28 aprile 2013 ore 11:34, Roma Palazzo del Quirinale: Enrico Letta e i ministri del 62° governo giurano fedeltà alla Repubblica. Stessa ora, poco distante, in Piazza Colonna, tra Palazzo Chigi e Piazza di Montecitorio, un uomo spara ferendo due carabinieri.
Inizia la corrida dei politici dalla dichiarazione facile e degli sgambettanti giornalisti che li rincorrono.
Apre la corsa il sindaco Alemanno: “Quando si dice diamo l’assalto al Parlamento, al Palazzo, presto o tardi, un pazzo, un folle, un disperato che esce e spara viene fuori”.
Prosegue Maroni: “l’idea che i politici sono causa di tutti i mali, le frasi di chi ha detto “bombardiamo il Parlamento” sono parole che hanno conseguenze”.
E poi Brunetta, Gasparri e avanti con le dichiarazioni tutte tese a stabilire un forte nesso di causalità tra la cosiddetta antipolitica e il gesto di un hombre.
Il top si raggiunge con la trasmissione In Onda: sul banco degli imputati, la critica alla “casta”. La tesi che la trasmissione intende discutere, muovendo dalle dichiarazioni di Alemanno, è il nesso di causalità, la responsabilità morale, tra la propaganda “di tanti anni di odio e di antipolitica” e lo sparatore. L’accusa è forte e sostenuta con veemenza, tanto che Telese chiede a Mario Giordano se confermerebbe alla luce di quanto successo il sottotitolo “Noi paghiamo il mutuo Loro si prendono i palazzi” del suo ultimo libri “Tutti a casa!”; la difesa è debole, praticamente inesistente. Inesistente è il ricordo dei decenni che hanno insanguinato l’Italia per le più disparate ragioni, comprese quelle inconfessabili di uomini dello Stato che invece di servire lo Stato tramavano contro. Assente è la lunga storia dell’antipolitica italiana. Assente il ricordo del “Che cos’è questo Golpe” e del quasi quarantennale “Io so” pasoliniano come la consapevolezza che l’espressione “il Palazzo” risale al 1975 come le seguenti parole di Pier Paolo Pasolini:
“I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorché nei servizi pubblici di prima necessità: ospedali, scuole, asili, ospizi, verde pubblico, beni naturali cioè culturali.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta tolleranza si è fatta ancora più profonda la divisione tra Italia Settentrionale e Italia Meridionale, rendendo sempre più, i meridionali, cittadini di seconda qualità.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta civiltà tecnologica si siano compiuti così selvaggi disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici, abbandonando, sempre selvaggiamente, a se stessa la campagna.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto progresso la «massa», dal punto di vista umano, si sia così depauperata e degradata.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto laicismo l’unico discorso laico sia stato quello, laido, della televisione (che si è unita alla scuola in una forse irriducibile opera di diseducazione della gente).”
Di tutta questa consapevole storia non c’è traccia nei piccoli politici e nei giornalisti che hanno dimostrato di aver rinunciato alla loro funzione, toccando il fondo con Sallusti e il suo “Arrendetevi, urla Grillo. Poi il pazzo di turno procede: chi non si arrende va abbattuto”
La faciloneria con cui si urla “Golpe!”, la retorica politica infarcita di “arrendetevi”, “siete circondati”, “siete tutti morti” … non è quel che serve a questo Paese per crescere e riprendere un percorso democratico da lungo tempo interrotto; ma da qui a considerare questo linguaggio come istigatore di violenza, come sobillatore dei facinorosi ne passa soprattutto quando la contestazione è incanalata in un percorso parlamentare e istituzionale.
Siamo di fronte, in ogni caso, a un evento isolato, al gesto di una persona che ha deciso di “farla pagare” anziché per disperazione togliersi la vita o scegliere altre forme di protesta. L’idea del gesto eclatante, del sentirsi vittima di un sistema, non è un atteggiamento nuovo e originale ma consueto e ben presente nella nostra cultura. L’idea qualunquista che i politici sono tutti uguali, ovvero ladri e corrotti, è vecchia come la Repubblica. La sfiducia nei partiti percepiti come elementi di disturbo nello sviluppo della individualità è presente nel grillismo come nel qualunquismo di Giannini. Il disprezzo per i professionisti della politica, che nella vita non hanno mai lavorato, e per il “teatrino della politica” sono cavalli di battaglia di Berlusconi.
