si confrontino, senza pregiudizi e senza la pretesa di dettare le regole del confronto. Mi soffermo sulle dichiarazioni di Scalfarotto, per tanti aspetti non dissimili da quelle di altri autorevoli commentatori (Francesco Verderame, Eugenio Scalfari), perché Scalfarotto è autorevole voce interna al PD essendo vice-presidente dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico nonché parlamentare.

Le motivazioni offerte da Scalfarotto mi hanno sorpreso per la totale mancanza di pregio culturale e politico. Eppure, Scalfarotto è persona capace dotata di sensibilità politica. Allora, perché? Riporto un ampio passaggio dell’intervento di Scalfarotto; chi volesse leggerlo per intero lo trova a questo link http://www.huffingtonpost.it/ivan-scalfarotto/perche-non-ho-votato-rodota_b_3114657.html

Perché non ho votato Rodotà. Ecco cosa spiega Scalfarotto. Continua a leggere

Marini, una brutta storia

La scelta di Marini come candidato del PD al Quirinale si inquadra nella perenne incapacità di decidere, propria di quel blocco conservatore e neo-consociativo che va sotto il nome di Partito Democratico.

Artefice del berlusconismo antiberlusconiano, ovvero di quella politica che si dichiara contro la cultura del potere incarnata da Berlusconi ma che nei fatti nulla fa per rimuovere i vulnus alla democrazia che con ipocrisia addebita a Berlusconi e alla sua coalizione, il PD non poteva fare scelta più opaca, grigia, avvilente.

Marini è un protagonista della storia repubblicana consociativa sfociata nella totale e pianificata lottizzazione della cosa pubblica. Storia che degenerò nella sistematica corruzione e nello svilimento della politica come mezzo per il personale arricchimento o come soluzione al personale problema occupazionale.

Marini fu protagonista di quella stagione di corporativismo post-fascista che portò le associazioni sindacali, CISL UIL e CGIL, a essere corresponsabili del potere politico che ha dissipato le risorse pubbliche e corrotto l’Italia.

Negli anni in cui Marini compiva la sua ascesa sindacale, i sindacati partecipavano alla gestione degli enti previdenziali e delle aziende monopoliste.

Le assunzioni clientelari, la gestione criminale delle pensioni, la pianificazione dello sfruttamento delle future generazioni, il parassitismo del pubblico impiego e della pubblica amministrazione, la pessima gestione del patrimonio pubblico sono tutti prodotti del consociativismo politico sindacale di cui Marini fu artefice e protagonista. La crescita elefantiaca della pubblica amministrazione, volutamente inefficiente, è uno dei tanti problemi che abbiamo ereditato da quella stagione degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso

Negli anni della sua ascesa sindacale, avveniva anche la totale occupazione della cosa pubblica da parte dei partiti. Occupazione alla quale Marini e i suoi colleghi assistettero con ignavia o con interessata partecipazione.

Marini rappresenta una storia di inconcludenti compromessi, di posticce e pasticciate non-soluzioni, di continui rinvii delle necessarie riforme nel tentativo di perpetuare un sistema fallimentare che doveva da tempo essere archiviato.

Marini, una bella storia ricca di successi per lui; una brutta storia per i milioni di italiani che patiscono e patiranno per le scelte scellerate di quella cupola politico sindacale di cui Marini fu protagonista; cupola che ha soffocato l’Italia, compromettendone il futuro e uccidendo la speranza.

In un ipotetico pasoliniano processo non esiterei a assolvere Marini, perché gli riconosco la “non consapevolezza”, vale a dire non era consapevole dei danni provocati e che avrebbe nel tempo provocato il sistema a cui partecipava. In altre parole, credo alla sua buona fede e persuasione della bontà di quella scuola democristiana e donatcattiana alla quale si è formato. Ma ciò non toglie che Marini è uno dei tanti protagonisti della storia passata che deve farsi da parte se comprende le proprie responsabilità storiche e politiche, deve essere messo da parte se non riesce a comprendere.

Marini rappresenta il passato da archiviare, una cattiva cultura delle istituzioni e della gestione della cosa pubblica; un inefficiente e pericoloso modo di intendere la democrazia che è partecipazione e non spartizione, lottizzazione, consociativismo, corporativismo.

Pessima scelta, dunque, quella del PD: ancora una volta dimostra di non saper guardare al futuro ma di saperlo compromettere nel disperato tentativo di far rivivere un passato che continua ad ammorbare l’aria e a rubarci la vita e il futuro.

