E’ sempre colpa del venerdì

tsiprasVenerdì 17.
Venerdì nero.
E’ di venerdì che scade l’ultimatum e poco importa che sia il 20 febbraio 2015 il prossimo venerdì di terrore: il venerdì greco.
Già, hanno deciso che entro venerdì dovrà essere trovato un accordo: Grecia dentro o Grecia fuori? Dentro o fuori dall’euro.

Venerdì chiudono i mercati e le banche restano chiuse nel weekend. Per le banche poco importa, chi aveva soldi da mettere in salvo ha in gran parte già provveduto. Troveranno un accordo o salterà tutto?

Ipotizziamo che il governo greco venerdì pomeriggio annunci che non intende rimborsare i suoi debiti; in fondo anche i creditori hanno delle responsabilità per aver determinato questa situazione e soprattutto per essere stati lenti e inefficienti ad affrontare una crisi del debito sovrano che nel 2009, quando si è manifestata, aveva altri numeri e poteva essere abbastanza agevolmente gestita.

Si chiudono i bancomat, ci vuole poco; si prendono misure rigorose per evitare fughe di capitali nel weekend; si predispone un piano per il lunedì del risveglio.
Il lunedì tutti svegli con le dracme.
Il Governo stabilirà un tasso di conversione con l’euro.
Fin qui si gioca in casa. Anche con le banche nazionali si gioca in casa: i debiti all’interno dei confini nazionali saranno convertiti in dracme.
I crediti interni delle banche, 230 miliardi di euro, dunque saranno in dracme, così come gli incagliati 12 miliardi di euro in titoli dello Stato e poi ci sono circa 40 miliardi di obbligazioni private.

I debiti delle banche verso l’estero restano invece in euro.
Le banche greche sono esposte per circa 54 miliardi di euro con banche europee e per altri 15-20 miliardi con istituti bancari non europei.

Attivo in dracme e passivo in euro: in questa poco piacevole dialettica saranno attapirate le banche greche.

Il crac è dietro l’angolo.
Dovrà intervenire la Banca centrale greca. E non sarà solo questo che dovrà fare la Banca centrale: dovrà garantire gli acquisti dall’estero, iniziando dal petrolio.
Non vedo file di fornitori pronti a fare credito alla Grecia.
Non so quali siano le riserve auree della Grecia, ma probabilmente sarà il momento di cominciare a spenderle.
Il credito sarà concesso a fronte di interessi salatissimi, poi i mercati cominceranno a pesare il valore della dracma e a stabilire il vero rapporto con l’euro.

La Grecia non ha un valore di export rilevante; la sua unica vera ricchezza è il turismo e qualche prodotto alimentare; la dipendenza dalle importazioni è alta e senza la stabilità monetaria garantita dall’euro si tornerà alle montagne russe delle fluttuazioni del cambio.

Se adesso per un euro ci vogliono 340,75 dracme, da lunedì in questo scenario probabilmente ne serviranno 450 – 500 e poi chissà dove si andrà a finire.
I prezzi dei prodotti importati andranno alle stelle, l’inflazione galopperà a ritmo sfrenato. I salari perderanno velocemente potere d’acquisto.

Ma se in Grecia si piange, nel resto d’Europa non si ride.

La BCE vedrà sfumare 27 miliardi di euro di crediti, ai quali bisognerà aggiungere i circa 50 miliardi di esposizione della Banca centrale greca nei rapporti con le altre banche centrali dell’eurozona. Infine, inizierà un forte contenzioso con le Istituzioni europee che non saranno disposte a veder svanire nel nulla i 250 miliardi di euro di crediti che vantano dalla Grecia.

Questa situazione sarà un invito a nozze per gli speculatori, gli stessi che hanno lucrato sulla crisi greca ingigantendola.
Come hanno fatto con l’Italia e la Spagna, mandando alle stelle lo spread, vale a dire la differenza tra il rendimento del Btp a 10 anni di un Paese con l’omologo tedesco, assunto come riferimento di solidità e solvibilità.

Non dimentichiamo che la moneta unica è una finzione poiché non c’è solidarietà di bilancio tra i Paesi dell’area euro; per i mercati internazionali la valuta è unica nominalmente, ma non sostanzialmente e si comportano di conseguenza: per loro esiste l’euro italiano, quello spagnolo, quello francese… e quello tedesco.

