Siamo alla Terza Guerra Mondiale?

Leggo l’editoriale di Lucia Annunziata dal titolo perentorio: Prendere atto della Terza Guerra Mondiale

Trovo che sia una interpretazione degli eventi riduttiva, arbitraria, forse un tantino faziosa.

Il terrorismo non è un insieme di “eventi occasionali”: gli atti terroristici sono interni a un piano – spesso velleitario – per modificare violentemente la realtà sociale e istituzionale di un Paese. Il piano talvolta è sconclusionato, pretesto ideologico per sublimare tendenze psicopatiche… ma sempre si percepiscono gli atti terroristici come un attentato al potere costituito, a un ordinamento sociale. Fu così anche con le Brigate Rosse: incapaci di criticare e combattere in modo civile il sistema capitalistico, ricorsero al terrorismo come critica psicopatica a un sistema economico-sociale. Alla base, l’idea ancestrale che si possa disporre della vita altrui. Si tratta di una idea presente in gran parte delle civiltà, compresa la nostra.

Arbitrario affermare che l’11 settembre sia l’inizio della “Terza guerra mondiale”. Perché, per il numero delle vittime?
Poi, siamo così sicuri che si tratti di un attacco islamico ai principi fondanti della democrazia europea?
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Le parole sono pietre

brachilogiaLe parole sono pietre, ammoniva Carlo Levi, ma se le parole sono scritte nelle leggi o a pronunciarle sono coloro che rappresentano il potere legislativo o le Istituzioni allora le pietre sono più aguzze e fanno più male.

La violenza va sempre combattuta e condannata; anche la violenza verbale deve essere tenuta a freno perché violenza genera violenza in una escalation che una volta innescata è difficile frenare.

Se un Paese è costantemente attraversato da “estremizzazioni violente anche sul piano verbale o sul piano della propaganda politica” dopo aver doverosamente condannato il fenomeno sarebbe opportuno interrogarsi sulle cause. La violenza non nasce dal nulla.

Se va da un lato condannata la violenza, anche solo verbale, contro lo Stato, le Istituzioni e i suoi rappresentanti, dall’altro va analizzato il comportamento dello Stato, delle Istituzioni e delle persone che danno corpo alle Istituzioni. Non credo alla insopportabile retorica della “casa degli italiani”: deve essere ancora edificata. E l’immagine retorica del “Palazzo” da processare è vecchia di QUARANTA ANNI! Significherà qualcosa? Continua a leggere

Violenza e sport

La violenza che accompagna l’evento sportivo è una delle più odiose forme di violenza. Chi in nome dello sport aggredisce e devasta va trattato come un eversore dell’ordine sociale perché è un eversore. La violenza ammantata da motivazioni sportive è la negazione dei valori sociali e civili che, in una gara sportiva, s’incarnano nel confronto tra abilità fisiche.

Provate a immaginare se durante una trasmissione televisiva il pubblico invadesse il palcoscenico e cominciasse a menare fendenti a un ospite della trasmissione. O se durante un comizio, l’oratore fosse aggredito da oppositori politici. Parleremmo di squadrismo, attentato alle libertà costituzionali… Ebbene, in uno stadio non avviene forse la stessa cosa?

Ma noi siamo indulgenti, comprendiamo gli eccessi del tifo e così si asseconda e giustifica la violenza. Nessuna indulgenza, anzi si applichino sempre e in ogni caso le aggravanti specifiche e generiche. Il tifoso violento cancella col suo gesto la ragione stessa dell’essere “animale sociale”; l’unica sua finalità è sfogare l’aggressività, il cinismo; è la negazione di ogni valore culturale.

La “civiltà della violenza”, che si manifesta nella primordiale e primitiva necessità di dividere il mondo in “amici” e “nemici”, produce le tragedie che accompagnano troppo spesso gli eventi sportivi, con l’inevitabile corollario di polemiche, altre violenze, fiumi di accuse, rivendicazioni e dichiarazioni. Possiamo discutere sino alla nausea su colpe e responsabilità in ogni tragico avvenimento, ma non servirà a nulla se non ci sarà un rifiuto intransigente di ogni forma di comprensione nei confronti degli eccessi delle tifoserie: veri e propri attentati alla convivenza civile che nulla hanno da spartire con lo sport. Terrorismo pre-politico più grave e insidioso del cosiddetto terrorismo politico.

Serve un radicale cambiamento culturale e politico.

Troppo spesso c’è un atteggiamento minimalista che derubrica la violenza legata ad eventi sportivi a semplici “eccessi dei tifosi”.

Troppo spesso gli stadi sono considerati utili per sfogare le tensioni sociali, giusto perché non siano indirizzate verso altri obiettivi, finendo così per trasformare lo sport in una grottesca caricatura della società e dei conflitti sociali. Il tifo si carica così di valenze politiche ed eversive, favorendo i frequenti collegamenti tra ultrà e frange estremiste politiche che teorizzano l’odio razziale, l’uso politico della violenza, l’eversione terroristica in senso classico.

Bisogna ripudiare l’uso della violenza. Bisogna affermare il principio che nessuno può disporre della vita, dei beni e dei diritti altrui. Bisogna finirla con l’idea malsana che chiunque abbia qualcosa da dire o qualche motivo di protesta sia autorizzato a ricorrere alla sopraffazione sugli altri.

Un arbitraggio sbagliato o discutibile, una deludente prestazione sportiva non possono essere il pretesto per trasformare una città in un campo di battaglia.

Le regole devono essere fatte rispettare e chi le viola deve assumersi la responsabilità dei propri gesti senza sconti e giustificazioni.

La violenza va punita da qualunque parte provenga.