I sistemi elettorali

L’Italia si trova dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso in transizione dal vecchio sistema della cosiddetta prima repubblica a un nuovo indefinito sistema della seconda repubblica, il cui atto di nascita sarebbe la legge elettorale del 1993, nota come Mattarellum.

Stiamo ancora vagando alla ricerca di un sistema elettorale che contribuisca a dare stabilità al sistema politico, perché come afferma il Codice di buona condotta in materia elettorale, elaborato dalla Commissione di Venezia nell’ambito del Consiglio d’Europa, la stabilità del sistema elettorale è cruciale per la credibilità dell’intero sistema democratico.

Entro febbraio 2018 voteremo per il rinnovo del Parlamento e non abbiamo ancora definito un sistema elettorale, dopo la bocciatura del porcellum e le fantasie dell’Italicum.

Per iniziare una discussione sul sistema elettorale bisogna partire da una domanda: a cosa serve il sistema elettorale?

Serve a trasformare i voti in seggi; quindi, per dare rappresentanza politica a una collettività e per formare una maggioranza in grado di sostenere un governo.

In queste due esigenze ci sono le due grandi formule elettorali: il proporzionale, che valorizza la rappresentatività; il maggioritario, che esalta la stabilità di governo.

Regno Unito, Francia, Germania … sono tre Paesi politicamente stabili, eppure hanno tre diversi sistemi elettorali e persino tre differenti sistemi istituzionali.

La stabilità di governo non dipende, dunque, dalla legge elettorale, ma dal sistema istituzionale.

Le cause dell’instabilità vanno ricercate nel sistema dei partiti e di selezione dei candidati, nei criteri che regolano i cambiamenti di governo, nel potere discrezionale del Presidente della Repubblica, nella mancanza di previsioni istituzionali in grado di scoraggiare il trasformismo, come per esempio la sfiducia costruttiva.

La legge elettorale è solo uno strumento indispensabile per ogni sistema politico basato sulla rappresentanza, ma per comprenderne l’efficacia va valutata congiuntamente al sistema costituzionale in cui agisce.

Le diapositive allegate descrivono i diversi sistemi elettorali presenti in Europa e le previsioni della nostra Costituzione di cui i legislatori dovrebbero tener conto quando approvano una legge elettorale.

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La governabilità e la legge elettorale

Il tema della governabilità è presente nella storia repubblicana da sempre. La legge del 1953 arrivava, infatti, al termine della prima legislatura in cui c’erano stati tre soli governi, tutti presieduti da De Gasperi. In Francia andava molto peggio: 22 governi in soli 12 anni di Quarta Repubblica.

In Francia la risposta al tema della governabilità è stata una riforma costituzionale, che ha introdotto il semipresidenzialismo e che è stata confermata dal 79% degli elettori. In Italia, sono sempre state cercate scorciatoie attraverso la legge elettorale.

Peccato che la governabilità non discenda dalla legge elettorale, ma dal sistema istituzionale. Regno Unito, Francia, Germania … sono tre Paesi politicamente stabili, eppure hanno tre diversi sistemi elettorali. Se vogliamo affrontare il problema della governabilità, è sulla architettura costituzionale che occorre intervenire, come per esempio è stato fatto in Germania.

Il problema della governabilità in Italia dipende dal sistema dei Partiti, opaco e non democratico, e dalla diffusa volontà di non applicare la Costituzione. Già nel 1953, alla prima prova, si scelse di non applicare la Costituzione sciogliendo anticipatamente il Senato.

La cosiddetta “Legge Truffa” del 1953 assegnava un premio, in termini di seggi, a chi aveva già la maggioranza assoluta dei voti, a differenza di Porcellum e Italicum che trasformano una maggioranza relativa in maggioranza assoluta.

Se vogliamo fare confronti con esperienze del passato, l’Italicum va confrontato con la legge Acerbo del 1923, di cui rappresenta un perfezionamento. La legge del 1923 prevedeva che se nessuno raggiungeva la soglia per accedere al premio la distribuzione dei seggi sarebbe avvenuta in modo proporzionale. Con l’Italicum, invece, se nessuno raggiunge la soglia del 40%, si va a una seconda votazione tra i primi due classificati; a chi vince tra i due si assegnano 340 seggi su 618 (gli altri 12 sono riservati alla circoscrizione estero).

Davvero la situazione era così ingovernabile da rendere necessaria una guerra parlamentare per approvare la nuova legge elettorale?