I sostenitori dell’uscita dall’euro e di fantasiosi referendum per conseguire questo obiettivo ci pensino attentamente perché l’uscita dall’euro favorisce solo gli speculatori e chi ha portato all’estero i capitali.

Il vero deficit europeo è di tipo politico: o si torna agli Stati nazionali ante-euro o si va verso la federazione degli Stati Uniti d’Europa. Ogni altra strada è un imbroglio.

Vedi anche

https://macosamidicimai.org/2013/03/08/uscire-dalleuro/

https://macosamidicimai.org/2014/12/14/leuro-e-il-deficit-politico/

https://macosamidicimai.org/2013/03/20/forza-cipro/

L’euro e il deficit politico

uscitaQuasi tutti conoscono la storia del tizio che cercava le chiavi sotto un lampione non perché le avesse perse lì, ma perché quello era l’unico punto illuminato della strada. Di solito le barzellette non sono immediatamente comprensibili ovunque. È raro che l’umorismo attraversi le frontiere e in genere resta connotato a livello nazionale. Ma in questo caso potrebbe avere a che fare con una caratteristica inerente alla natura umana: cercare di vederci chiaro, che si parli di vista o di riflessione. Questo libro si riferisce a entrambe le cose: tratta di ciò che è in piena luce, le idee e i concetti che costituiscono i lampioni accesi in passato proprio per vederci chiaro”.

Con queste parole Jean-Paul Fitoussi introduce la sua brillante analisi della crisi delle economie occidentali.

Gli studiosi di ogni campo sono coloro che scelgono cosa occorre illuminare, i fenomeni da analizzare e i sistemi di misurazione da utilizzare. Ma cosa accade se compaiono fenomeni nuovi, o se ne riemergono altri che pensavamo appartenere al passato? Se continuiamo a cercare alla luce dei vecchi lampioni, allora, come l’uomo che ha perso le chiavi, perdiamo ogni possibilità di vederci chiaro. Ecco l’errore commesso, secondo Fitoussi, nell’odierna politica economica: illuminare dove non serve. Cercare soluzioni che possono anche essere giuste, ma che rispondono alle domande sbagliate. (Teorema del lampione, JP Fitoussi, Einaudi)

Tanti fenomeni nuovi, che hanno trasformato il mondo, hanno reso inefficienti e inadeguate le griglie interpretative tradizionali e così avanzano… i cretini istruiti.

Facile indicare l’euro come causa del nostro disagio economico, ma si crea così ancora una volta un falso e facile bersaglio contro il quale scagliarsi.

Devastante sarebbe l’ipotesi di un referendum per uscire dall’euro, a mio avviso inammissibile. Pensate cosa succederebbe sui mercati se per due anni l’Italia restasse sulla griglia del “euro sì, euro no”. Tra raccolta delle firme, verifica di ammissibilità e svolgimento del referendum potrebbero passare anche due anni: chi si fiderebbe nel mondo a comprare titoli di Stato italiani? Per avere una idea di cosa succederebbe, basta ritornare a quanto successe quando l’Italia uscì dallo SME; chiedete e indagate su cosa successe a coloro che avevano un mutuo in ECU. Adesso l’effetto sarebbe molto più devastante. Attenzione, tutti i nostri debiti individuali sono contratti in euro, ed euro dobbiamo restituire.

Certamente chi ha capitali all’estero avrebbe un bel vantaggio a riportarli in Italia dopo che questa sarà uscita dall’euro. Non vedo altri vantaggi reali perché quello sulle esportazioni sarebbe vanificato dal fatto che aumenterebbe il costo delle materie prime che importiamo e dalla circostanza che buona parte della italica produzione è in realtà effettuata in stabilimenti all’estero.

Allora?

Allora, se vogliamo cimentarci con il tema Europa, occorre considerare che ogni Paese membro dell’Unione Europea ha il diritto di cambiare governo ma non può cambiare politica. Democrazia formale, ma non sostanziale.

Grande successo per l’Italia, si è detto, per avere una nostra connazionale, Federica Mogherini, nel ruolo di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezzapeccato non esista una politica estera europea e una politica europea di sicurezza.

Si pongono grandi aspettative sul semestre italiano e sulla rotazione nella presidenza del consiglio dell’Unione Europea, ma a voler ben vedere è una cosa insignificante e irrilevante.