La tesi della “responsabilità morale” è un cavallo di battaglia sin dagli anni ’70 del secolo scorso quando sistematicamente i “partiti dell’arco costituzionale” riuscirono a criminalizzare ed espellere dal dibattito politico quasi ogni forma di dissenso. Questa tesi della “responsabilità morale” si è rivelata sempre una vergognosa strumentalizzazione di avvenimenti drammatici per spudorata speculazione politica o semplicemente per incapacità professionale. L’evento del 28 aprile 2013 non sfugge alla regola storica.
Volete giocare a trovare il “mandante morale” del gesto di Preiti? Bene, procediamo.
Cominciamo con Borghezio che riguardo a Breivik, lo stragista norvegese, afferma “alcune delle idee di Breivik sono buone, altre sono ottime” e se queste idee sono sfociate nella violenza è per “l’invasione degli immigrati”. Sì, tranquilli è lo stesso Borghezio che ha definito governo del “bonga bonga” quello nato proprio il 28 aprile nel momento in cui un disperato sparava. Borghezio, Maroni, Calderoli, Salvini quello dei “napoletani colerosi”… Un intero partito cresciuto al verbo di Bossi, il leader storico che ha sdoganato nel linguaggio politico il vaffanculo accompagnato da braccio teso con pugno chiuso e dito medio ben in vista. Bossi: “la vita di un magistrato vale 300 lire, tanto costa una pallottola”. Sempre Bossi affermava che in Padania ci sono “300 mila uomini armati pronti a marciare su Roma”. Sempre Bossi ricordava che “noi Padani non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c’è sempre una prima volta”. Se esistesse il copyright del linguaggio politico, Grillo dovrebbe pagare un mucchio di diritti a Bossi per l’uso del brachilogico “vaffanculo”.
Su un livello più colto abbiamo Giuliano Ferrara che ha definito “sospensione della democrazia” la nascita del governo Monti mentre nella stessa sede del Teatro Manzoni nel novembre 2011 il moderato ministro Gianfranco Rotondi inveiva contro il “golpe bianco” e poi Sallusti, Feltri, Santanchè…
Non meno violenti e istigatori sono gli uomini di Chiesa e di Governo che definiscono “assassine” le donne che ricorrono alla interruzione volontaria della gravidanza e “assassini” i giudici che hanno ritenuto lecito autorizzare la sospensione dei trattamenti sanitari per Eluana. Che dire di Giovanardi per il quale un “drogato” può essere picchiato e se muore occorre rassegnarsi?
Un intero partito, in difesa del leader Berlusconi, occupa un Tribunale e da 19 anni parla di persecuzione giudiziaria. Afferma il PDL che “certe procure” sono politicizzate, ma se in un tempo così lungo l’Ordine Giudiziario non riesce a fermare questa persecuzione vuol dire che o non è persecuzione o l’Ordine Giudiziario è inefficiente al punto che una Procura può impunemente agire in violazione della legge o l’intero Ordine Giudiziario è al servizio di una “causa politica”. Può esserci una spiegazione logica diversa da una di queste tre proposte? In ogni caso, è certamente incapace Berlusconi che con i suoi governi non è riuscito a rendere efficiente in tutti questi anni il sistema giudiziario.
Ci vorrebbe un libro per raccogliere le dichiarazioni misogine, omofobe e razziste… ma l’incitamento all’odio razziale, la discriminazione di genere e la violenza contro donne e gay sono evidentemente bazzecole e quindi uomini delle istituzioni possono occuparsene solo a livello di barzellette e battute.