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Dal proporzionale al partito unico scelto

Con il proporzionale lamentavamo l’eccessiva frammentazione del Parlamento.

Dal 1948 al 1993, la DC è stata il perno di ogni governo e il potere di veto degli alleati era in gran parte dovuto alla competizione tra le correnti interne alla DC.

Nella prima legislatura, elezioni del 1948, la DC ebbe la maggioranza assoluta, e neanche tanto risicata, ma preferì formare governi di coalizione.

Nella prima legislatura abbiamo avuto 3 governi; nella seconda 6.

A oggi, se escludiamo i due governi Prodi, tutte le crisi di governo sono state extraparlamentari, vale a dire frutto di accordi avvenuti fuori dal Parlamento tra notabili e plenipotenziari di partito.

Memorabile nel 1960 il duro discorso di Merzagora, presidente del Senato, in occasione della crisi del governo Segni, che portò al governo Tambroni.

Per risolvere il problema della governabilità, dapprima si tentò con il proporzionale corretto da un forte premio assegnato a chi raggiungeva la maggioranza assoluta (“legge truffa” del 1953), poi si tornò al proporzionale e si cominciò a pensare a riforme costituzionali e a un sistema elettorale uninominale.

Le riforme costituzionali naufragarono e solo grazie allo strumento referendario, che per sua natura ha dei grossi limiti, si intervenne sul sistema elettorale: nel 1991 con l’abolizione della preferenza multipla, quando Craxi suggerì agli elettori di andare al mare, poi nel 1993 con il referendum sulla legge elettorale per il Senato per introdurre il sistema uninominale.

Se i referendum riuscirono a intervenire laddove i partiti avevano fallito, è evidente che il problema era tutto interno ai partiti politici. Continua a leggere

IL NUOVO ITALICUM

Finalmente ci siamo. Silvio Berlusconi e Matteo Renzi hanno raggiunto un accordo per la nuova legge elettorale che consentirà di rinnovare il Parlamento.

Come sapete, se andrà in porto la riforma costituzionale in discussione, il Senato non sarà più eletto dal popolo sovrano e non dovrà votare la fiducia al Governo.

L’obiettivo dichiarato è: avere un vincitore appena terminate le operazioni di voto e avere un Governo in grado di fare senza subire veti e ricatti.

Manca ancora qualche dettaglio, ma il più è definito.

Tipologia: legge proporzionale a ripartizione nazionale con premio per ottenere la maggioranza assoluta e soglie di accesso.

Premio: il partito che raggiunge il 40% dei voti validi avrà un premio che lo porterà alla maggioranza assoluta con 340 deputati (su 630). Se nessun partito raggiunge questa soglia, si va al ballottaggio tra i primi due classificati. Il calcolo è fatto su base nazionale.

Soglie di sbarramento: ancora qualche dubbio. Renzi le vorrebbe al 3%, Berlusconi al 6%. Vedremo.

Liste: i Partiti presenteranno i loro candidati in liste bloccate solo per i capilista; gli elettori potranno esprimere due preferenze tra i candidati presenti in lista. Le preferenze dovranno essere assortite nel genere, pena nullità del voto.

Varietà di genere: ogni genere potrà contare sul minimo del 40% di capilista.

Collegi: saranno 100; è prevista la candidatura multipla ma in non più di dieci collegi.

Considerazioni

Ancora una volta avremo un parlamento costituito per la gran parte da nominati, vale a dire rappresentanti dei partiti, scelti esclusivamente dalle segreterie dei partiti nonostante la Corte Costituzionale abbia ribadito con la sentenza 1/2014 che “le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee … devono essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati”. Continua a leggere

Professori al bar sport

Ho sempre più spesso la percezione di una cultura piegata agli interessi del potere politico, incapace di autonomia, incapace di stimolare pensiero critico e conoscenza. Una cultura che diffonde banalità, falsità e mediocrità tanto da chiedersi se non siano preferibili i tronisti del Grande Fratello ai tanti giuristi e dotti professori dalle parole poco meditate.

Martedì 21 gennaio leggo Sartori sul Messaggero. Lungo l’intervista, qualche apprezzabile considerazione e tanto banale colore: “Italicum è ridicolo. Le definizioni Mattarellum e Porcellum le ho inventate io ma perché erano i nomi degli autori di quei meccanismi elettorali. Italicum invece ricorda un treno, o giù di lì. Anche perché allora la Germania dovrebbe chiamare il suo sistema elettorale Alemanicum, l’Inghilterra Anglicum, gli Stati Uniti… boh è più difficile. Ma insomma ci siamo capiti”.

