Nel 1974 il Parlamento approva la legge n. 195 che introduce il finanziamento pubblico ai partiti. Pochi colsero allora come oggi la natura incostituzionale e partitocratica della legge Piccoli che introduceva il finanziamento pubblico ai partiti. L’art. 3 prevedeva che il finanziamento andava ai gruppi parlamentari “per l’esercizio delle loro funzioni” e per “l’attività propedeutica dei relativi partiti” e obbligava il gruppo parlamentare a versare “una somma non inferiore al 95% del contributo riscosso” ai partiti; parallelamente, introduceva il finanziamento per l’attività “elettorale” dei partiti. Si configurava una evidente e palese violazione dell’art. 67 della Costituzione poiché il parlamentare è per Costituzione indipendente e senza vincolo di mandato. La legge 195/1974 instaura una commistione tra due identità giuridiche distinte: il Gruppo parlamentare, che è parte della struttura legislativa dello Stato e quindi certamente figura di diritto pubblico, e il Partito, che invece è regolato dal diritto privato e si configura come un’associazione di fatto. In forza della legge il gruppo parlamentare si ritrovava ad avere una posizione debitoria verso il partito. Inoltre, la legge finanziando i partiti già presenti in Parlamento introduceva un elemento di vantaggio rispetto ai nuovi soggetti politici, cristallizzando i rapporti di forza e le posizioni acquisite in chiara violazione dell’art. 49 della Costituzione, perché il diritto dei cittadini di associarsi in partiti si configura in un diritto di serie A per i cittadini che si associano a quelli già esistenti e in un diritto di serie B per coloro che si associano a partiti nuovi. Danno ulteriormente aggravato nel caso una nuova formazione non riuscisse a raggiungere il quorum per entrare in Parlamento: il finanziamento era riservato a chi raggiungeva almeno “un quoziente in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300.000 voti di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2 per cento dei voti validamente espressi”. Ovviamente, anche chi non raggiungeva il quorum aveva sostenuto delle spese; il finanziamento pubblico, lungi dal favorire la partecipazione dei cittadini alla politica, mirava a consolidare posizioni di potere cristallizzate in Parlamento. Continua a leggere
Archivio mensile:dicembre 2013
Iniquità fiscale
L’iniquità fiscale si materializza in tanti modi ma sostanzialmente tutti riconducibili a due grandi categorie:
• procedure arzigogolate, complesse e oppressive
• entità impositiva spropositata e contraria al principio di progressività e proporzionalità.
Provo a esporre un caso concreto per dimostrare l’assunto enunciato.
Venerdì 6 dicembre ricevo a casa con posta ordinaria la comunicazione del Comune per il pagamento della TARES. La scadenza indicata di pagamento è il 30 novembre. Al l’avviso di pagamento è allegato un modello F24 semplificato compilato in modo incompleto. E’ indicato che il pagamento si effettua tramite modello F24, che moltissimi italiani non sanno cosa sia, ma non è indicato dove si paga, con quali strumenti e modalità: si può rateizzare? Si può compensare con altri crediti? Non sono indicate le sanzioni in caso di omesso, ritardato o incompleto pagamento. In poche parole un avviso di pagamento che fa carta straccia di tutti i diritti del contribuente e che ha il valore della carta straccia.
Telefono alla Ragioneria del Comune e carinamente mi spiegano che posso pagare fino al 16 dicembre senza alcuna sanzione, bontà loro. Alla domanda se posso pagare in compensazione con crediti IRPEF la risposta è “non lo so, non è compito mio questo; provi a chiedere al suo commercialista o all’agenzia delle entrate”.
Questi sono i risultati di un modo delirante e demenziale di legiferare e gestire la cosa pubblica.
La democrazia soffre e muore per volontà anche di una pubblica amministrazione che ha comportamenti vessatori nei confronti del cittadino e che non si pone al servizio del cittadino.
Pagare le tasse è un dovere ma chi ha il potere di imporre le tasse ha il dovere di farlo in modo civile, giuridicamente corretto, nel rispetto delle leggi e dei diritti costituzionali del cittadino. Se non è così lo Stato finisce per comportarsi in modo camorristico.