L’Italia è evidentemente ancora fondata sulla resistenza del fascismo che sacrifica Mussolini per salvare il regime che aveva nel corporativismo il proprio pilastro.

Corporativismo tenuto in vita dal consociativismo politico sindacale di cui Marini è uno dei tanti protagonisti. Guarda caso tutti i protagonisti di quel sindacalismo sono passati alla politica in ruoli importanti e di prestigio, ma la politica non ne ha avuto alcun beneficio, anzi.

Marini rappresenta una brutta storia che ha devastato l’Italia e che dovremmo definitivamente archiviare.

E vi chiedete perché Berlusconi trionfa?

Con Berlusconi molti si illudono di poter avere qualche briciola dalla cultura del “voi politici fate quel cazzo che volete ma lasciateci fare quel cazzo che vogliamo“; con il PD molti italiani hanno capito che dietro le belle parole c’è solo la cultura del “io sono io e voi non siete un cazzo“.

Il pluralismo televisivo

TV_colorNel 1990 il Parlamento con la legge Mammì avrebbe dovuto risolvere il problema esploso con la nascita delle televisioni private, adempiere le sentenze della Corte Costituzionale che ne sancivano la legittimità, riconsiderare il controllo parlamentare sul servizio pubblico, procedere al riordino delle frequenze. Non raggiunse nessuno di questi obiettivi poiché quella legge (la 223 del 6 agosto 1990) si limitò a fotografare l’esistente: il passaggio dal monopolio Rai al duopolio Rai-Mediaset.

Nel 1994 interviene la Corte Costituzionale che con sentenza n. 420 censura la legge Mammì affermando che riconoscere a un solo soggetto la possibilità di gestire 3 reti private sulle 9 allora previste lede i principi costituzionali sull’informazione e il pluralismo. Continua a leggere

TV, stampa e Potere Politico

TV_BNIn Italia la TV nasce sotto il controllo del governo e vi rimane sino al 1975. Esisteva solo il monopolio di Stato. Dal ’75 il controllo sulla TV passa dal governo al parlamento. Il Tesoro (oggi il Ministero dell’Economia e delle Finanza) in qualità di azionista ha il suo peso. La riforma del ’75, voluta fortemente dal PCI, fu sbandierata come una vittoria del pluralismo. Nei fatti fu un perfezionamento della lottizzazione con l’allargamento del potere di controllo a un nuovo soggetto: il PCI che utilizzò quel potere non per scardinare la lottizzazione ma per entrare nel sistema dalla sala dei bottoni.

Il sistema rimase ingessato e tutti gli imprenditori che tentarono di scalfire quel monopolio televisivo fallirono (Agnelli, Rizzoli, Rusconi): non per incapacità, ma per compromesso politico. I loro interessi erano fortemente legati alla partitocrazia: preferirono quindi non entrare in rotta di collisione con il sistema politico incentrato sulla DC, che tentava di mantenere se stessa al potere, e sul PCI, che tentava di essere ammesso alla gestione del potere centrale in alleanza con la DC. In questo scenario, che Giorgio Galli definì “bipartitismo imperfetto”, s’inserirono Craxi e Berlusconi, che nel politico socialista trovò un referente autorevole.

Ha inizio una nuova stagione delle televisioni private (e per le radio private) ma anche una lunghissima e complessa vicenda giudiziaria che chiamò più volte la Corte Costituzionale a dirimere la matassa.

La Corte Costituzionale sancì il diritto di esistere della TV privata e poiché mancavano norme di riferimento e di regolamento della pluralità di mercato, la TV privata crebbe senza regole ma con un obiettivo preciso: arrivare a un peso di dimensioni pari a quelle della TV pubblica, intuizione o ambizione che mancò ai precedenti imprenditori della TV privata. Solo così, infatti, avrebbe potuto competere sul mercato pubblicitario basato sull’offerta a pacchetto proposta dalla SIPRA, concessionaria pubblicitaria della TV di Stato e della stampa di partito cui assicurava ricchi minimi garantiti (in sostanza forme di finanziamento ai partiti). Continua a leggere

Archiviare Berlusconi

imagesCAXOTEBNA rendere possibile l’ascesa di Berlusconi fu una legge elettorale (il mattarellum) e il sistema televisivo duo-polistico: entrambi prodotti della partitocrazia. Il duopolio televisivo fu voluto dalla partitocrazia pur di non mollare il controllo totale sulla RAI-TV. I sopravvissuti a tangentopoli illusero gli italiani che si apriva una nuova era, la seconda repubblica, per virtù della sola legge elettorale che lasciava immutato il sistema politico consociativo che, con la lottizzazione e la spartizione sistematica, aveva reso possibile il dilagare della corruzione e del malaffare.

