Quando sceglie il popolo

Quando sceglie il popolo… va al potere il Fascismo e il Nazismo.

Il popolo sceglie sempre Barabba e condanna Gesù!

Nonostante ciò, la Sinistra DEM subordina il proprio voto favorevole sulla riforma costituzionale alla condizione che sia ripristinata l’elezione diretta dei senatori e chiede garanzie in tal senso.

Non si comprende cosa significhi chiedere garanzie e chi, giunti a questo punto, abbia il potere di dare garanzie, dopo aver votato la castroneria dei senatori eletti “in conformità” alle scelte effettuate dagli elettori.

In ogni caso, colpisce osservare la diffusa indifferenza e diffidenza verso le scelte effettuate dagli elettori.

Sovente, emerge il timore che il popolo faccia scelte sbagliate.

Così avvenne con Fascismo e Nazismo, che indubbiamente godettero ampio consenso popolare.

Inevitabile rievocare anche il caso Gesù: il popolo condannò Gesù e preferì Barabba. Continua a leggere

L’Italia diventerà più efficiente?

Con questa riforma costituzionale l’Italia non guadagnerà proprio nulla sul piano dell’efficienza istituzionale.

Avremo differenti iter legislativi (secondo autorevoli analisti dei sistemi politici ne avremo ben 7), tutti potenzialmente portatori di conflitti. Potrà nascere un contenzioso infinito tra le due camere, tra parlamento e governo, tra questi e le regioni.

Anche questa riforma è una occasione persa per riformare i partiti al fine di introdurre democrazia e trasparenza nei processi decisionali, nella selezione dei candidati, nell’affidamento degli incarichi.

Inutile girarci intorno: i Partiti sono il primo motore del sistema di corruzione e di favoreggiamento della criminalità organizzata, ormai infiltrata in tutte le Istituzioni. Sono i partiti che selezionano i candidati e spesso li impongono nelle assemblee elettive, da anni rappresentative dei partiti e non degli elettori. I cittadini sono prima esclusi dalla selezione dei candidati, privati del diritto di scelta tra i candidati e quando possono scegliere sono limitati da un menù imposto che non concorrono a determinare.

Si afferma che l’attuale Senato rappresenta le sabbie mobili dell’attività legislativa. Si tenga presente che ogni governo repubblicano è sempre stato sostenuto dalle stesse formazioni politiche in entrambe le camere. Quindi, se una legge passa alla Camera e poi si insabbia in Senato significa che le forze politiche che sostengono il governo utilizzano il bicameralismo per contrattare tra loro. Il problema non sta quindi nell’obbligato passaggio da una camera all’altra, ma nel sistema e nella cultura dei partiti, nella qualità dei parlamentari e nei meccanismi di selezione dei parlamentari. Il bicameralismo esiste anche in Francia e, nonostante sia frequente avere tra le due camere maggioranze di diverso orientamento politico, non esiste il problema sabbie mobili. Il rischio è stato risolto con una Commissione paritetica bicamerale che interviene quando emerge un conflitto tra le attività legislative delle due camere.

In ogni caso, il Senato conserverà la pienezza della funzione legislativa e l’assenza di un mandato politico e di una maggioranza politica potranno portare il Senato in rotta di collisione con la Camera dei deputati nell’esercizio della funzione legislativa.

L’elezione indiretta nel nostro sistema potrebbe anche essere una cosa interessante, se non fosse realizzata in modo illogico e irresponsabile affidando una camera parlamentare alla più squalificata categoria di politici, a un corpo elettorale numericamente misero e con vincoli di scelta assurdi.  Il rischio è avere un organo costituzionale che rappresenterà solo interessi locali o, peggio, comitati d’affari. Un Senato in cui si rafforzerà il potere dei partiti e il rischio di infiltrazioni malavitose. Un regalo alla partitocrazia, un raccordo perfetto tra comitati d’affari locali e centri di potere nazionali.

Questa riforma è priva di coraggio, conservatrice, criminogena perché oggettivamente favorisce i potentati locali, i comitati d’affari, le oligarchie partitocratiche e le conventicole di ogni genere. Il risultato sarà nuova inefficienza e caos istituzionale.

