E il settimo giorno si riposò

Fino alla soglia degli anni settanta del secolo scorso prevaleva uno stile di vita largamente condiviso: nasci, studi, lavori, vai in pensione. Poi, il mondo è cambiato rapidamente. E persino il dollaro non è stato più convertibile in oro.

L’idea del riposo retribuito, come coronamento di una vita di lavoro, è uno degli aspetti più interessanti e innovativi del sistema nato dal capitalismo industriale e dal conseguente modello consumistico-produttivo che ha stregato tutto il mondo.

La pensione diviene una sorta di reddito di sostituzione di quello da lavoro. Questa tendenza dal 1969 ebbe una forte accelerazione in Italia: la riforma previdenziale sostituiva il sistema contributivo con quello retributivo.

Non solo, si introdusse il metodo retributivo, ma si lasciava ampia facoltà al lavoratore di andare in pensione più o meno quando voleva a partire dal superamento della soglia di 14 anni e mezzo di contribuzione. E la pensione era molto generosa, anche perché la pensione si riscuoteva dal momento dell’uscita dal lavoro e non al raggiungimento di una determinata età anagrafica.

Alla pensione di vecchiaia si affiancava quella di anzianità, cosicché il Paese si avviò a essere abitato da baby-pensionati. Fino a quel momento, secondo la legge del 1952, in pensione si era andati per limiti di età: 60 anni se uomini, 55 se donne; dal 1969 l’Italia diveniva l’unico Paese al mondo in cui chi aveva iniziato a lavorare a 14 anni poteva smettere a 49 e prendere una pensione rapportata alla retribuzione dell’ultimo periodo lavorativo. Se consideriamo che in Italia abbiamo al momento più di 625.000 persone con oltre 90 anni, e 17.850 di queste hanno ne hanno più di 100… è facile comprendere che ci sono diverse migliaia di persone che hanno doppiato l’età di quando sono andati in pensione!

Oggi, si torna a discutere di liberalizzazione dell’uscita dal lavoro. Gli argomenti forti di tale ipotesi sono favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e la considerazione che tanto ormai c’è il contributivo.

Per cogliere il senso di queste argomentazioni occorre mettere qualche punto fermo, se non vogliamo andare a spalare le nuvole. Continua a leggere

E adesso… salsicce

i_giudici_della_corte_costituzionaleE adesso… salsicce! In attesa di conoscere le motivazioni della Consulta sulla bocciatura di due aspetti caratterizzanti della legge elettorale nota come Porcellum, possiamo svolgere alcune considerazioni generali.

È stato bocciato il premio di maggioranza e il sistema delle liste bloccate. Entrambi i punti sono responsabili di aver privato l’elettore del diritto di scegliere il corpo legislativo e di rendere diseguale il voto sino al punto di dare un indebito e irragionevole premio a chi prende più voti. Basti pensare al premio di maggioranza regionale al Senato per rendersi conto della irragionevolezza dell’attuale legge che rende diseguale il voto (ne parlo più specificamente in Lo Stato dei partiti e in Democrazia e Stato di diritto).

Sebbene la legge elettorale non sia stata bocciata in toto, non mi convince la tesi della legittimità del Parlamento. A mio avviso il parlamento non è legittimato proprio perché i punti censurati dalla Corte Costituzionale incidono direttamente sulla composizione della assemblea e sulla consistenza dei gruppi. I parlamentari non sono stati votati dagli elettori e non rappresentano gli elettori; il meccanismo di selezione dei candidati non è avvenuto con criteri democratici quindi non c’è nemmeno la legittimazione indiretta tramite i partiti.

