Il Senato delle Istituzioni territoriali

Se la riforma costituzionale sarà approvata con referendum, il Senato non dovrà più dare la fiducia al Governo, sarà formato da un sindaco per regione e un numero di consiglieri rapportato al peso demografico di ciascuna regione. Sindaci e Consiglieri saranno scelti da ciascun Consiglio regionale; a questi si sommeranno cinque senatori scelti dal Presidente della Repubblica tra i “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, per un totale di 100 senatori.

Il Senato non rappresenterà più la Nazione, privilegio che spetterà solo alla Camera dei deputati, ma sarà rappresentativo delle Istituzioni Territoriali (art 57 della nuova Cost).

Poiché ciascun Consiglio sceglierà con metodo proporzionale chi inviare al Senato, non si sa in base a quali previsioni e strumenti il Senato rappresenterà le Istituzioni territoriali. Al massimo i senatori rappresenteranno i partiti che li hanno espressi; infatti, non rappresentano i Governi regionali, come avviene in Germania, e non hanno vincolo di mandato.

La funzione del nuovo Senato è una vuota enunciazione.

Poiché si potrà formare in Senato una maggioranza di segno opposto a quella della Camera e, in ogni caso, a ogni senatore è riconosciuta la funzione legislativa (art 71 nuova Cost, nel 1° comma identico alla vecchia), è forte il rischio che si generi uno stato di perenne conflitto con l’altra camera.

Questi rischi sono concreti e riconosciuti persino da tanti sostenitori della Riforma.

Posso convenire, con i sostenitori della Riforma, che la causa di questo compromesso sia da ricercare nel fatto che nessun partito sostenne la soluzione alternativa proposta da Giorgio Tonini (PD), consistente nel replicare il modello tedesco, con un Senato composto dai Presidenti delle Giunte regionali, ma ciò non consente di concludere che poiché su questa formula non c’era accordo, il miglior compromesso fosse ripiegare sulla soluzione descritta, quella approvata, appunto.

Detta così, sembra che non ci fosse altra soluzione, invece il problema nasce da una camicia di forza indossata sin dall’inizio dell’era Renzi per obbedienza a un patto privato tra due segretari di partito. Patto che ha imposto il Senato con elezione indiretta, insieme ad altri punti.

Si poteva prevedere un Senato eletto dai cittadini per dare vita a una assemblea in grado di elaborare un “indirizzo politico repubblicano”, pur rappresentando le Istituzioni territoriali, e quindi con la funzione di individuare e stabilire i confini tra competenze statali e regionali, realizzando un centro istituzionale in cui i conflitti tra Stato e Enti locali potessero trovare la soluzione.

Il Senato così sarebbe stato avviato verso una nuova cultura politica e istituzionale in grado di affrontare e risolvere il contenzioso che caratterizza e caratterizzerà i rapporti tra Stato e Enti locali.

Non si tratta di pensare a soluzioni fantasiose, ma di attenzione istituzionale.

La Corte Costituzionale, più volte intervenuta nel contenzioso Stato-Regioni, con la sentenza n. 6/2004 ha indicato che la “perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi ha impedito che si realizzasse il principio autonomistico della riforma del Titolo V del 2001. Ciò che è mancato sono sedi istituzionali, strumenti e procedure che garantissero il coinvolgimento delle autonomie nel circuito decisionale della legislazione di livello nazionale. Quale occasione migliore della riforma del Senato per renderlo rappresentativo delle Istituzioni territoriali e in grado di fungere da raccordo tra le Regioni e tra lo Stato e le Regioni?

Allora, la scelta non era tra “mantenere l’attuale assetto che esclude la voce delle Regioni dal processo di formazione delle leggi dello Stato” o “un compromesso appoggiato da un ampio arco di partiti che conduce a questo risultato”… perché il risultato è tutto da inventare e non è stato creato alcun presupposto per crearlo. E’ vero che per giungere a questo risultato occorre che maturi una cultura politica condivisa, ma è ancor più vero che perché maturi occorre favorirla. E scegliere tra i gruppi consiliari qualche consigliere da mandare in Senato non è certo il modo migliore per favorire questa nuova cultura.

Se invece l’obiettivo era il risparmio di 315 stipendi, allora bastava dimezzare il numero dei Deputati e dei Senatori: risultato maggiore con molta semplicità e senza creare ulteriore confusione e inefficienza.

Sembra ormai la Repubblica dei costituzionalisti della banana con scontrino.

Le Regioni sono da molti anni al centro di tutto il sistema di corruzione e malaffare che infesta l’Italia. Però, senza attuare alcuna riforma dei Partiti, si decide di affidare alla più discreditata categoria di politici il compito di formare il Senato della Repubblica. Un bel regalo alla partitocrazia e ai comitati d’affari che inquinano le Istituzioni. Il rischio maggiore è avere un Senato dei Consigliori.