Le norme non sono chiare e il cittadino che vorrebbe fare il proprio dovere è costretto a vagare sul tabellone del gioco dell’oca come una stupida pedina in balia dell’alea dei dadi. Quando ti rivolgi alla pubblica amministrazione con un quesito chiaro e preciso di norma porti a casa risposte vaghe, imprecise, incomplete, errate.
Nel mio caso mi sono sentito già contento e soddisfatto perché sono stato trattato in modo formalmente educato; anche questa è già una fortuna perché in Italia chiunque si senta investito di un qualsiasi potere assume l’arroganza di don Rodrigo, che si tratti di un parcheggiatore abusivo o di un parlamentare.
Il secondo punto dell’iniquità: la violazione del principio di progressività e proporzionalità.
Senza entrare in eccessivi dettagli tecnici, prendo come riferimento un parametro della TARES facilmente comprensibile a tutti. La TARES è la Tariffa comunale sui rifiuti e servizi, composta da una parte fissa calcolata sulla superficie catastale, una parte variabile calcolata sul numero degli occupanti l’immobile, una maggiorazione per finanziare i servizi indivisibili e infine l’immancabile tributo provinciale.
La maggiorazione è pari a € 0,30 per mq (mq sta per metro quadro, nel caso qualche legislatore leggesse questo modesto scritto) per i cosiddetti servizi indivisibili: illuminazione pubblica, polizia locale, verde pubblico, manutenzione delle strade, l’anagrafe… insomma tutti quei servizi che non sono erogati su domanda individuale (come il trasporto scolastico, per esempio) ma erogati genericamente alla collettività, non necessariamente o non esclusivamente residente (del verde pubblico e dell’illuminazione godono anche coloro che sono di passaggio ). Una puntuale elencazione dei servizi da finanziare con questa maggiorazione sarebbe stata gradita, giusto per rispetto del cittadino a cui si prelevano forzosamente dei quattrini. La maggiorazione può da ciascun Comune essere elevata a € 0,40 a mq, magari perché il fratello del sindaco è un fiorista e la piazza comunale è ogni giorno ingentilita con gradevoli e profumati fiori, che come tutti sappiamo costano non poco.
Non si comprende perché sia stata presa come base di calcolo l’unità di misura del metro quadro e non per esempio il numero delle lettere che compongono il nome del contribuente o la sua altezza, età…
Non esiste infatti alcuna relazione tra mq e servizi indivisibili da finanziare con tale maggiorazione e non c’è nemmeno progressività poiché il mq non è unità di valore. Possedere 100 mq in periferia non è come possedere 100 mq con vista sul Duomo di Milano, siamo d’accordo?
Moltissime famiglie non hanno il privilegio di avere illuminazione pubblica. Moltissime famiglie per raggiungere casa devono zigzagare tra buche di antica memoria perché le strade sotto casa non sono mai state asfaltate. Moltissime famiglie devono trasportare i rifiuti ai cassonetti disseminati senza criterio in varie zone del territorio comunale; così occorrerà fare diverse tappe in base al tipo di rifiuto da riporre con garbo nei cassonetti. Chi vive in campagna ha solitamente spazi abitativi superiori a chi vive in appartamenti di città ma ben diversa è la fruizione dei servizi indivisibili.
La stessa quota fissa della TARES è calcolata sulla superficie catastale. In sostanza la tassazione è per la parte nettamente preponderante basata sul numero di mq di cui si dispone e prescinde dal numero dei produttori di rifiuti, dall’entità dei rifiuti prodotti, dalla erogazione effettiva dei servizi indivisibili.
Una persona che vive da sola in 200 mq produce più rifiuti di una persona che abita in 50 mq? Disporre di una maggiore superficie significa automaticamente avere più capacità contributiva?
Oltre a non rispettare il principio di progressività, non è rispettato nemmeno il criterio della proporzionalità tra servizi fruiti e imposizione fiscale.
I legislatori hanno fatto una scelta arbitraria, irragionevole e stupida che viola ogni principio costituzionale in materia fiscale e di equità.
Lo Stato, da sempre criminogeno, ormai procede spedito sulla strada criminale: la camorra diventa sempre più un competitor.
Parole in libertà
Parole in libertà. Ho sempre avuto difficoltà a riconoscermi nell’esortazione “Bisogna rispettare le opinioni altrui”. Sin da bambino mi chiedevo “perché dovrei rispettare le opinioni, le idee di Hitler? E dei razzisti che vogliono bianchi da una parte e neri dall’altra?”