La legge elettorale offrì a uno sveglio come mister B. l’opportunità di fare una duplice alleanza mettendo insieme l’inconciliabile: al nord la Lega con Forza Italia e con la diaspora di una parte di socialisti, democristiani e storici alleati laici; al sud Forza Italia e il MSI-AN. Le seconde file dei sopravvissuti a tangentopoli, con la loro gioiosa macchina da guerra, non avevano pensato a un’ipotesi simile. E rimasero con le pive nel sacco. Poi dovettero arrangiarsi a mettere insieme un’armata Brancaleone per conquistare il potere. Ci riuscirono, nel 1996, e con 3 Presidenti del Consiglio ressero pure per 5 anni (ci riuscirono perché l’alleanza del 1994 non si poté ricostituire nel ’96 per l’indisponibilità della Lega, giusto per non dimenticare). I vincitori del ’96 si guardarono bene dal toccare e risolvere una sola delle tante questioni che indicavano come vulnus per la democrazia; evidentemente, preferirono salvare il sistema partitocratico anche se questo comportava il rischio di riconsegnare il Paese nelle mani del demone mister B. Continua a leggere

Se si fosse votato col Mattarellum

images (1)Sebastiano Messina, con un articolo pubblicato su La Repubblica di giovedì 11 aprile 2013, ci dà conto di una simulazione del risultato elettorale nel caso si fosse votato il 24-25 febbraio 2013 con il cosiddetto Mattarellum anziché col Porcellum.

Messina fa giustamente una “premessa doverosa e sottintesa: quando cambiano i sistemi elettorali cambiano anche i comportamenti dei partiti e degli elettori” ma questa premessa passa rapidamente in secondo piano e ci assicura che il risultato della simulazione è assolutamente attendibile.

Per come ce la racconta, il risultato della simulazione non è attendibile, anzi è totalmente inutile. Quando parliamo di risultato elettorale ci riferiamo alla risultante di tante scelte individuali compiute con le stesse modalità e nello stesso periodo di tempo.

Approfondiamo queste doverose e sottintese premesse che dovrebbero essere il cuore di una ricerca. Continua a leggere

Immobile, da Lenin ai cinque stelle

Urban ComplexitySu La Repubblica di oggi 9 aprile leggo l’articolo di Andrea Manzella dal titolo “Da Lenin ai cinque stelle”. La lettura mi suscita la visione di una colonna di fumo parolaio: ulteriore conferma di quanto la crisi di rappresentanza sia anche il prodotto della crisi di rappresentazione.

Non c’è dubbio che esista una “questione parlamentare“, che si manifesta nella eterna inefficienza e inconcludenza del nostro sistema politico-istituzionale, ma a ciò si pone rimedio col rispetto delle leggi, che consentono anche di provvedere a nuove leggi, e non ricorrendo a scorciatoie interpretative che affossano ancor di più le Istituzioni, la cui credibilità è già gravemente compromessa.

Presentare le commissioni permanenticome strumenti essenziali per l’attuazione del suo programma (il riferimento è al Governo), come snodi delle filiere di maggioranza e opposizione” significa trasformare un aspetto della realtà per realtà assoluta e totalizzante. Colpisce nel ragionamento di Manzella l’assenza di riferimenti normativi. Continua a leggere

La giostra delle banalità

banale2Per politici e giornalisti la situazione non è sufficientemente seria da suggerire comportamenti più attenti, spirito critico e analisi. Infatti, prosegue intensamente la diffusione di banalità sempre più spudorate. Vediamone alcune.

Parlamento rinnovato: mai stati in Parlamento così tanti giovani e donne! Embè? Credo che il parlamento precedente sia stato quello con il più alto numero di rappresentanti di prima nomina; è forse stato il migliore degli ultimi decenni? Giovani e donne significa migliore qualità, efficienza, onestà, competenza? Non si dovrebbe andare in un brodo di giuggiole per un pugno di “giovani e donne” ma occuparsi dei metodi di selezione. Queste d0nne e questi giovani sono stati selezionati con gli stessi metodi e dagli stessi selezionatori dei precedenti parlamenti. Se il precedente parlamento non ci rappresentava, anche questo non ci rappresenta, a prescindere dal fatto che ci siano più persone gradite: nel caso, sarebbe solo un colpo di culo! Il gattopardismo è, appunto, dare l’impressione di cambiare nelle forme e nelle apparenze per in realtà non cambiare nulla. Continua a leggere