Sì, ci siamo capiti, abbiamo appreso che il vero nome di Calderoli è Porcello… e tranquillo Sartori, non è fondamentale dare un nome a una proposta di legge, ci sono aspetti più importanti di cui occuparsi.

L’intervista prosegue con alcune considerazioni che fanno venire i brividi per la dose di insulsaggine: “Ma per carità, lasciamo stare la Corte che non c’entra nulla. A parte che sono arrivati con quattro anni di ritardo, il che è ridicolo. Ma poi la legge elettorale è una legge ordinaria, non materia costituzionale: che c’entra la Consulta, perché è intervenuta?

Ricordo che l’art. 134 della Costituzione recita
La Corte Costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione”

Quindi, totalmente privo di senso quanto affermato da Sartori… ma ridicolo anche che un giornalista si riduca a semplice reggi microfono e riporti sciocchezze simili senza un approfondimento, un chiarimento… contribuendo così a diffondere ignoranza e stupidaggini. A questo punto meglio leggere Novella2000 per seguire il dibattito politico.

Giovedì 23 gennaio leggo D’Alimonte su la Repubblica. E qui siamo al delirio.

D’Alimonte argomenta rafforzando l’idea, falsa e infondata, che basti una legge elettorale per riformare il “sistema”; dal 1953 c’è la malsana pretesa di garantire governabilità mediante la legge elettorale. Peccato che la legge elettorale sia soltanto una importante componente di un sistema istituzionale e perché funzioni deve essere coerente con l’architettura istituzionale.

Insulso difendere il premio di maggioranza ricorrendo a parallelismi con l’elezione di Blair e di Hollande: i sistemi istituzionali in vigore in quei paesi sono completamente diversi dal nostro. Infatti, se importassimo in Italia la legge elettorale francese, non funzionerebbe perché il nostro sistema costituzionale è profondamente diverso.

In Francia, per esempio, vige un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, nel caso al primo nessuno abbia raggiunto la soglia del 50%+1 (maggioranza assoluta).
Cosa ben diversa dal prevedere un premio pari a oltre il 50% dei voti raccolti alla sola condizione di aver raggiunto la soglia del 35%; perché questo è il premio previsto da Italicum: 18 punti percentuali in aggiunta ai 35 raccolti! Alla faccia del premio ragionevole.
Inoltre, in Francia si procede con sistema maggioritario anche per l’elezione del Presidente della Repubblica che nomina il Primo Ministro. Il potere esecutivo è quindi condiviso tra il presidente e il primo Ministro, che non ha bisogno della fiducia dell’Assemblea Nazionale (però l’Assemblea può sfiduciare il governo). Il Senato viene eletto da coloro che detengono cariche elettive locali.
Un sistema così articolato – nato nella sua impalcatura sostanziale congiuntamente alla V Repubblica – non è paragonabile con quanto succederebbe in Italia se passasse l’Italicum: il sistema italiano è basato su bicameralismo perfetto e centralità del Parlamento. E non dimentichiamo che il Parlamento decide su nascita e vita del governo; non sono gli elettori che scelgono il Governo ma il Parlamento.

Pretendere di stravolgere il sistema costituzionale in modo surrettizio con l’introduzione di una legge elettorale significa destinare l’Italia ad atri lunghi anni di sfacelo. Allo stesso modo, inutile perseguire la governabilità, alterando in modo sostanziale il peso elettorale (aumentandolo di oltre il 50%), quando la coalizione vincente, il giorno dopo le elezioni, potrebbe sfaldarsi dando vita a una maggioranza completamente diversa da quella alla quale è stata regalata la maggioranza.

D’Alimonte ci spiega che Italicum nasce da un compromesso fondato sulle valutazioni e i desiderata di Berlusconi; quindi, si edifica un sistema elettorale sulla istantanea del quadro politico come se i voti fossero una proprietà. Non è realismo quello di D’Alimonte ma incapacità di valutazione degli effetti, irresponsabilità, forse narcisismo e voglia di protagonismo.
D’Alimonte così contribuisce a perpetuare tutti gli errori degli ultimi due decenni. Nelle affermazioni di D’Alimonte c’è la vocazione al suicidio! Già il mattarellum nacque per volontà di parte dei sopravvissuti a DC e PCI che ritenevano di avere in tasca la vittoria per mancanza di contendenti. Arrivò Berlusconi, mise insieme con due alleanze distinte quel che tutti i cretini istruiti del tempo pensavano non fosse possibile mettere insieme (Lega e MSI) e mise nel sacco la gioiosa macchina da guerra.

