Lo studente e la Ministra

 

Non siate maliziosi. Non si tratta di una commedia sexy stile anni settanta. Però, vi consiglio di vedere il video prima di leggere le mie risposte alla replica della ministra Boschi a Alessio, studente universitario di Catania.

1) Sulla legittimità del Parlamento
Boschi afferma che secondo la Corte Costituzionale questo parlamento è perfettamente legittimato. E invita a leggere tutta la sentenza della Corte. Chissà se ha seguito il suo consiglio.

Vale la pena ricordare che la Corte Costituzionale, in nome del principio di continuità dello Stato, ha affermato la legittimità di questo Parlamento nel proseguire l’attività legislativa. Non poteva essere diversamente poiché questo Parlamento e i precedenti due (quello del 2008 e del 2006) sono stati eletti con la medesima legge, in più punti profondamente incostituzionale. Dichiarare decaduto il Parlamento avrebbe aperto un effetto domino sulla attività dal 2006 a oggi con disastrose conseguenze. La stessa Corte Costituzionale, però, richiama gli articoli 61 e 77 comma 2 della Costituzione: “Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti- legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)”.

E’ troppo malizioso leggere in questo non necessario richiamo esemplificativo della Corte Costituzionale l’invito alle Camere di approvare in tempi brevi una nuova legge elettorale e andare a nuove elezioni?

Secondo le indicazioni della stessa Corte, il Parlamento non doveva intraprendere un percorso di revisione costituzionale perché tale percorso avrebbe richiesto tempi non brevi e perché un Parlamento eletto con il porcellum non ha la necessaria legittimità politica per modificare la Costituzione. Figuriamoci per modificare la Costituzione cambiando radicalmente l’assetto Istituzionale con l’effetto combinato di nuova legge elettorale e riforma costituzionale.

 

2) Sul mandato presidenziale a Letta e poi a Renzi

Boschi afferma con disinvoltura che il presidente Napolitano ha chiesto a Letta di adoperarsi per le riforme costituzionali.

Da quando un presidente della Repubblica si fa attivatore della riforma costituzionale?
Come fa a essere considerato potere di garanzia se anziché essere garante della Costituzione spinge per cambiarla?

Da quando un Presidente, poiché il governo non procede speditamente sulle riforme, promuove la sostituzione del governo in carica, senza nemmeno un passaggio parlamentare?
Il governo Letta si è dimesso perché la direzione di un partito (struttura extraparlamentare) ha decretato che quel governo aveva esaurito il suo compito.

Tutto questo discorso ondeggia tra l’eversione dell’ordinamento repubblicano e l’apologia della partitocrazia.
La fine del governo Letta, attraverso un procedimento extraparlamentare orchestrato e sollecitato dal Quirinale, è un disegno eversivo che ci conferma un dato incontestabile: il presidente della Repubblica non è un potere di garanzia.

Inoltre, il parlamento non è stato “nominato” con un mandato costituzionale.
Penso, inoltre, che revisione non significhi trasformazione; questa riforma cambia l’assetto istituzionale della Repubblica. Siamo oltre i limiti previsti dall’art 138 della Costituzione.
Perché non eleggere una assemblea costituente? Continua a leggere

Il Presidente, potere di garanzia?

Sarà lui il prossimo PdR?

Sarà lui il prossimo PdR?

Si dice che il Presidente della Repubblica rappresenti un potere di garanzia del rispetto della Costituzione. Nel giorno delle dimissioni di Napolitano, Eugenio Scalfari scrive che il Presidente rappresenta “la più alta istituzione chiamata a tutelare la Costituzione”.

È davvero così?

Se il Parlamento approvasse una legge incostituzionale in grado di sovvertire il potere costituzionale… che cosa può fare il Presidente della Repubblica?

Può rinviare la legge al Parlamento e con messaggio motivato chiedere delle modifiche; se il Parlamento approva nuovamente la legge, anche senza cambiare una virgola, deve promulgarla pena il rischio di essere incriminato per alto tradimento.

Può il Presidente trovandosi nella ferma convinzione che si tratti di una legge incostituzionale e pericolosa per l’ordinamento repubblicano sollevare presso la Corte Costituzionale conflitto tra poteri dello Stato? Continua a leggere

Antipolitica patologia eversiva

napolitano linceiIl 10 dicembre 2014, all’Accademia dei Lincei, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha pronunciato un denso discorso in cui un passaggio in particolare ha destato molte critiche.

Afferma il Presidente: “Ma così la critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, purché non priva di obbiettività, senso della misura, capacità di distinguere ed esprimere giudizi differenziati, è degenerata in anti-politica, cioè, lo ripeto, in patologia eversiva”.

L’antipolitica è una patologia eversiva?

Non sono d’accordo, Presidente. Continua a leggere

Da Tangentopoli a Expo 2015

asinoI fatti che con regolarità accompagnano la vita istituzionale e sociale dell’Italia dimostrano che la corruzione e la criminalità sono fattori costitutivi della Repubblica Italiana. La corruzione e la criminalità trovano nelle Istituzioni linfa per la propria diffusione, sia per incapacità di talune persone che occupano le Istituzioni sia per espressa volontà di altre persone.