I costituenti fregnoni

I rappresentanti dei Partiti che occupano il Senato hanno approvato una modifica al famigerato art. 2 del testo di riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario e la revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione.

Sono tutti contenti, in particolare la gran parte dei dissidenti interni al PD, perché, dicono, è stato affermato un punto fondamentale e qualificante: saranno gli elettori a indicare coloro che tra i Consiglieri regionali andranno al Senato… a fare i dopolavoristi!

Ciarlatani.

Ecco cosa recita l’emendamento della ritrovata concordia: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge“.

Complimenti. In italiano significa poco e sul piano giuridico vale meno di zero.

In conformità alle scelte espresse dagli elettori” non ha alcun valore vincolante tenuto conto che la riforma costituzionale prevede che i consiglieri regionali eleggono CON METODO PROPORZIONALE i senatori tra i propri membri e tra i sindaci della Regione.

Da un lato si afferma che sono i consiglieri a eleggere tra loro i senatori, dall’altro lato si dice che lo fanno in conformità al voto degli elettori.

L’art. 2 appena approvato recita “I Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano, ELEGGONO, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”.

I sindaci sono tutti eletti dagli elettori e i consiglieri sceglieranno un sindaco per regione: che significa scegliere in conformità?

Quindi, i Sindaci mandati a fare i dopolavoristi a Palazzo Madama non sono scelti in conformità alle scelte degli elettori perché tutti i sindaci sono conformi alle scelte degli elettori.

Delle due l’una: o la maggioranza dei senatori è costituita da imbecilli o si tratta di disonestà intellettuale.

Le scelte dei consiglieri\elettori saranno autonome; e non può, nel nostro sistema, essere diversamente. Sono invitati a fare delle scelte che somiglino e corrispondano a quelle effettuate degli elettori, ma come possono essere “conformi” alle scelte degli elettori?

Considerate le nostre disposizioni, nessuno può essere vincolato a votare “in conformità” al voto espresso da altri.

Sono forse tenuti a eleggere i più votati? NO

E più votati in assoluto o in rapporto ai voti raccolti da ciascun partito? BOH

Sono forse tenuti a rispettare le proporzioni tra i diversi gruppi consiliari? NO

E come potrebbero farlo? Non potrebbero, considerato l’esiguo numero di senatori che ogni regione dovrà eleggere. E poi, non tutti i Consiglieri sono eletti direttamente: ci sono quelli che entrano in Consiglio con il Listino del candidato alla Presidenza della Regione. Sono questi ultimi esclusi dal computo dei Consiglieri che devono eleggere i senatori? NO, al momento no!

Rifletteteci. Fate delle simulazioni sui diversi scenari che si potrebbero verificare… e vi renderete conto che è stata scritta una autentica fregnaccia!

Cosa autorizza certi senatori a raccontare che saranno gli elettori a scegliere i Senatori? Risposta: l’imbecillità o la malafede, o un mix di entrambe le cose.

Se sono scelti o indicati dagli elettori a che serve che i Consiglieri Regionali li eleggano? Boh!

Devono convalidare l’elezione fatta dagli elettori?

Siamo al delirio!

Poi, cosa c’entra con il Senato rappresentativo delle Istituzioni Territoriali la nomina, facoltativa, da parte del Presidente della Repubblica di cinque Senatori per meriti analoghi a quelli degli attuali Senatori a vita?

E i Senatori a vita attuali, che fine fanno? Tranquilli, sono confermati, al momento. Quindi, il numero dei Senatori è mobile: 95 + gli ipotetici magnifici 5 del PdR + gli attuali Senatori a Vita.

Che si tratti di una epidemia di demenza senile?

Boschi, basta la parola

Boschi8Qualcuno ricorderà lo slogan “Falqui, basta la parola”… erano i tempi di Carosello!
Falqui, il più noto lassativo… ascoltare Boschi è inizialmente rilassante, ma poi…

Chi ha ascoltato la puntata del 2 dicembre di Otto e Mezzo, se non si è lasciato distrarre dagli occhi blu e dalla ammaliante mimica facciale, non avrà potuto fare a meno di notare l’inconsistenza di quanto detto dal Ministro e la contraddittorietà di quanto affermava.