Passiamo a temi più leggeri. Gustavo Minzolini ci spiega che “la politica conta poco; per un anno e mezzo hanno governato i tecnici e i partiti davano solo il voto”. Devo essermi perso qualcosa. Un governo, per esistere, di cosa ha bisogno oltre al voto parlamentare? Una sciocchezza simile non dovrebbe scivolare nell’indifferenza di due bravi giornalisti come Telese e Porro che pretendono di occuparsi della pericolosità del linguaggio politico e della responsabilità di tale linguaggio come istigatore di violenza.
In Italia esiste una sola forma di governo, quello parlamentare. I Parlamentari con il voto danno la fiducia al governo e sono politicamente responsabili dell’attività di governo. I Partiti possono in ogni momento staccare la spina al Governo, decretarne la morte. Ferrara, Feltri, Sallusti insieme a parte rilevante del PDL hanno poco da lagnarsi: se il governo Monti è esistito è perché il PDL ha ritenuto utile farlo nascere; in caso contrario ci sarebbero state le elezioni anticipate. Inutile e ipocrita il tentativo di deresponsabilizzare i partiti che quel governo hanno voluto e sostenuto. Significa spacciare falsità e accreditare la tesi che in Italia viga un sistema di governo estraneo alla Costituzione; vale a dire quel colpo di stato di cui ciancia Grillo e prima di lui tanti esponenti del centro destra, Lega compresa. Ergo Minzolini, Sallusti, Ferrara, e tanti altri sono i mandanti e gli ispiratori del linguaggio di Grillo. Come ovviamente lo sono Gasparri e Santanchè che salutano la folla alla maniera tanto cara a Bossi.
Una formula giornalistica “governo tecnico” non può violentare la realtà sino al punto da imporsi come verità indiscutibile e indiscussa. Governo tecnico significa che a farne parte sono uomini non provenienti dai partiti, ma quei tecnici appena ricevono l’investitura dal potere politico diventano politici a tutti gli effetti perché agiscono politicamente ovvero nel rispetto dei processi decisionali stabiliti dalle regole parlamentari e costituzionali.
Le parole vanno pesate, soprattutto da chi ha incarichi istituzionali e da chi con la parola ci lavora. Sbagliato e scorretto stabilire con leggerezza e superficialità nessi causali tra parole, linguaggio politico e specifici atti di violenza. Pigrizia, disonestà intellettuale e incapacità portano politici, commentatori e giornalisti a riempire spazi televisivi e giornalistici con parole vuote, con formule semplicistiche alle quali rimangono attaccati come sanguisughe. Formule politico-giornalistiche ripetute ossessivamente al punto da avere il sopravvento sulla realtà: la finzione che diviene più reale del reale.
Qualcuno dirà che lo stesso Preiti ha affermato di voler uccidere un politico. E allora? Cosa avrebbe dovuto dire dopo essersi reso conto della assurdità del suo gesto? Magari è andato lì per togliersi la vita davanti a un politico ma non ne ha avuto il coraggio e per frustrazione ha sparato furiosamente… La verità sul perché di quel gesto non la conosceremo mai e forse non la conosce nemmeno il protagonista di quel gesto. Non è di alcuna utilità leggere gli eventi alla luce delle parole di chi tra le infinite possibilità di protesta sceglie quella meno opportuna: attentare alla vita altrui.
Cosa rimane di questa vicenda? Il dolore per le vittime di una cieca e stupida violenza; il disagio per un uomo che perde il contatto con la realtà; la tristezza per una politica in buona parte infarcita di faciloneria e stupidità disperante non meno di quella di Preiti; la desolazione di tanta politica che uccide la speranza nel domani con l’immobilismo, l’autoreferenzialità e l’inconcludenza. Tanto giornalismo che per mancanza di consapevolezza del proprio ruolo contribuisce ad appiattire le menti e a nutrire con slogan vuoti le opposte tifoserie. Tanto stupido e inutile giornalismo che non contribuisce a sviluppare pensiero critico, a stimolare ricerca e approfondimento. Viviamo nell’epoca della comunicazione ma si direbbe che il “quarto potere” ha cambiato natura diventando stampella dei primi tre.
La crisi di rappresentanza è sempre accompagnata dalla crisi di rappresentazione.