In questa situazione sarebbe preferibile procedere al più presto a nuove elezioni, anche sulla base della legge elettorale di risulta sulla base delle decisioni della Suprema Corte, e contemporaneamente procedere alla elezione di una nuova Assemblea Costituente eletta su basi rigorosamente proporzionali. L’iter di riforma della Costituzione messo in moto in questa legislatura deve essere interrotto perché questo parlamento non ha la legittimità per revisionare la Costituzione, figurarsi per riscriverla; o almeno bisogna introdurre l’obbligo del referendum confermativo della riforma costituzionale.

Ne conseguono altre necessità non più rinviabili.

Ricordiamo quanto avvenuto: 3 parlamenti negli ultimi 8 anni sono stati eletti con una legge che oggi la Corte Costituzionale boccia sulla base di rilievi sollevati sin dal 2005, in occasione della discussione in parlamento e senza che allora il presidente della Repubblica Ciampi abbia ravvisato elementi di incostituzionalità, da tanti indicati e francamente alquanto evidenti. Non è pensabile che si possa ripetere quanto già avvenuto. Occorre limitare l’onnipotenza del legislatore per garantire che su determinate materie legiferi nel rispetto della cornice costituzionale. Lo stesso principio deve essere affermato laddove il Parlamento decida di legiferare su una materia sulla quale il corpo elettorale si è espresso con un referendum, esercitando il potere di sindacato sull’attività legislativa. Occorre introdurre la valutazione obbligatoria preventiva di determinate leggi, tra cui certamente la legge  elettorale.

Non più rinviabile l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione affinché i partiti siano effettivamente strumenti organizzativi nelle mani dei cittadini per partecipare alle scelte di politica nazionale. Occorre assicurare la democraticità dei processi decisionali interni ai partiti e solo su questa base prevedere nel caso contributi pubblici o agevolazioni fiscali o di qualsiasi altro genere.

Infine, una considerazione generale.

La nostra Costituzione ha sacrificato la governabilità in nome della rappresentanza. I legislatori hanno ucciso anche la rappresentanza. La nostra Costituzione non richiede che dal voto scaturisca un vincitore in grado di governare. Se succede è solo una eventualità. Se non succede è il parlamento che deve provvedere a trovare un esecutivo per il Paese.

Se vogliamo che dal voto scaturisca immediatamente un governo occorre cambiare la Costituzione.

Sinora il parlamento dal 1953 ha aggirato furbescamente le questioni di fondo agendo in modo pedestre sulla legge elettorale, sino a spingersi surrettiziamente alla introduzione della elezione diretta del premier.

Sentiamo così molti politici, a mio avviso più vicini alla qualifica di impostori che a quella di rappresentanti del popolo, cianciare intorno a “governo eletto dal popolo” dimenticando che il popolo e la Costituzione non prevedono alcuna elezione diretta dell’esecutivo e qualora dal voto scaturisse un partito o una coalizione con i numeri per governare, la stessa maggioranza legittimata dal voto potrebbe il giorno dopo sfaldarsi e dare vita ad altra maggioranza perfettamente legittimata sul piano politico e giuridico perché la nostra Costituzione non contempla il vincolo di mandato e prevede che qualsiasi governo è legittimo se ha la fiducia del Parlamento. Quindi, nessuna governabilità o “governo votato dal popolo” o “governo noto già alla sera dopo il voto” possono essere assicurati a Costituzione invariata, checché ne dicano i retori della Costituzione. E non ne possiamo più di sentire menestrelli nelle vesti di statisti gridare al golpe o di “governo del Presidente” quando il Parlamento vota la fiducia al governo Monti o al governo Letta, così come in passato la votò al governo Dini, D’Alema, Amatotutti governi nati in Parlamento per responsabilità esclusiva e totale dei parlamentari stessi.

Il modello elettorale ragionevole a costituzione inalterata può essere l’uninominale secco all’inglese o il doppio turno di collegio, a mio avviso da preferire a quello di coalizione, ma occorre tenere ben presente che queste soluzioni elettorali non assicurano proprio nulla se manteniamo inalterato l’assetto costituzionale. Il turismo tra i gruppi parlamentari sarà sempre possibile e i gruppi parlamentari potranno sempre dare vita a nuove alleanze sovvertendo l’esito del voto.