La questione vera, dunque, è che siamo prigionieri degli strumenti che abbiamo inventato per liberarci dagli spettri del passato, ma non abbiamo il coraggio e la lungimiranza di pensare e progettare il futuro, sia per la mediocrità della classe dirigente europea sia per l’analfabetismo di ritorno che travolge i popoli europei.

Ciascuno di noi è ogni giorno bombardato da tantissime notizie, spesso contradditorie e frammentarie, che non ha il tempo di analizzare. Le notizie di oggi schiacciano quelle di ieri e tutti crediamo di sapere perché ascoltiamo, leggiamo… ma in realtà non sappiamo una mazza perché ci mancano il tempo per analizzare e gli strumenti interpretativi.

Sentiamo parlare di debito pubblico, fiscal compact, inflazione, deflazione, spread… e non ci rendiamo conto che quel che realmente manca è una politica europea nel senso pieno del termine.

L’Unione Europea è il risultato di accordi tra Stati in cui ciascuno mantiene la propria sovranità; altri accordi portano all’adesione alla moneta unica europea, l’euro, di cui parlava già Luigi Einaudi ed era chiara la ragione per cui ne parlava, evitare che la crescita si comprasse stampando moneta e facendo indiscriminato ricorso alla spesa pubblica. Il perverso circuito spesa pubblica, inflazione. Oggi abbiamo bisogno di inflazione e persino la discesa del prezzo del petrolio fa male alla ripresa economica. Il mondo rovesciato? Se a comprare i titoli di Stato sarà la banca centrale europea… sarà vanificata la ragione stessa della moneta unica. E’ allora un errore quanto si appresta a fare la BCE? No, è semplicemente un palliativo che non risolverà alcunché, limitandosi a concedere più tempo nella speranza che succeda qualcosa di buono per miracolo.

Non succederà nulla di buono o di rilevante perché non esiste alcuna crisi economica e tantomeno monetaria: siamo all’inizio di una profonda crisi di sistema. E’ in crisi il sistema consumistico-produttivo che l’Occidente ha esportato in tutto il mondo. Sistema che si è nutrito di falsità economiche, il PIL, che è un indice degli scambi totalmente irrilevante sul piano economico (un terremoto fa bene al PIL), e la crescita all’infinito, retaggio di una visione positivista che riduce tutto a una questione di tecnica, dimenticando che ogni tecnica utilizza risorse e queste sono finite e non infinite. Va ripensato tutto.

Allora, potrebbe succedere qualcosa di buono se affrontassimo il problema alla radice, mandando a riposare i grillo, i salvini, i le pen

Occorre che si affronti con coraggio il tema degli Stati Uniti d’Europa, rilanciare e non chiuderci in un anacronistico nazionalismo che ci farebbe precipitare all’inizio del ventesimo secolo. Colmare il deficit politico realizzando una federazione di Stati.

Avendo rinunciato agli strumenti di politica monetaria, di bilancio, di cambio, non ci resterebbe che proseguire sulla strada della competitività e il primo effetto sarebbe la compressione dei salari.

Questa è la strada che l’Italia sta perseguendo, avendo negli ultimi due decenni fatto zero o quasi per attuare riforme strutturali.

Se un Paese guadagna in competitività significa che altri l’hanno persa.

Riflettiamoci.

Vedi anche
Uscire dall’Euro
L’Euro serve alla Germania?
Europeo? yes, no, maybe
Bancarotta europea

L’Euro serve alla Germania?

L’Euro serve alla Germania?

Si sente da tempo l’affermazione che l’Euro serva alla Germania, ma non agli altri Paesi europei e soprattutto non serve all’Italia; anzi per l’Italia sarebbe il principale problema.

Le cose stanno realmente così?

Il valore dell’Euro fu definito sulla base dei valori di mercato al 31 dicembre 1998 delle valute da convertire dei primi 11 Paesi aderenti alla valuta unica. I valori di conversione tra Lira e Marco sono i seguenti

1 euro = 1936,27 lire italiane

1 euro = 1,95583 marco tedesco

1 marco = 990 lire

Si dice che fu una conversione svantaggiosa per l’Italia, ma se analizziamo l’andamento del cambio lira\marco dei due anni precedenti (1 gen 1997 – 31 dic 1998) verifichiamo con facilità che il valore medio di cambio era 985 lire, il valore massimo di periodo è stato 998 lire (marzo 1997), il valore minimo è stato 973 lire (luglio 1997).