Italicum favorisce le coalizioni non su basi programmatiche ma semplicemente per
a) accedere al premio
b) ridurre il rischio di essere estromessi dal Parlamento.

Nasceranno ammucchiate che faranno apparire caste le orge e i club per scambisti. D’Alimonte non sarà un pornografo delle Istituzioni parlamentari?

Nella indifendibile proposta che D’Alimonte sostiene, senza offrire uno straccio di ragionamento e uno scampolo di cultura, non c’è alcun obiettivo apprezzabile, se non il fare tanto per fare: perché prevedere il ballottaggio solo se nessuno ha raggiunto la soglia del 35%? Intelligenza e logica vorrebbe prevedere il ballottaggio se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta al primo turno.

D’Alimonte difende le liste bloccate spiegando che così si può “equilibrare la presenza di genere”, si può garantire “l’alternanza uomo- donna nelle liste”. Affermazioni prive di qualsiasi pregio culturale. Che valore ha l’alternanza di genere tra persone servili scelte dalle segreterie di partito? Che differenza fa avere in parlamento un Razzi maschio o un Razzi femmina? Che senso ha una lista bloccata ma con i nomi dal momento che se io voglio votare la terza persona in lista devo votare la lista e favorire così l’elezione dei due che precedono il mio preferito? Affermazioni come quelle di D’Alimonte sono un monumento all’ignoranza e alla insulsaggine.

Ma finalmente con una argomentazione forte D’Alimonte ci mette in guardia dai rischi delle preferenze: “le preferenze favoriscono il voto di opinione o sono uno strumento di chi fa politica con metodi clientelari, se non addirittura criminali? E poi: le preferenze alzano a dismisura i costi delle campagne elettorali, portano corruzione e indeboliscono i partiti che diventano comitati elettorali”.

Professor D’Alimonte, le succede spesso di perdere la capacità di analisi e di ragionare? Nel nostro sistema sono i partiti che scelgono i candidati. Nel nostro sistema non esiste una disciplina legale dei Partiti. Nel nostro sistema non esiste democrazia e trasparenza nei processi decisionali interni ai Partiti. Nel nostro sistema al massimo gli elettori hanno potuto scegliere tra i candidati ma non chi candidare: questo potere è sempre stato appannaggio delle segreterie di partito. I metodi clientelari non sono voluti dagli elettori ma subiti dagli elettori costretti spesso a mendicare diritti sviliti a favori per gentile concessione dei feudatari di partito. Sono i partiti che perseguono logiche clientelari per acquisire il consenso. Il non-ragionamento di D’Alimonte è una offesa all’intelligenza e alla cultura del diritto e della legalità. Allora ricorriamo al sorteggio, professor D’Alimonte, suvvia un po’ di coerenza se la cultura non le è proprio di aiuto. Con il sorteggio risolviamo anche il problema dei costi.

Si proceda con collegi uninominali in cui ogni partito presenta un solo candidato ed ecco che si costringono i partiti a puntare sulla qualità dei candidati; si faccia una legge che attui finalmente l’art. 49 della Costituzione ed ecco che i Partiti potranno essere ciò che dovrebbero essere: strumenti organizzativi nelle mani dei cittadini per partecipare alle scelte politiche e non apparati para-statali che hanno trasformato una promessa di democrazia in una volgare oligarchia.

Infine, oggi 24 gennaio Valerio Onida ci tranquillizza: “Le liste bloccate, almeno se corte, non sono incostituzionali”. Piacerebbe capire in base a quale ragionamento affermi ciò. Dobbiamo credergli sulla parola? Solo perché parla il saggio Onida? Neanche per sogno. La lista bloccata esclude l’elettore dalla possibilità di incidere sulla scelta degli eletti, dopo aver escluso l’elettore dalla scelta di chi candidare. No, professor Onida la sua è una solenne cantonata.

Se questi sono i luminari che dovrebbero aiutarci a uscire dalla palude… grazie, non scomodatevi.

Riposatevi con tranquillità al vostro preferito bar sport.

Proprio vero che i saggi non esistono. D’altra parte, chi darebbe la patente di saggio?