“Quasi tutti conoscono la storia del tizio che cercava le chiavi sotto un lampione non perché le avesse perse lì, ma perché quello era l’unico punto illuminato della strada. Di solito le barzellette non sono immediatamente comprensibili ovunque. È raro che l’umorismo attraversi le frontiere e in genere resta connotato a livello nazionale. Ma in questo caso potrebbe avere a che fare con una caratteristica inerente alla natura umana: cercare di vederci chiaro, che si parli di vista o di riflessione. Questo libro si riferisce a entrambe le cose: tratta di ciò che è in piena luce, le idee e i concetti che costituiscono i lampioni accesi in passato proprio per vederci chiaro”.
Con queste parole Jean-Paul Fitoussi introduce la sua brillante analisi della crisi delle economie occidentali.
Gli studiosi di ogni campo sono coloro che scelgono cosa occorre illuminare, i fenomeni da analizzare e i sistemi di misurazione da utilizzare. Ma cosa accade se compaiono fenomeni nuovi, o se ne riemergono altri che pensavamo appartenere al passato? Se continuiamo a cercare alla luce dei vecchi lampioni, allora, come l’uomo che ha perso le chiavi, perdiamo ogni possibilità di vederci chiaro. Ecco l’errore commesso, secondo Fitoussi, nell’odierna politica economica: illuminare dove non serve. Cercare soluzioni che possono anche essere giuste, ma che rispondono alle domande sbagliate. (Teorema del lampione, JP Fitoussi, Einaudi)
Tanti fenomeni nuovi, che hanno trasformato il mondo, hanno reso inefficienti e inadeguate le griglie interpretative tradizionali e così avanzano… i cretini istruiti.
Facile indicare l’euro come causa del nostro disagio economico, ma si crea così ancora una volta un falso e facile bersaglio contro il quale scagliarsi.
Devastante sarebbe l’ipotesi di un referendum per uscire dall’euro, a mio avviso inammissibile. Pensate cosa succederebbe sui mercati se per due anni l’Italia restasse sulla griglia del “euro sì, euro no”. Tra raccolta delle firme, verifica di ammissibilità e svolgimento del referendum potrebbero passare anche due anni: chi si fiderebbe nel mondo a comprare titoli di Stato italiani? Per avere una idea di cosa succederebbe, basta ritornare a quanto successe quando l’Italia uscì dallo SME; chiedete e indagate su cosa successe a coloro che avevano un mutuo in ECU. Adesso l’effetto sarebbe molto più devastante. Attenzione, tutti i nostri debiti individuali sono contratti in euro, ed euro dobbiamo restituire.
Certamente chi ha capitali all’estero avrebbe un bel vantaggio a riportarli in Italia dopo che questa sarà uscita dall’euro. Non vedo altri vantaggi reali perché quello sulle esportazioni sarebbe vanificato dal fatto che aumenterebbe il costo delle materie prime che importiamo e dalla circostanza che buona parte della italica produzione è in realtà effettuata in stabilimenti all’estero.
Allora?
Allora, se vogliamo cimentarci con il tema Europa, occorre considerare che ogni Paese membro dell’Unione Europea ha il diritto di cambiare governo ma non può cambiare politica. Democrazia formale, ma non sostanziale.
Grande successo per l’Italia, si è detto, per avere una nostra connazionale, Federica Mogherini, nel ruolo di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza… peccato non esista una politica estera europea e una politica europea di sicurezza.
Si pongono grandi aspettative sul semestre italiano e sulla rotazione nella presidenza del consiglio dell’Unione Europea, ma a voler ben vedere è una cosa insignificante e irrilevante.
La questione vera, dunque, è che siamo prigionieri degli strumenti che abbiamo inventato per liberarci dagli spettri del passato, ma non abbiamo il coraggio e la lungimiranza di pensare e progettare il futuro, sia per la mediocrità della classe dirigente europea sia per l’analfabetismo di ritorno che travolge i popoli europei.
Ciascuno di noi è ogni giorno bombardato da tantissime notizie, spesso contradditorie e frammentarie, che non ha il tempo di analizzare. Le notizie di oggi schiacciano quelle di ieri e tutti crediamo di sapere perché ascoltiamo, leggiamo… ma in realtà non sappiamo una mazza perché ci mancano il tempo per analizzare e gli strumenti interpretativi.
Sentiamo parlare di debito pubblico, fiscal compact, inflazione, deflazione, spread… e non ci rendiamo conto che quel che realmente manca è una politica europea nel senso pieno del termine.
L’Unione Europea è il risultato di accordi tra Stati in cui ciascuno mantiene la propria sovranità; altri accordi portano all’adesione alla moneta unica europea, l’euro, di cui parlava già Luigi Einaudi ed era chiara la ragione per cui ne parlava, evitare che la crescita si comprasse stampando moneta e facendo indiscriminato ricorso alla spesa pubblica. Il perverso circuito spesa pubblica, inflazione. Oggi abbiamo bisogno di inflazione e persino la discesa del prezzo del petrolio fa male alla ripresa economica. Il mondo rovesciato? Se a comprare i titoli di Stato sarà la banca centrale europea… sarà vanificata la ragione stessa della moneta unica. E’ allora un errore quanto si appresta a fare la BCE? No, è semplicemente un palliativo che non risolverà alcunché, limitandosi a concedere più tempo nella speranza che succeda qualcosa di buono per miracolo.
Non succederà nulla di buono o di rilevante perché non esiste alcuna crisi economica e tantomeno monetaria: siamo all’inizio di una profonda crisi di sistema. E’ in crisi il sistema consumistico-produttivo che l’Occidente ha esportato in tutto il mondo. Sistema che si è nutrito di falsità economiche, il PIL, che è un indice degli scambi totalmente irrilevante sul piano economico (un terremoto fa bene al PIL), e la crescita all’infinito, retaggio di una visione positivista che riduce tutto a una questione di tecnica, dimenticando che ogni tecnica utilizza risorse e queste sono finite e non infinite. Va ripensato tutto.
Allora, potrebbe succedere qualcosa di buono se affrontassimo il problema alla radice, mandando a riposare i grillo, i salvini, i le pen…
Occorre che si affronti con coraggio il tema degli Stati Uniti d’Europa, rilanciare e non chiuderci in un anacronistico nazionalismo che ci farebbe precipitare all’inizio del ventesimo secolo. Colmare il deficit politico realizzando una federazione di Stati.
Avendo rinunciato agli strumenti di politica monetaria, di bilancio, di cambio, non ci resterebbe che proseguire sulla strada della competitività e il primo effetto sarebbe la compressione dei salari.
Questa è la strada che l’Italia sta perseguendo, avendo negli ultimi due decenni fatto zero o quasi per attuare riforme strutturali.
Se un Paese guadagna in competitività significa che altri l’hanno persa.
Riflettiamoci.
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