La media del 1998 è stata di 987 lire.

Il cambio a 990 lire è stato quindi corretto e persino vantaggioso per l’Italia poiché avveniva sui valori massimi di periodo. Se prendiamo come riferimento il periodo precedente il 1997 e andiamo indietro sino al fatidico ottobre 1992 (l’Italia uscì dallo SME nel settembre del 1992) notiamo che il valore medio è stato di 1.018 lire, con un valore minimo di 859 lire e un valore massimo di 1.240 lire: questa impennata del Marco è stata l’effetto della svalutazione della Lira uscendo dallo SME. La riscontriamo, infatti, anche nel rapporto con il Franco francese: dal minimo di 254 lire al massimo di 353 lire, con un valore medio da ottobre 1992 a dicembre 1996 di 297 lire per un franco francese. Ancora più forte l’apprezzamento del Franco svizzero sulla lira.

Attenzione a non cadere nella trappola di pensare che l’uscita dall’Euro provocherebbe come conseguenza quel che successe con l’uscita dallo SME.

Le cose non stanno così. Continua a leggere

Ripensare il futuro

futuroTutti siamo consapevoli che le disuguaglianze sono aumentate, così come i nuovi poveri. Il ceto medio si è impoverito e sembra stia per realizzarsi la fine per autoconsunzione del sistema capitalistico, con la marxiana proletarizzazione del ceto medio e l’impoverimento del proletariato di cui abbiamo perso la nozione sociologica essendo ormai il proletariato scomparso dal nostro orizzonte, al pari delle classi sociali sostituite dalla stratificazione sociale in relazione alla capacità di consumo e di spesa.

Il sistema consumistico-produttivo arranca faticosamente e per strada ci sono molti vinti di verghiana memoria.
L’idea della crescita all’infinito è messa in dubbio da tanti, muovendo da ottiche diverse. Non voglio discutere di decrescita felice, di salvifica uscita dall’euro ma soffermarmi sulle caratteristiche di un sistema.

Inutile parlare di terapie se ci manca la diagnosi. In tanti facciamo fatica a comprendere cosa stia succedendo perché le tradizionali griglie interpretative non ci forniscono risposte convincenti.

Proviamo a ripartire dall’ABC. Continua a leggere

Europeo? yes, no, maybe

maybeL’Unione Europea è la più grande realizzazione politica dell’uomo dalla nascita degli Stati Uniti d’America ma, a differenza di quest’ultima, è una creatura mal raccontata e rappresentata.

Presidenti, Sovrani e Ministri, e i media in generale, poco hanno fatto per raccontare a noi cittadini europei il valore dei Trattati siglati e recepiti dai parlamenti nazionali. Così, se un cinese o uno statunitense ci chiedesse: “europeo?“, probabilmente la maggioranza di noi risponderebbe incerto “yes…no…maybe!

Dovremmo distinguere tra l’incapacità di coloro che dovrebbero realizzare l’Unione europea, dando corpo ai Trattati siglati, e quanto scritto nei Trattati stessi.

Quando parliamo di Europa, a tanti viene il mal di pancia e il pensiero va immediatamente alla BCE, all’euro, alla tirannia monetaria. L’ultimo preso di mira da tanti critici e dubbiosi è il Trattato di Lisbona da più parti accusato di fare carta straccia delle Costituzioni nazionali. Continua a leggere

La tirannia del mercato

Per il Papa “il denaro è diventato un idolo. Ideologie promuovono la autonomia assoluta dei mercati e speculazione finanziaria“. Papa Francesco sottolinea che “c’è una tirannia invisibile, a volte virtuale delle leggi del mercato“, ponendo all’attenzione di tutti “una riforma finanziaria e aiuto ai poveri“.

La tirannia del mercato: più facile credere alla esistenza del diavolo, più facile accettare l’ipotesi della destinazione inferno.

Che il denaro sia un idolo, da laico direi l’unica divinità reale, è assodato da secoli. Che ci siano ideologie liberiste è altrettanto risaputo.

Si parla di mercato come spesso si parla di Stato: “lo Stato bla bla … lo Stato… bla bla” e immancabilmente arriva qualcuno che dice “lo Stato siamo noi”.