Crescendo ho maturato una convinzione che ancora mi accompagna: il rispetto è dovuto alla persona e al diritto di ciascuno di pensare e dire quel che crede; nessun rispetto è dovuto per il prodotto della libertà di pensiero e di espressione. In altri termini, è diritto di ciascuno dire quel che crede ed è mio diritto qualificare nel caso come scemata ciò che è stato detto, con il dovere di argomentare e spiegare il giudizio espresso.
Non ho così alcun problema a definire scemata l’affermazione di Grillo e di tanti esponenti del M5S così come le analoghe scemate di Renato Brunetta e di tanti esponenti di FI.
Recentemente hanno affermato che 148 parlamentari sarebbero illegittimi e dovrebbero essere estromessi dalle Camere. Non serve andare molto in là per cogliere quanto siano cretine opinioni di questo genere e quanto sia stupido e servile il sistema dell’informazione che ormai svolge il ruolo del banale reggi microfono. Non serve un sistema giornalistico con tanti quotidiani, TV, radio… per semplicemente tenerci informati sulle cazzate sparate da qualsiasi pirla. Bastano le semplici agenzie di stampa: mi collego all’ANSA o all’ASCA o all’Adnkronos e sono informatissimo sulle dichiarazioni di ogni politico minchione e non, ma prevalgono sempre i cazzoni…
Un po’ di logica non guasterebbe. Se i 148 parlamentari sono illegittimi perché la Corte Costituzionale ha bocciato il premio di maggioranza, allora lo sono anche tutti gli altri perché la stessa Corte ha bocciato la mancanza del voto di preferenza; in altri termini, il cittadino è stato privato del diritto di scegliere il corpo legislativo.
Non solo.
Se sono illegittimi i 148, con chi li sostituiamo? Impossibile procedere alla sostituzione poiché anche i “non eletti” sarebbero non legittimati.
Se seguiamo il ragionamento del duo comico Grillo-Brunetta ne consegue che l’intero parlamento è illegittimo. Attendiamo le dimissioni dei parlamentari del M5S, di Brunetta, che ha smarrito il collegamento con i suoi neuroni, e dei suoi illegittimi commilitoni.
La realtà è che questi parlamentari sono stati eletti con le regole allora in vigore e con quelle regole occorre fare i conti per determinarne la legittimità.
Il porcellum non può più essere applicato ma non per questo decadono gli atti che dalla applicazione di quella legge sono derivati.
Quanto alla illegittimità dell’elezione del Presidente della Repubblica, vale ancora una volta il principio della presunzione di legittimità: chi ha eletto il Presidente della Repubblica, nel momento in cui procedeva all’elezione, riteneva di essere nel diritto di farlo in forza di una legge che gli affidava tale compito. Quindi, la circostanza che oggi la legge elettorale sia stata censurata dalla Suprema Corte in due punti fondamentali non toglie legittimità giuridica a quanto precedentemente deliberato. Pensate a cosa accadrebbe se venisse meno il principio della continuità storica dell’autorità statale. Che ne sarebbe dei trattati internazionali siglati negli ultimi anni da governi legittimati da parlamenti che non sarebbero stati legittimati a farlo?
Il problema piuttosto si pone dal momento in cui saranno depositate dalla Corte Costituzionale le motivazioni della sentenza sul Porcellum. Sono ansioso di leggerle ma in via generale ritengo che il problema della legittimità delle Camere ci sia da quel momento in poi e soprattutto se le Camere vorranno procedere con la revisione della Costituzione.
Analogamente trovo stupide le osservazioni di chi afferma che così la Corte ci fa precipitare al proporzionale in vigore fino al 1993 a nella ingovernabilità. Costoro dovrebbero avere un briciolo di onestà intellettuale e iniziare a guardare la realtà per quello che è: la nostra Costituzione non ha voluto affrontare il problema della governabilità demandando la soluzione di questo compito al parlamento.
Con questa Costituzione non può esistere alcuna legge elettorale in grado di assicurare la governabilità perché anche se dal voto uscisse fuori una maggioranza in grado di assumere il governo del Paese, è sempre possibile un cambio di maggioranza e un conseguente governo che con il voto non ha nulla da spartire; e sarebbe un governo pienamente costituzionale e legittimato. In fondo il governo Monti è nato così; ma anche il governo Dini, D’Alema, Amato… Le forze politiche, i costituzionalisti, i media… hanno sinora preso in giro se stessi facendoci perdere 60 anni: è dal 1953 che cercano invano di risolvere il problema della governabilità agendo sulla legge elettorale.