 

Si veda anche

Il nuovo Senato in 5 mosse

La riforma del Titolo V della Costituzione

Marino, tra bullismo e Lista Nazionale

Il caso Marino ha assunto toni farseschi degni di una realtà e cultura politica che fa impallidire Cetto La Qualunque. La realtà politica è più comica della finzione cinematografica, ma proprio per questo assume i toni drammatici che solo la messinscena della realtà può avere: se non fosse realtà, verrebbe da ridere.

In tanti hanno dato interpretazioni dell’accaduto e su tutte spicca quanto scrive Gilioli in Non è politica, è bullismo; vi invito a leggere questo contributo. Molto interessanti i retroscena raccontati da Marco Causi: testimonianza della pessima qualità del personale politico ormai incapace di decenza, dignità e pensiero.

linettiMa anche Gilioli ha commesso un errore… non usa brillantina Linetti. Scrive Gilioli: “La questione oggi, infatti, non è più se Marino ha fatto errori ma è se la caduta di un governo cittadino debba avvenire nell’aula dei rappresentanti eletti dai cittadini – cioè il consiglio comunale – oppure debba avvenire con uno stratagemma (le 25 dimissioni) che impedisca il confronto pubblico, deciso in una sede non istituzionale e non rappresentativa dei cittadini, su imposizione del commissario di un partito e con i suoi consiglieri che obbediscono all’ukase per la paura di non essere ricandidati. E questo ovviamente varrebbe chiunque fosse il sindaco, e pure se fosse Barbablù.

La questione oggi? Ma neanche per sogno! La questione che oggi si ripropone è vecchia di qualche decennio e ha raggiunto l’apice con l’avvento di Renzi al governo. Tutto avviene e si decide fuori dalle sedi istituzionali perché questo è il tratto caratteristico della partitocrazia.

E’ la questione che caratterizza la storia repubblicana: le crisi di governo extraparlamentari. “Se i partiti politici, all’interno dei loro organi statutari dovessero sempre prendere le decisioni più gravi sottraendole ai rappresentanti del popolo, tanto varrebbe –  lo dico naturalmente per assurdo – trasformare il Parlamento in un  ristretto comitato esecutivo. Risparmieremmo tempo e denaro. Una democrazia che avvilisce il Parlamento avvilisce se stessa e le masse elettorali”, Cesare Merzagora, presidente del Senato, 25 febbraio 1960. Si consumava allora la crisi del governo Segni che lasciò il posto al governo Tambroni.

Tanto per rinfrescare la memoria, con l’operazione Renzi siamo tornati indietro di 54 anni. Il governo Letta lascerà il passo al governo Renzi con una manovra extraparlamentare che è la peggiore conferma del sistema partitocratico che da sempre regge la Repubblica Italiana. Continua a leggere

Cos’è la partitocrazia

La forma di governo creata dalla nostra Costituzione così come da altre costituzioni continentali, approda ad una forma esplicita di partitocrazia, e non di governo parlamentare.

La nostra Costituzione vieta ogni mandato imperativo, che leghi il rappresentante alla volontà degli elettori; ma allo stesso tempo la Costituzione e le leggi elettorali creano i presupposti di un ben più temibile mandato imperativo, il quale subordina gli eletti ai loro veri committenti, i quali non sono più gli elettori bensì le direzioni dei partiti.

Il Parlamento controlla il Governo ma le direzioni di partito controllano il Parlamento e, attraverso il Parlamento, il Governo; se poi direzione di partito e governo s’identificano, il controllato diventa controllore, con evidente eversione di ogni schema di governo parlamentare“.

Giuseppe Maranini, 1952

Non vi pare che questo scenario sia esattamente quel che si verifica in Italia e si rafforzerà con l’Italicum?

Non esiste possibilità alcuna di riformare questo Paese e contenere la dilagante corruzione se non si parte dal sistema dei Partiti per affermare trasparenza e metodo democratico nei processi decisionali interni ai partiti, nell’affidamento degli incarichi, nella selezione dei candidati.