Le Istituzioni non meritano credibilità politica e purtroppo non hanno alcuna legittimità costituzionale.
Su tutte, le più misere in credibilità sono il Parlamento, il Governo, le Regioni. Continua a leggere

Istituzioni eversive?

Istituzioni eversive? Interrogativo imbarazzante.

Comma 1 Art. 65 della Costituzione: “La legge determina i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.”

La LEGGE!

Art. 66 della Costituzione: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.”

La Costituzione, quindi, contempla che le cause di ineleggibilità possano essere pre-esistenti alla elezione o sopraggiungere a elezione avvenuta.

Il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012 n. 235 recita all’art. 1Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti…” .

Le parole “non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore” tolgono ogni dubbio: non è rilevante quando è stato commesso il reato ma lo “status” al momento della condanna. Retroattività? Ma neanche per sogno. La legge prevede che chi ha subito condanne per determinati reati non possa essere candidato al Parlamento; prevede anche che se la condanna definitiva sopraggiunge a elezione avvenuta il parlamentare decade dalla carica; questa legge era in vigore quando gli attuali componenti del Parlamento sono stati eletti e quindi “giocavano” con queste regole. Se si affermasse ai fini della retroattività che conta il momento in cui è stato commesso il reato allora anche coloro che sono stati esclusi dalle elezioni perché “condannati” dovevano essere ammessi poiché i reati erano stati commessi quando non esisteva il D. Lgs. 235/2012. Ma allora a chi si applicherebbe questa norma? Solo a coloro che sono stati raggiunti da sentenza definitiva per reati commessi dal 2013 in poi… Una legge voluta per arginare la corruzione e tutelare le Istituzioni che nella migliore delle ipotesi comincerebbe a dare qualche frutto intorno al 2020, ammesso che un reato sia immediatamente scoperto e perseguito e si giunga a sentenza definitiva nel giro di qualche anno. Un po’ di serietà e torniamo alla legge Severino. Continua a leggere

Violenza e sport

La violenza che accompagna l’evento sportivo è una delle più odiose forme di violenza. Chi in nome dello sport aggredisce e devasta va trattato come un eversore dell’ordine sociale perché è un eversore. La violenza ammantata da motivazioni sportive è la negazione dei valori sociali e civili che, in una gara sportiva, s’incarnano nel confronto tra abilità fisiche.

Provate a immaginare se durante una trasmissione televisiva il pubblico invadesse il palcoscenico e cominciasse a menare fendenti a un ospite della trasmissione. O se durante un comizio, l’oratore fosse aggredito da oppositori politici. Parleremmo di squadrismo, attentato alle libertà costituzionali… Ebbene, in uno stadio non avviene forse la stessa cosa?

Ma noi siamo indulgenti, comprendiamo gli eccessi del tifo e così si asseconda e giustifica la violenza. Nessuna indulgenza, anzi si applichino sempre e in ogni caso le aggravanti specifiche e generiche. Il tifoso violento cancella col suo gesto la ragione stessa dell’essere “animale sociale”; l’unica sua finalità è sfogare l’aggressività, il cinismo; è la negazione di ogni valore culturale.

La “civiltà della violenza”, che si manifesta nella primordiale e primitiva necessità di dividere il mondo in “amici” e “nemici”, produce le tragedie che accompagnano troppo spesso gli eventi sportivi, con l’inevitabile corollario di polemiche, altre violenze, fiumi di accuse, rivendicazioni e dichiarazioni. Possiamo discutere sino alla nausea su colpe e responsabilità in ogni tragico avvenimento, ma non servirà a nulla se non ci sarà un rifiuto intransigente di ogni forma di comprensione nei confronti degli eccessi delle tifoserie: veri e propri attentati alla convivenza civile che nulla hanno da spartire con lo sport. Terrorismo pre-politico più grave e insidioso del cosiddetto terrorismo politico.

Serve un radicale cambiamento culturale e politico.

Troppo spesso c’è un atteggiamento minimalista che derubrica la violenza legata ad eventi sportivi a semplici “eccessi dei tifosi”.

Troppo spesso gli stadi sono considerati utili per sfogare le tensioni sociali, giusto perché non siano indirizzate verso altri obiettivi, finendo così per trasformare lo sport in una grottesca caricatura della società e dei conflitti sociali. Il tifo si carica così di valenze politiche ed eversive, favorendo i frequenti collegamenti tra ultrà e frange estremiste politiche che teorizzano l’odio razziale, l’uso politico della violenza, l’eversione terroristica in senso classico.

Bisogna ripudiare l’uso della violenza. Bisogna affermare il principio che nessuno può disporre della vita, dei beni e dei diritti altrui. Bisogna finirla con l’idea malsana che chiunque abbia qualcosa da dire o qualche motivo di protesta sia autorizzato a ricorrere alla sopraffazione sugli altri.

Un arbitraggio sbagliato o discutibile, una deludente prestazione sportiva non possono essere il pretesto per trasformare una città in un campo di battaglia.

Le regole devono essere fatte rispettare e chi le viola deve assumersi la responsabilità dei propri gesti senza sconti e giustificazioni.

La violenza va punita da qualunque parte provenga.