L’opinione di Giorgio Napolitano sulla legittimità delle Camere è al momento una opinione tra tante che si regge più su considerazioni di buon senso, come d’altra parte fanno Zagrebelsky e Onida, che su considerazioni di merito. La questione vera è che si fa da domani e fin dove è lecito e opportuno che si spingano le Camere. Se Napolitano riterrà ancora di avallare il percorso di riforma costituzionale che ha contribuito a mettere in moto, certamente non avrà la mia approvazione e checché lui potrà dire non ritengo che questo Parlamento sia legittimato a riformare la Costituzione: non lo era prima, figuriamoci adesso.
La realtà è che non abbiamo strumenti per venire fuori da questo casino in cui ci troviamo per responsabilità primaria di tutte le Istituzioni troppo attente alla prassi e all’interesse del momento e poco alla lettera della nostra Costituzione. Non mi stancherò di sottolineare il ruolo gravissimo e pesante che in tutta questa vicenda ha avuto il presidente della Repubblica in carica nel 2005: Carlo Azeglio Ciampi.
Per buon senso, occorre trovare con questo Parlamento una soluzione decorosa perché si possa procedere in tempi ragionevoli a nuove elezioni e occorre che tutte le forze politiche e le persone che rappresentano le più alte Istituzioni repubblicane prendano consapevolezza che la riforma della Costituzione deve necessariamente essere affidata a una Assemblea Costituente eletta in modo proporzionale dai cittadini italiani.
E adesso… salsicce
E adesso… salsicce! In attesa di conoscere le motivazioni della Consulta sulla bocciatura di due aspetti caratterizzanti della legge elettorale nota come Porcellum, possiamo svolgere alcune considerazioni generali.
È stato bocciato il premio di maggioranza e il sistema delle liste bloccate. Entrambi i punti sono responsabili di aver privato l’elettore del diritto di scegliere il corpo legislativo e di rendere diseguale il voto sino al punto di dare un indebito e irragionevole premio a chi prende più voti. Basti pensare al premio di maggioranza regionale al Senato per rendersi conto della irragionevolezza dell’attuale legge che rende diseguale il voto (ne parlo più specificamente in Lo Stato dei partiti e in Democrazia e Stato di diritto).
Sebbene la legge elettorale non sia stata bocciata in toto, non mi convince la tesi della legittimità del Parlamento. A mio avviso il parlamento non è legittimato proprio perché i punti censurati dalla Corte Costituzionale incidono direttamente sulla composizione della assemblea e sulla consistenza dei gruppi. I parlamentari non sono stati votati dagli elettori e non rappresentano gli elettori; il meccanismo di selezione dei candidati non è avvenuto con criteri democratici quindi non c’è nemmeno la legittimazione indiretta tramite i partiti.
In questa situazione sarebbe preferibile procedere al più presto a nuove elezioni, anche sulla base della legge elettorale di risulta sulla base delle decisioni della Suprema Corte, e contemporaneamente procedere alla elezione di una nuova Assemblea Costituente eletta su basi rigorosamente proporzionali. L’iter di riforma della Costituzione messo in moto in questa legislatura deve essere interrotto perché questo parlamento non ha la legittimità per revisionare la Costituzione, figurarsi per riscriverla; o almeno bisogna introdurre l’obbligo del referendum confermativo della riforma costituzionale.
Ne conseguono altre necessità non più rinviabili.
Ricordiamo quanto avvenuto: 3 parlamenti negli ultimi 8 anni sono stati eletti con una legge che oggi la Corte Costituzionale boccia sulla base di rilievi sollevati sin dal 2005, in occasione della discussione in parlamento e senza che allora il presidente della Repubblica Ciampi abbia ravvisato elementi di incostituzionalità, da tanti indicati e francamente alquanto evidenti. Non è pensabile che si possa ripetere quanto già avvenuto. Occorre limitare l’onnipotenza del legislatore per garantire che su determinate materie legiferi nel rispetto della cornice costituzionale. Lo stesso principio deve essere affermato laddove il Parlamento decida di legiferare su una materia sulla quale il corpo elettorale si è espresso con un referendum, esercitando il potere di sindacato sull’attività legislativa. Occorre introdurre la valutazione obbligatoria preventiva di determinate leggi, tra cui certamente la legge elettorale.