Il Senato dei… consigliori

Fiorito: poteva essere un Senatore

Fiorito: poteva essere un Senatore

Il bicameralismo perfetto non era molto gradito già ai tempi della Costituente. Allora i Costituenti non seppero trovare compromesso migliore tra le diverse posizioni; prevalse il timore di un esecutivo troppo forte – d’altra parte si usciva dal fascismo – e si presero decisioni che certamente privilegiarono la rappresentatività sulla governabilità.

In sintesi, la Costituzione prevede identici poteri per ciascuna delle due Camere che devono, entrambe, dare la fiducia all’Esecutivo (art. 94 Costituzione). Inizialmente  prevedeva diversa durata per la legislatura del Senato e della Camera; tuttora prevede corpo elettorale diverso, assegnazione dei seggi su base regionale (art. 57 Costituzione), numero minimo di senatori per ciascuna Regione, anche senza diretta proporzione con la popolazione, cosicché Basilicata e Abruzzo hanno lo stesso numero di senatori sebbene la prima abbia la metà degli elettori della seconda.

L’eventualità che dalle elezioni non scaturisse una maggioranza di governo era ben presente sin dall’inizio e fu una consapevole scelta dei Costituenti: vollero che l’esecutivo fosse espressione del Parlamento, rappresentante della sovranità popolare. 

Già nel 1953 si tentò di rafforzare la governabilità e la stabilità di governo modificando la legge elettorale. Tra infinite polemiche, la nuova legge fu approvata e passò alla storia come “legge truffa” perché alterava la proporzionalità della rappresentanza parlamentare assegnando un premio a chi avesse già conquistato la maggioranza assoluta. Il premio non scattò alle elezioni del 1953, la legge fu cancellata e si tornò alla legge precedente.

Così negli anni si cercò ancora di assicurare la governabilità agendo sempre sulla legge elettorale e lasciando inalterato l’assetto costituzionale, che rimane pur sempre a centralità parlamentare, vale a dire: gli elettori eleggono i parlamentari e questi decidono sul governo; il potere esecutivo è quindi nelle mani del Parlamento.

A forza di leggi elettorali che scimmiottavano sistemi maggioritari si è raccontata la favola del “governo eletto dal popolo” o del “premier voluto dagli elettori”. Continua a leggere

Ho visto un merlo ubriaco

merloLa lettura di Il footing dell’ostruzionismo di Francesco Merlo, la Repubblica del 25 luglio 2014, mi ha ricordato la danza di un merlo ubriaco per essersi ingozzato di fichi strafatti al sole. Non è educato ironizzare sul cognome delle persone, ma Merlo se le va proprio a cercare con i suoi frequenti articoli privi di lucidità e obiettività, ma in compenso ricchi di parole svuotate di significato: logorrea onanistica.

Se bastasse l’uso e l’abuso del vocabolo “riforma” per essere dei riformisti… allora gli ultimi due decenni sarebbero per la politica e le Istituzioni italiane un trionfo di riformismo. Se non mi credete, interrogate Maria Stella Gelmini: in 30 secondi vi snocciolerà un elenco di riforme attuate da Berlusconi e dai suoi magnifici governi.

Necessario andare oltre le parole e analizzare nei fatti cosa avviene, cosa è avvenuto e cosa si preannuncia… prima di scrivere “ieri sera i giovani recitavano il ruolo dei vecchi, gli innovatori si degradavano a conservatori”.

Non basta proporre riforme per essere dei riformatori e non basta contestare tali riforme per essere arruolati tra i conservatori. Pessimo e inutile giornalismo quello che piega la realtà a parole abusate. Siamo alle riforme mestruali (ricordate lo slogan di Renzi, Una riforma al mese?), ma cosa c’è oltre le parole e gli slogan? Continua a leggere

C’era una volta Fruffrù

paggio2C’era una volta Fruffrù

E c’è ancora… adesso vi racconto la storia.

Fruffrù è un giovane Stato baciato dal sole.
In alto grandi occhioni blu e una corona di vette innevate. Scendendo, una lussureggiante pianura attraversata da un placido e generoso fiume e poi dolci colline, coste dai fondali cristallini, città armoniose e monumenti invidiati in tutta la galassia.
I suoi abitanti si chiamano fruffruttini; sono amabili, gioviali, fantasiosi; amano la bella vita, il buon cibo e il buon bere.
Un po’ pasticcioni e fatalisti; sanno divertirsi e godersi la vita, ma sono anche grandi lavoratori dotati di notevole creatività.