Ecco appunto, non abbiamo capito nulla. Il mercato siamo noi. Lo stato siamo noi. Il mercato è lo Stato o lo Stato è il mercato.

Se è improprio affermare che lo “Stato siamo noi”, perché indubbiamente qualcuno è più Stato di altri, potendo decidere che leggi fare e come farle, è certamente più vera l’affermazione “il mercato siamo noi” perché tutti, mendicanti compresi, concorrono a creare il mercato.

Ciascuno contribuisce al mercato in rapporto alle proprie capacità è senza dubbio più vero rispetto alla litania che ciascuno concorre alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art. 53 Costituzione). Certo, ci sono gli avari che potrebbero contribuire di più, ma il comportamento prevalente è che si vorrebbe contribuire al mercato più di quanto i propri mezzi consentano di fare.

Il modello consumistico-produttivo al quale tutti partecipiamo (e vorremmo parteciparvi di più) è il prodotto delle nostre scelte, anche se non tutti abbiamo contribuito in uguale misura, ed è il modello al quale tutti siamo appesi e tremiamo all’idea che stia per crollare.

Il modello economico consumistico-produttivo si basa sull’idea insana della crescita all’infinito. La consapevolezza che farsi guidare dalla crescita del PIL sia una follia mi sembra ancora lontana da venire. Ma poiché quel modello economico è tecnicamente fallito, l’unica cosa sensata è trovare le soluzioni più efficaci per accompagnare la decrescita. Se la finanza, da strumento al servizio dell’economia, è divenuta padrona dell’economia significa che l’economia non è più da tempo in grado di generare ricchezza; serve il ricorso massiccio alla finanza per finanziare i consumi, la produzione e l’occupazione.

Noi uomini creiamo il mercato, noi abbiamo inventato il denaro e lo abbiamo beatificato, noi abbiamo fatto ricorso alla finanza per creare denaro col denaro o per godere di qualcosa senza averne i mezzi economici. Noi abbiamo avallato il debito pubblico e concorso a crearlo (dimenticato il bot people?) dando esplicitamente fiducia alla politica finanziaria dei nostri governi.

Quindi, questa “tirannia del mercato”, consapevolmente o inconsapevolmente, abbiamo tutti noi contribuito a crearla. Siamo invece vittime della tirannia partitocratica generata dal tradimento della “promessa di democrazia” contenuta nella nostra Costituzione. Siamo vittime di una Europa mercantile e pataccara che a causa della incapace classe dirigente europea ha ridotto “il sogno europeo” a un misero euro nominalmente sovranazionale, sostanzialmente nazionale.

Allora? Ci libereremo dalla tirannia del mercato quando cominceremo a gioire per la discesa del PIL, ma intanto ricordiamoci di rammendare i calzini perché dovranno andare ancora bene.

La BCE e la FED

La BCE riduce il tasso d’interesse di riferimento. Segno evidente che la crisi perdurerà e si avvia verso una fase più critica.

Aiuterà questa mossa? Poco e certamente non sarà risolutiva.

Draghi fa quel che può ma la BCE non ha l’investitura politica necessaria per fare quel che andrebbe fatto: immettere una massiccia dose di liquidità per favorire l’occupazione e la competizione sui mercati internazionali, anche a scapito di qualche punto di inflazione. Il problema è dunque squisitamente politico. In Europa abbiamo un serio deficit di potere politico che impedisce di competere nel mondo ad armi pari.

La FED in USA immette ogni mese 85 miliardi di dollari e lo farà fino a quando la disoccupazione non scenderà al livello desiderato. Massicce iniezioni di liquidità sono sostenute dal Giappone. E noi che facciamo? Abbiamo i fondamentali economici migliori rispetto a USA e Giappone ma l’economia va a picco e la valuta si mantiene forte. Proprio quel che serve per andare ancora più a picco.

Allora, o si ritorna alla piena sovranità nazionale abbandonando l’euro o si compie il processo di unificazione politica dell’Europa. La classe dirigente europea si decida a compiere il passo necessario: dotare gli organismi europei del necessario potere politico.

Una valuta necessita di uno Stato, di un potere politico per competere sui mercati internazionali con gli stessi strumenti delle altre valute.