Non più rinviabile l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione affinché i partiti siano effettivamente strumenti organizzativi nelle mani dei cittadini per partecipare alle scelte di politica nazionale. Occorre assicurare la democraticità dei processi decisionali interni ai partiti e solo su questa base prevedere nel caso contributi pubblici o agevolazioni fiscali o di qualsiasi altro genere.
Infine, una considerazione generale.
La nostra Costituzione ha sacrificato la governabilità in nome della rappresentanza. I legislatori hanno ucciso anche la rappresentanza. La nostra Costituzione non richiede che dal voto scaturisca un vincitore in grado di governare. Se succede è solo una eventualità. Se non succede è il parlamento che deve provvedere a trovare un esecutivo per il Paese.
Se vogliamo che dal voto scaturisca immediatamente un governo occorre cambiare la Costituzione.
Sinora il parlamento dal 1953 ha aggirato furbescamente le questioni di fondo agendo in modo pedestre sulla legge elettorale, sino a spingersi surrettiziamente alla introduzione della elezione diretta del premier.
Sentiamo così molti politici, a mio avviso più vicini alla qualifica di impostori che a quella di rappresentanti del popolo, cianciare intorno a “governo eletto dal popolo” dimenticando che il popolo e la Costituzione non prevedono alcuna elezione diretta dell’esecutivo e qualora dal voto scaturisse un partito o una coalizione con i numeri per governare, la stessa maggioranza legittimata dal voto potrebbe il giorno dopo sfaldarsi e dare vita ad altra maggioranza perfettamente legittimata sul piano politico e giuridico perché la nostra Costituzione non contempla il vincolo di mandato e prevede che qualsiasi governo è legittimo se ha la fiducia del Parlamento. Quindi, nessuna governabilità o “governo votato dal popolo” o “governo noto già alla sera dopo il voto” possono essere assicurati a Costituzione invariata, checché ne dicano i retori della Costituzione. E non ne possiamo più di sentire menestrelli nelle vesti di statisti gridare al golpe o di “governo del Presidente” quando il Parlamento vota la fiducia al governo Monti o al governo Letta, così come in passato la votò al governo Dini, D’Alema, Amato… tutti governi nati in Parlamento per responsabilità esclusiva e totale dei parlamentari stessi.
Il modello elettorale ragionevole a costituzione inalterata può essere l’uninominale secco all’inglese o il doppio turno di collegio, a mio avviso da preferire a quello di coalizione, ma occorre tenere ben presente che queste soluzioni elettorali non assicurano proprio nulla se manteniamo inalterato l’assetto costituzionale. Il turismo tra i gruppi parlamentari sarà sempre possibile e i gruppi parlamentari potranno sempre dare vita a nuove alleanze sovvertendo l’esito del voto.
Le Primarie e… oltre
Il 14 dicembre sapremo se i 474mila iscritti della Spd (i socialdemocratici tedeschi) approveranno gli accordi che i dirigenti di partito hanno siglato con Angela Merkel.
Da noi l’11 dicembre ci sarà il passaggio parlamentare con voto di fiducia al governo di Enrico Letta.
Bella differenza.
Lì si approva o si boccia la Grande Coalizione e precise proposte politiche; qui i rappresentanti di partiti, sfiduciati e incapaci di rinnovarsi, prima “fiduciano” la Larghe Intese, poi le sfaldano senza sfiduciarle, infine un passaggio parlamentare con voto di fiducia terrà a battesimo la nuova maggioranza di governo, frazione della vecchia, che ha già incassato un voto di fiducia: nascerà la Nuova Grande Intesa?
Crisi dei partiti, ovunque non solo in Italia.
Crisi della rappresentanza ma anche della rappresentazione.
Rimettere al centro gli iscritti, ridare forza alla partecipazione.
Certamente un rischio per la democrazia rappresentativa ma corre un rischio maggiore se si consolidano i rapporti oligarchici di potere.
Sostanziare la rappresentanza e la sovranità.
Siamo ben lontani da ciò, anche se a sinistra le primarie sono già una realtà, a destra nemmeno questo.