L’IMBROGLIO PREVIDENZIALE

poveroIl nostro sistema previdenziale è intricato; muoversi in questo mondo è come vagare nella giungla con gli infradito. Era il 2007 quando Giuliano Amato scrisse un interessante saggio, dal titolo “Il gioco delle pensioni, rien ne va plus?”, in cui indicava alcune riforme non più rinviabili. Bisognerà attendere Elsa Fornero, a fine 2011, per attuare alcune modifiche al sistema previdenziale che sarebbero state già ovvie e giuste nel 1995 (governo Dini), e che negli anni non fecero i pessimi Treu, Bassolino, Salvi, Maroni, Damiano e Sacconi, troppo occupati a difendere l’elettorato di riferimento.

L’art. 38 della Costituzione prevede un trattamento economico previdenziale per le situazioni di bisogno indicate dalle leggi dello Stato. Il comma 2 del citato articolo recita “I  lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati  alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Le leggi dello Stato prevedono il versamento obbligatorio di contributi a carico del lavoratore e del datore di lavoro che, integrati con altri trasferimenti di risorse fiscali dal bilancio statale, consentono di erogare agli aventi diritto una prestazione economica pensionistica.

La chiamano solidarietà intergenerazionale; ma in realtà non è mai esistito alcun patto intergenerazionale sulle pensioni per la semplice incontestabile realtà che ogni patto è stato siglato solo da chi rappresenta una parte dei lavoratori ed ex-lavoratori; mai sono state coinvolte (neanche nei pensieri) le generazioni sulle quali sarebbero ricaduti gli oneri derivanti dalle scelte in materia pensionistica. Continua a leggere

Perché la sinistra perde

inciucioDopo ogni elezione parlamentare nella sinistra (intesa in senso lato di centrosinistra + sinistra) si diffonde lo scoramento per i risultati inferiori alle attese e per le difficoltà di mantenere la coesione che fino al voto portava a dire “questa volta ci siamo”. Prima di analizzare le ragioni sostanziali della predestinazione alla sconfitta, ricordo gli errori che a mio avviso hanno determinato il pessimo risultato elettorale del 2013: a) considerare  Scelta Civica  un interlocutore credibile in termini di proposta di rinnovamento; con evidenza non lo era giacché  Monti si alleava con due dei maggiori alfieri della palude politica: Fini e Casini; b) ignorare la reazione dell’elettorato di sinistra al rapporto privilegiato con Scelta Civica; relazione sgradita poiché Monti  dichiarava che non intendeva governare con il PD alleato con SEL; c) sottovalutare il M5S, unica forza politica che poteva intercettare gli incerti; d) non capire che occorreva aprire al M5S prima del voto per promuovere insieme il rinnovamento della politica; e) non valorizzare prima del voto quella parte del M5S disponibile a un accordo con il PD, contribuendo così a dare credibilità al tema centrale della campagna elettorale del M5S che era anche lo spauracchio di gran parte dell’elettorato del PD: l’inciucio.

Se non fossero stati commessi questi errori, PD e SEL con molta probabilità avrebbero vinto le elezioni… ma avrebbero perso lo stesso per le ragioni sostanziali che conducono alla sconfitta della sinistra. In sintesi, soffermandomi solo sulle ragioni recenti ( 1994 – 2013), anche se alcune di queste affondano le radici nella storia ormai quasi secolare.

1)      Mancata contaminazione tra le anime ex DC e ex PCI. Il PD è nato gracile perché somma aritmetica di due culture: una di estrazione comunista, l’altra di estrazione cattolica, con presenze di clericalismo e di liberalismo conservatore. Il PD si presenta come un coacervo in cui convivono molte anime, ma cosa le unisce? Quali sono i punti irrinunciabili? Continua a leggere