Bancarotta europea

eurss-unione-europea-delle-repubbliche-social-L-K5hSomIl caso Cipro ci dimostra ancora una volta l’inadeguatezza dell’architettura istituzionale europea e l’inaffidabilità di una oligarchia burocratica che, senza dover rendere conto a nessuno, fa e disfa a proprio piacimento con la complicità delle nazionali squadre politiche. La classe dirigente di ogni Stato azionista dell’UE è indissolubilmente ma stupidamente legato agli interessi dello Stato che malamente rappresenta. Proiettare sulla scena europea l’interesse nazionale significa andare verso la morte. L’incapacità di dare vita al progetto europeo, la mancanza di coraggio e lungimiranza, la cretineria con cui si asseconda la cosiddetta opinione pubblica, specchio della mediocrità della classe dirigente, ci stanno portando verso il baratro distruggendo in poco tempo un progetto culturale e politico di grandissimo respiro e ancora dalle enormi potenzialità, purtroppo inespresse.

Vediamo in sintesi cosa apprendiamo dal “caso Cipro”.

1) Se affidi i tuoi risparmi a una banca e questa li gestisce male, rischi di perdere parte o tutti i tuoi risparmi perché sei colpevole di “incauto affidamento” come se tu avessi affidato un’automobile a un bambino. Continua a leggere

Forza Cipro!

ciproWolfang Schaeuble, ministro delle finanze in quel di Berlino, dichiara: “Il modello di business e sviluppo economico scelto da Cipro ha portato il Paese a non essere più solvente, ed è chiarissimo che questo non può essere pagato soltanto dai contribuenti degli altri paesi membri della UE, e come Cipro debba fare spetta a Cipro deciderlo, non all’eurozona”.

Perfetto. Posso integrare ricordando che quel “modello di business e sviluppo economico” è stato valutato positivamente e finanziato dagli attuali creditori di Cipro?

Il ragionamento del ministro tedesco ha un enorme punto debole: i contribuenti non devono pagare proprio nulla. Cipro vada serena verso il fallimento. Si confischino i beni delle banche cipriote e dei bancari. Si promuova una azione di responsabilità verso le banche estere creditrici e le istituzioni finanziarie europee. In ogni caso, Russia e Cina saranno contente di avere una bella postazione in ottima posizione nel Mediterraneo.

I mercati finanziari sono in allarme? Nulla di cui preoccuparsi. I mercati finanziari sono fantasmi dietro i quali si celano gli investitori istituzionali ovvero coloro che hanno finanziato il modello di business di cui sopra.

Bisogna che l’oligarchia burocratica europea e icretini istruiti” che sgovernano l’Europa prendano atto che il problema dell’Europa è solo uno: mancanza di potere politico.

E’ stata un solenne errore allargare l’Europa pensando di rafforzare così le debolezze europee: errore di valutazione storica, economica, politica. E questo ha aggravato l’errore storico di aver creato la moneta unica senza creare una autorità statale di riferimento, una federazione di stati con una autorità politica e fiscale, con una solidarietà di bilancio, con una politica estera, con forze armate europee, con diritti europei… Una federazione europea, gli Stati Uniti d’Europa, fondata sui diritti dei popoli europei e non sul nominalismo della moneta unica e sulla sola libertà di circolazione di merci e capitali. Se Obama deve parlare con l’Europa chi chiama? Se lo Stato non batte la Moneta è la Moneta che batte lo Stato!

Uscire dall’EURO

Se lo Stato non batte la Moneta è la Moneta che batte lo Stato.

In altri termini, prima nasce lo Stato e poi la Moneta. La pretesa di ribaltare la storia, la logica e le leggi dell’economia ha dimostrato tutta la sua debolezza, ovvia, prevedibile e prevista.

La forza monetaria dell’Euro è la dimostrazione della sua debolezza istituzionale. L’Euro si mantiene forte rispetto al Dollaro USA nonostante l’economia europea sia in sofferenza più di quella statunitense. L’Europa è in affanno più degli USA e del Giappone sebbene i fondamentali europei siano di gran lunga più solidi. Non vi sembra tutto strano?

Intendiamoci, esistono in Europa elementi oggettivi di fragilità: mancanza di risorse, stati e regioni europee poco virtuosi. Ma l’Europa rimane la regione del mondo tra le più virtuose. L’Europa è messa meglio di USA e Giappone sia rispetto al debito pubblico sia rispetto al deficit. Continua a leggere