Gruber inizia ricordando che anche esponenti del PD sono coinvolti nella nuova indagine con annessa retata che scuote la politica romana.
Il ministro Boschi ci ricorda, bontà sua, che in Italia vige la presunzione di innocenza e aggiunge che il “PD romano deve fare chiarezza perché evidentemente esiste un problema“. Di grazia, su cosa deve fare chiarezza? Fa una indagine parallela?
O si aspetta l’esito delle indagini, dell’eventuale rinvio a giudizio e dei processi o cautelativamente un Partito decide di sospendere coloro che sono indagati o accusati di gravi reati. Delle due l’una. Non si comprende in cosa consista l’esortazione a fare chiarezza se si coniuga con la precisazione che tutti sono innocenti fino a prova contraria. Questione di regole, non di chiarezza. Continua a leggere

Non c’è solo l’elezione del Senato

ass_costNon c’è solo la riforma del Senato, rivendica Renzi.Giusto, verissimo. La riforma costituzionale in discussione non riguarda solo il metodo elettivo del Senato. C’è molto di più nella riforma costituzionale sulla quale si cerca di imporre tempi certi per arrivare al voto, come se si trattasse di una qualsiasi discussione per la conversione di un decreto in scadenza e dimenticando che non dovrebbe essere il Potere Esecutivo a farsi carico di una riforma istituzionale e in più minacciando o riforme o voto

Poi che razza di minaccia è?

Andremmo al voto con una legge puramente proporzionale e chissà se i parlamentari avrebbero il pudore e l’onestà di compiere quel piccolo compito che la Corte Costituzionale ha imprudentemente affidato loro: “Per quanto riguarda la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza, …, possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte” o con “interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia”, scriveva la Corte con la sentenza 1/2014.

In ogni caso, ci ritroveremmo ancora nella stessa situazione attuale: altamente probabile l’impossibilità di formare una maggioranza politica in grado di svolgere efficientemente le funzioni istituzionali. Quindi, che minaccia è o riforma o voto?

Tradotta, la minaccia significa: molti di voi non saranno rieletti, volete continuare a prendere lo stipendio e magari aumentare le probabilità di essere ricandidati o preferite andare a casa?

A quale logica democratica e del diritto costituzionale si appella un Governo che minaccia o riforma o voto?

Non dimentichiamolo, si tratta di riforme costituzionali non di riforma della sanità, delle pensioni o altre materie ordinarie…

Come si diceva, cambierà il sistema di elezione del Senato; saranno i consiglieri regionali a eleggere tra i consiglieri stessi e tra i sindaci di ciascuna regione coloro che svolgeranno anche le funzioni di Senatore.

Il Senato non dovrà votare la fiducia all’esecutivo e avrà funzioni legislative ridotte e differenziate rispetto alla Camera.

Si supera quindi il bicameralismo perfetto e, se non fosse per il modo irresponsabile e inefficace con cui si rischia che avvenga questo superamento, sarebbe pure una bella notizia. Continua a leggere

Il Senato dei… consigliori

Fiorito: poteva essere un Senatore

Fiorito: poteva essere un Senatore

Il bicameralismo perfetto non era molto gradito già ai tempi della Costituente. Allora i Costituenti non seppero trovare compromesso migliore tra le diverse posizioni; prevalse il timore di un esecutivo troppo forte – d’altra parte si usciva dal fascismo – e si presero decisioni che certamente privilegiarono la rappresentatività sulla governabilità.

In sintesi, la Costituzione prevede identici poteri per ciascuna delle due Camere che devono, entrambe, dare la fiducia all’Esecutivo (art. 94 Costituzione). Inizialmente prevedeva diversa durata per la legislatura del Senato e della Camera; tuttora prevede corpo elettorale diverso, assegnazione dei seggi su base regionale (art. 57 Costituzione), numero minimo di senatori per ciascuna Regione, anche senza diretta proporzione con la popolazione, cosicché Basilicata e Abruzzo hanno lo stesso numero di senatori sebbene la prima abbia la metà degli elettori della seconda.

L’eventualità che dalle elezioni non scaturisse una maggioranza di governo era ben presente sin dall’inizio e fu una consapevole scelta dei Costituenti: vollero che l’esecutivo fosse espressione del Parlamento, rappresentante della sovranità popolare.

Già nel 1953 si tentò di rafforzare la governabilità e la stabilità di governo modificando la legge elettorale. Tra infinite polemiche, la nuova legge fu approvata e passò alla storia come “legge truffa” perché alterava la proporzionalità della rappresentanza parlamentare assegnando un premio a chi avesse già conquistato la maggioranza assoluta. Il premio non scattò alle elezioni del 1953, la legge fu cancellata e si tornò alla legge precedente.

Così negli anni si cercò ancora di assicurare la governabilità agendo sempre sulla legge elettorale e lasciando inalterato l’assetto costituzionale, che rimane pur sempre a centralità parlamentare, vale a dire: gli elettori eleggono i parlamentari e questi decidono sul governo; il potere esecutivo è quindi nelle mani del Parlamento.

A forza di leggi elettorali che scimmiottavano sistemi maggioritari si è raccontata la favola del “governo eletto dal popolo” o del “premier voluto dagli elettori”. Continua a leggere