Un popolo di poeti, birbanti, artisti, navigati politici e mignottoni.

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Quando c’era Berlinguer

quandoWalter Veltroni con un film-documentario rilancia e ripropone alla memoria collettiva la figura di Enrico Berlinguer: un uomo, un politico, un comunista, un mito.
Sì perché parlare di Berlinguer significa parlare di un mito, spesso anche per coloro che non lo conobbero e non vissero il periodo a cavallo tra gli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo scorso.
Enrico Berlinguer fu il segretario del PCI dal 1972 al 1984, quando tragicamente si spense a causa di un ictus che lo colpì durante un comizio.

Ogni volta che si parla di Berlinguer riecheggia una domanda: “come è stato possibile scivolare così in basso?Continua a leggere

I Partiti e la Costituzione

Girano da tempo fantasiose interpretazioni dell’art. 49 della Costituzione e in tanti gareggiano per attribuire ai Partiti funzioni costituzionali che non esistono. Ero già intervenuto sul tema con Metodo democratico e per sottolineare quanto il tema sia sempre stato caldo avevo rievocato le parole di Calamandrei in Assemblea Costituente

La Corte Costituzionale con la sentenza 1/2014, quella che ha censurato in più punti il Porcellum, fa piazza pulita di tutte queste fantasie, chiarisce in modo inequivocabile quale sia il ruolo dei Partiti, conferma quanto lucide e lungimiranti fossero state le osservazioni di tanti acuti osservatori, purtroppo sempre messi in minoranza dagli interessi convergenti tra i partiti che hanno sempre bloccato l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, principio fondamentale per il funzionamento della democrazia.

Scrive la Consulta:
“…questa Corte ha chiarito che «le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la “presentazione di alternative elettorali” e la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.

Prosegue la Corte:
Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si è già espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest’ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza» (sentenza n. 203 del 1975).

E ancora:
Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978).

In breve, il Parlamento non è l’assemblea dei rappresentanti del popolo sovrano ma dei rappresentanti dei partiti.
Partiti che non sono organizzati garantendo trasparenza e democrazia nei processi decisionali interni, compresa la scelta dei candidati.

Una democrazia non può esser tale se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi e in cui si scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti coi sistemi democratici.
L’organizzazione democratica dei partiti è un presupposto indispensabile perché si abbia anche fuori di essi vera democrazia” (Calamandrei in Assemblea Costituente)

La prima riforma urgente e non più rinviabile è attuare l’articolo 49 della Costituzione, approvare una disciplina legale per i partiti che stabilisca requisiti minimi per assumere cariche di partito e assicuri trasparenza e democraticità nella vita interna dei Partiti stessi.

In mancanza di ciò si rafforzerà la degenerazione del sistema verso “l’autoritarismo partitico” che Giuseppe Maranini definì “partitocrazia”.

Non ne abbiamo ancora abbastanza della oligarchia partitocratica che ha devastato e devasta l’Italia?

Cultura di governo e assenza di democrazia.

inciucio2Il problema dell’Italia repubblicana è da sempre la mancanza di democrazia e di alternativa alla cultura di governo un tempo incentrata sulla DC e da due decenni sul duopolio centrosinistra – centrodestra.

Chi un tempo rappresentava la maggior forza d’opposizione, il PCI,  rinunciò a svolgere questo ruolo cercando semplicemente di essere ammesso alla spartizione del potere. Questa stortura del nostro sistema politico ha consentito che la promettente democrazia repubblicana degenerasse ben presto in partitocrazia (ne parlava già all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso il pericoloso rivoluzionario Cesare Merzagora).

Se vogliamo trovare qualche esempio di cultura di governo alternativa alla DC e ai suoi mendicanti alleati dobbiamo volgere lo sguardo verso la casa radicale: unica presenza politica in Italia dal 1946 a oggi che ha dimostrato che è possibile vincere battaglie impensabili lavorando sulle “cose” e non sulle “formule. Alleanze per “fare” e non per “conquistare”. Continua a leggere