Primarie però troppo giocate sulle personalità più o meno talentuose, invece di privilegiare i contenuti.
In Italia mi sembra che l’unico che abbia, in questa fase politica e storica, posto al centro il problema del partito e del ruolo che deve avere in una moderna democrazia sia Fabrizio Barca, che ha scelto di puntare su Giuseppe Civati. E al contempo si tiene fuori dalla gara per la leadership del partito forse proprio perché ha chiaro che occorre andare oltre le primarie.
In democrazia non c’è mai una strada obbligata.
Il referendum Spd ha proprio questo significato.
Noi abbiamo scelto questa strada ma altre possono essere scelte: decidete voi se seguirci su questa strada o se volete che ne esploriamo altre.
Fiducia, responsabilità, sovranità.
Inutile nascondersi che il tema mette in discussione il principio costituzionale della libertà di movimento di ogni parlamentare “senza vincolo di mandato” ma se si continua a parlare di governo scelto dagli elettori bisognerà pur porsi questo problema. Diversamente, smettiamola di raccontarci un film che non esiste perché noi elettori oggi contribuiamo a formare il Parlamento che poi deve provvedere alla scelta dell’Esecutivo: con questo assetto costituzionale inutile porsi l’obiettivo della governabilità agendo sulla legge elettorale. Anche se il risultato fosse raggiunto sarebbe solo un fatto casuale, tecnico ma non sostanziale, come ampiamente dimostrato da governo Dini, D’Alema, Amato, Monti…
Ho molte perplessità sul percorso deciso per la scelta del segretario PD e non mi convince il confronto tra i candidati, troppo piegato sulle persone e poco sulla elaborazione di contenuti e scelte condivise. Mi sembra che manchi nei bravi candidati la necessaria capacità si sintesi tra le diverse sensibilità.
Non mi convince nemmeno l’allargamento a coloro che non sono iscritti. OK dichiarano di votare PD che per definizione significa “aver votato PD“… cosa di poco valore da tanti punti di vista compresa l’ampia sovrapposizione tra elettori PD e SEL alle ultime elezioni politiche.
Perché non rimettere al centro iscritti e simpatizzanti?
In questa fase sento più vicino alla mia lettura Fabrizio Barca e Giuseppe Civati ma è solo l’inizio di un percorso…
Il Porcellum a giudizio
Sarà la Suprema Corte a giudicare la costituzionalità del Porcellum. Mai è esistito Porcellum di così sana e robusta costituzione. Paradossale ma è così. Analizziamo le varie ipotesi.
La Corte Costituzionale dichiara inammissibile il ricorso. Aldilà delle motivazioni che potrà addurre, emergerebbe che la legge elettorale sarebbe sottratta al giudizio di costituzionalità. La legge elettorale non è una legge qualsiasi: è una legge costituzionalmente necessaria, obbligatoria. Possiamo accettare che una legge così fondamentale per la formazione del Parlamento possa essere non conforme ai principi costituzionali? Tutti i robusti dubbi sulla costituzionalità della legge elettorale resterebbero vivi più che mai. Davvero qualcuno può essere così riduttivo da ritenere che la conformità alla Costituzione si limiti al rispetto dei pochi requisiti richiesti? Età per l’accesso alle cariche elettive, cittadinanza italiana, godimento dei diritti politici? Tutto qui? Certamente no. Il voto deve essere personale, eguale, libero e segreto. Sono eleggibili tutti gli elettori, recita la Costituzione; ma è davvero così? O la legge elettorale limita e condiziona il diritto alla eleggibilità? Davvero tutti i cittadini sono uguali nell’esercizio del diritto alla eleggibilità? Bene! Se la Corte Costituzionale deciderà per l’inammissibilità del ricorso sulla costituzionalità della legge elettorale sapremo che il rischio di eversione per volontà del Parlamento è assolutamente possibile e incombente.
Se la Corte Costituzionale deciderà per l’ammissibilità del ricorso avremo due possibili scenari. O il porcellum è conforme alla Costituzione o è fuori dalla Costituzione. Tertium non datur .
Se il porcellum fosse ritenuto costituzionale significherebbe che la nostra democrazia è per costituzione una oligarchia partitocratica. OK, tanti dubbi, rilievi già espressi anche dalla Suprema Corte, tante irragionevolezze… ma in definitiva tutto rientrerebbe nel potere discrezionale del legislatore. Come dire, parola di legislatore parola di re!
