Dal proporzionale al partito unico scelto

Con il proporzionale lamentavamo l’eccessiva frammentazione del Parlamento.

Dal 1948 al 1993, la DC è stata il perno di ogni governo e il potere di veto degli alleati era in gran parte dovuto alla competizione tra le correnti interne alla DC.

Nella prima legislatura, elezioni del 1948, la DC ebbe la maggioranza assoluta, e neanche tanto risicata, ma preferì formare governi di coalizione.

Nella prima legislatura abbiamo avuto 3 governi; nella seconda 6.

A oggi, se escludiamo i due governi Prodi, tutte le crisi di governo sono state extraparlamentari, vale a dire frutto di accordi avvenuti fuori dal Parlamento tra notabili e plenipotenziari di partito.

Memorabile nel 1960 il duro discorso di Merzagora, presidente del Senato, in occasione della crisi del governo Segni, che portò al governo Tambroni.

Per risolvere il problema della governabilità, dapprima si tentò con il proporzionale corretto da un forte premio assegnato a chi raggiungeva la maggioranza assoluta (“legge truffa” del 1953), poi si tornò al proporzionale e si cominciò a pensare a riforme costituzionali e a un sistema elettorale uninominale.

Le riforme costituzionali naufragarono e solo grazie allo strumento referendario, che per sua natura ha dei grossi limiti, si intervenne sul sistema elettorale: nel 1991 con l’abolizione della preferenza multipla, quando Craxi suggerì agli elettori di andare al mare, poi nel 1993 con il referendum sulla legge elettorale per il Senato per introdurre il sistema uninominale.

Se i referendum riuscirono a intervenire laddove i partiti avevano fallito, è evidente che il problema era tutto interno ai partiti politici. Continua a leggere

Da Piccoli a Letta: 40 anni di finanziamento pubblico ai partiti

prendi i soldiNel 1974 il Parlamento approva la legge n. 195 che introduce il finanziamento pubblico ai partiti. Pochi colsero allora come oggi la natura incostituzionale e partitocratica della legge Piccoli che introduceva il finanziamento pubblico ai partiti. L’art. 3 prevedeva che il finanziamento andava ai gruppi parlamentari “per l’esercizio delle loro funzioni” e per “l’attività propedeutica dei relativi partiti” e obbligava il gruppo parlamentare a versare “una somma non inferiore al 95% del contributo riscosso” ai partiti; parallelamente, introduceva il finanziamento per l’attività “elettorale” dei partiti. Si configurava una evidente e palese violazione dell’art. 67 della Costituzione poiché il parlamentare è per Costituzione indipendente e senza vincolo di mandato. La legge 195/1974 instaura una commistione tra due identità giuridiche distinte: il Gruppo parlamentare, che è parte della struttura legislativa dello Stato e quindi certamente figura di diritto pubblico, e il Partito, che invece è regolato dal diritto privato e si configura come un’associazione di fatto. In forza della legge il gruppo parlamentare si ritrovava ad avere una posizione debitoria verso il partito. Inoltre, la legge finanziando i partiti già presenti in Parlamento introduceva un elemento di vantaggio rispetto ai nuovi soggetti politici, cristallizzando i rapporti di forza e le posizioni acquisite in chiara violazione dell’art. 49 della Costituzione, perché il diritto dei cittadini di associarsi in partiti si configura in un diritto di serie A per i cittadini che si associano a quelli già esistenti e in un diritto di serie B per coloro che si associano a partiti nuovi. Danno ulteriormente aggravato nel caso una nuova formazione non riuscisse a raggiungere il quorum per entrare in Parlamento: il finanziamento era riservato a chi raggiungeva almeno “un quoziente in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300.000 voti di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2 per cento dei voti validamente espressi”. Ovviamente, anche chi non raggiungeva il quorum aveva sostenuto delle spese; il finanziamento pubblico, lungi dal favorire la partecipazione dei cittadini alla politica, mirava a consolidare posizioni di potere cristallizzate in Parlamento. Continua a leggere

TV, stampa e Potere Politico

TV_BNIn Italia la TV nasce sotto il controllo del governo e vi rimane sino al 1975. Esisteva solo il monopolio di Stato. Dal ’75 il controllo sulla TV passa dal governo al parlamento. Il Tesoro (oggi il Ministero dell’Economia e delle Finanza) in qualità di azionista ha il suo peso. La riforma del ’75, voluta fortemente dal PCI, fu sbandierata come una vittoria del pluralismo. Nei fatti fu un perfezionamento della lottizzazione con l’allargamento del potere di controllo a un nuovo soggetto: il PCI che utilizzò quel potere non per scardinare la lottizzazione ma per entrare nel sistema dalla sala dei bottoni.

Il sistema rimase ingessato e tutti gli imprenditori che tentarono di scalfire quel monopolio televisivo fallirono (Agnelli, Rizzoli, Rusconi): non per incapacità, ma per compromesso politico. I loro interessi erano fortemente legati alla partitocrazia: preferirono quindi non entrare in rotta di collisione con il sistema politico incentrato sulla DC, che tentava di mantenere se stessa al potere, e sul PCI, che tentava di essere ammesso alla gestione del potere centrale in alleanza con la DC. In questo scenario, che Giorgio Galli definì “bipartitismo imperfetto”, s’inserirono Craxi e Berlusconi, che nel politico socialista trovò un referente autorevole.

Ha inizio una nuova stagione delle televisioni private (e per le radio private) ma anche una lunghissima e complessa vicenda giudiziaria che chiamò più volte la Corte Costituzionale a dirimere la matassa.

La Corte Costituzionale sancì il diritto di esistere della TV privata e poiché mancavano norme di riferimento e di regolamento della pluralità di mercato, la TV privata crebbe senza regole ma con un obiettivo preciso: arrivare a un peso di dimensioni pari a quelle della TV pubblica, intuizione o ambizione che mancò ai precedenti imprenditori della TV privata. Solo così, infatti, avrebbe potuto competere sul mercato pubblicitario basato sull’offerta a pacchetto proposta dalla SIPRA, concessionaria pubblicitaria della TV di Stato e della stampa di partito cui assicurava ricchi minimi garantiti (in sostanza forme di finanziamento ai partiti). Continua a leggere