Se il porcellum fosse ritenuto non costituzionale significherebbe che la democrazia italiana è priva di difese poiché negli ultimi 8 anni ben 3 parlamenti sarebbero stati eletti sulla base di una legge incostituzionale che ha fatto macelleria dei principi della rappresentanza parlamentare.
La strada quasi obbligata per la Corte sarebbe un intervento manipolativo della legge elettorale o riportare in vita il Mattarellum. Il Parlamento dovrebbe essere immediatamente sciolto e si svolgeranno nuove elezioni.
Ci potranno essere molte possibili variazioni sul tema ma la sostanza dovrebbe essere il film che ho descritto: un bel pasticcio che con qualsiasi esito confermerebbe l’inadeguatezza della nostra Costituzione. Continua a leggere
Larghe Intese o Larghe Pretese?
Le Larghe Intese non ci sono più. Amen, pace all’anima loro. Non sapevo che la nostra Costituzione prevedesse un passaggio parlamentare a ogni cambio di etichetta governativa. Deve trattarsi di un passaggio in ombra. Oggi è di scena il Governo balneare. Il mercoledì abbiamo il Governo tecnico. La domenica è il turno del Governo di unità nazionale… Formule per tutti i gusti e per tutte le tasche nel suq istituzionale.
Qualcuno mi sa spiegare con serietà e ragionevolezza l’invito al “passaggio parlamentare” che il Presidente della Repubblica ha rivolto a Letta?
Scrive l’Ufficio Stampa del Quirinale “Il Presidente Napolitano non ha mai parlato in questi giorni di “verifica”, bensì di un passaggio parlamentare che segni discontinuità, cioè di una nuova investitura del governo da parte del Parlamento.”
Discontinuità tra cosa a cosa?
Un Governo incaricato si presenta alle Camere, ottiene la fiducia e governa. La ottiene e poi la perde su uno specifico procedimento? Allora verificherà in Parlamento se c’è o non c’è ancora una maggioranza che lo sostiene. C’è una mozione di sfiducia ai sensi dell’art. 94 della Costituzione? Il Governo si presenterà in Parlamento per la verifica.
Ma cos’è il “passaggio parlamentare”? Dove sta scritto che il Governo debba avere una “investitura” e a ogni cambio di etichetta? Chi decide l’etichetta? Dov’è il dispositivo di legge che certifica che la fiducia è stata data al “governo delle larghe intese”? Cambia la definizione, via serve un “passaggio parlamentare”!
C’è stata una scissione interna a un partito che sosteneva il governo. Una parte continua a sostenerlo, l’altra parte è passata all’opposizione.
Questa frattura c’è stata e il governo ha già incassato un voto di fiducia sulla legge di stabilità a scissione avvenuta. C’è già stato dunque il “passaggio parlamentare” che ha certificato l’esistenza di una maggioranza nonostante la frattura interna al PdL. Cosa serve ancora? E dove è previsto ciò che si chiede visto che a chiederlo è nientepopodimeno il Presidente della Repubblica?
Certamente mi sbaglio ma avverto la sensazione della fregatura che talvolta si percepisce in un mercato popolare, in un suq… Poiché in un modo perverso e discutibile è stato messo in moto un pretenzioso iter che attraverso comitati di saggi e riscrittura dell’art. 138 della Costituzione avrebbe dovuto partorire la grande riforma istituzionale e la riscrittura della Costituzione, adesso con la perdita di un pezzo di maggioranza non ci sarebbero più i richiesti due terzi per approvare in Parlamento la riforma. Il traballante edificio, che ricorda molto gli elefanti appesi al filo di una ragnatela, rischia adesso di crollare. Un servizievole e accomodante passaggio parlamentare che formalizzi la discontinuità di questo Governo da quello precedente potrebbe risultare gradito alla parte che si è staccata dalla maggioranza governativa: un bel palcoscenico per parlare al proprio elettorato e segnare le distanze con i “traditori”. Una ghiotta occasione per far pesare le proprie condizioni nel tormentato percorso di riforma. Cosa sarà sacrificato? Cosa sarà concesso per non far crollare il pretenzioso edificio? Chilosa!
Allora, più che la fine delle Larghe Intese questo preteso, ingiustificato, inutile passaggio parlamentare serve a sottolineare che eravamo e siamo sotto il segno del Governo delle Larghe Pretese.
ISTITUZIONI: io vi condanno
Quando sento che un detenuto è morto in una cella di 11 mq in cui stavano in undici detenuti, che nelle carceri sono ospitati molti più detenuti di quanti per legge dovrebbero ospitarne, che non si garantiscono ai detenuti condizioni di vita umane e rispettose dei diritti costituzionali, delle leggi e dei regolamenti penitenziari, che sovente i detenuti subiscono maltrattamenti e aggressioni spesso “silenziate”, che gran parte del personale penitenziario vive nella perenne violazione dei diritti lavorativi, non ho alcuna esitazione a condannare le persone che rappresentano i vertici istituzionali: il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Ministro della Giustizia, la Magistratura, i Direttori degli istituti penitenziari, il Parlamento e l’Esecutivo tutto.
Signori, io vi condanno.
Non vi condanno al carcere (non ci sarebbe posto, poi) perché la mia condanna è disapprovazione per il vostro operato.
E’ inammissibile e inconcepibile che un Paese che ha la pretesa di definirsi democratico, Stato di diritto non riesca da decenni a risolvere il problema penitenziario: se sfogliassimo i quotidiani dell’ultimo mezzo secolo scopriremmo che i problemi di oggi sono costantemente presenti tra le chiacchiere politiche.
Poiché non è mai stato vero che l’esempio viene dall’alto, ritengo che la responsabilità maggiore non sia dei vertici istituzionali ma dei Direttori degli Istituti di pena.
Chi ha la responsabilità di un Istituto di pena ha il dovere di ospitare i detenuti nel rispetto rigoroso delle regole.
Dal momento stesso in cui il direttore di un Istituto di pena non è più in grado di garantire il rispetto della legalità, la sicurezza e la salute dei detenuti deve alzare bandiera bianca e respingere ogni richiesta di carcerazione comunicando semplicemente e rispettosamente che se accogliesse altri detenuti violerebbe le leggi.
Nessuno può essere obbligato a compiere reati.
Il direttore di un Istituto di pena non è tenuto a modificare l’organizzazione della struttura in modo tale da violare la legge e compromettere la sicurezza dei lavoratori e dei detenuti. Superata la soglia di tolleranza, il portone si chiude e non entra più nessuno.
Se il carcere non è nelle condizioni di tutelare la salute e garantire adeguata assistenza sanitaria, se il carcere non può curare, il carcere diventa automaticamente incompatibile e i medici penitenziari devono senza esitazione certificare tale stato di cose in modo che si disponga l’immediato trasferimento verso strutture sanitarie adeguate.
Cosa fare dei detenuti che non trovano “ospitalità” negli Istituti di pena non è compito dei direttori dei penitenziari. Questo compito è dei giudici, del ministro competente e del parlamento.
Ciascuno faccia la parte che compete e tutto funzionerà meglio.
La Magistratura prenda atto delle condizioni penitenziarie e agisca nei confronti dell’inadempiente potere esecutivo e legislativo con la formale messa in stato d’accusa per sistematica violazione dei diritti costituzionali del cittadino detenuto.
C’è la notizia di reato, c’è il reato, ci sono i responsabili.
Non esiste nobiltà della funzione se non c’è responsabilità: i parlamentari e i ministri sono investiti di alte funzioni e devono essere responsabili del loro fare e non fare, diversamente li trasformeremmo in inutili e pericolosi ciarlatani, in accattoni di voti per soddisfare i loro problemi occupazionali e reddituali.
Non c’è più posto nelle carceri? I Giudici dispongano la carcerazione domiciliare.
Il detenuto è un soggetto giuridico a tutti gli effetti che mantiene tutti i diritti compatibili allo stato di detenzione: la pena deve essere esattamente quantificata e predeterminata nei suoi aspetti afflittivi. Il fatto che normative internazionali abbiano dovuto confermare i principi di uguaglianza dei diritti dei soggetti detenuti sottolinea come le pratiche detentive siano distanti da un modello giuridico di esercizio della pena. La circostanza che l’Italia da anni è costantemente condannata dagli organismi comunitari non fa onore alle persone che rappresentano le Istituzioni italiane.