La governabilità e la legge elettorale

Il tema della governabilità è presente nella storia repubblicana da sempre. La legge del 1953 arrivava, infatti, al termine della prima legislatura in cui c’erano stati tre soli governi, tutti presieduti da De Gasperi. In Francia andava molto peggio: 22 governi in soli 12 anni di Quarta Repubblica.

In Francia la risposta al tema della governabilità è stata una riforma costituzionale, che ha introdotto il semipresidenzialismo e che è stata confermata dal 79% degli elettori. In Italia, sono sempre state cercate scorciatoie attraverso la legge elettorale.

Peccato che la governabilità non discenda dalla legge elettorale, ma dal sistema istituzionale. Regno Unito, Francia, Germania … sono tre Paesi politicamente stabili, eppure hanno tre diversi sistemi elettorali. Se vogliamo affrontare il problema della governabilità, è sulla architettura costituzionale che occorre intervenire, come per esempio è stato fatto in Germania.

Il problema della governabilità in Italia dipende dal sistema dei Partiti, opaco e non democratico, e dalla diffusa volontà di non applicare la Costituzione. Già nel 1953, alla prima prova, si scelse di non applicare la Costituzione sciogliendo anticipatamente il Senato.

La cosiddetta “Legge Truffa” del 1953 assegnava un premio, in termini di seggi, a chi aveva già la maggioranza assoluta dei voti, a differenza di Porcellum e Italicum che trasformano una maggioranza relativa in maggioranza assoluta.

Se vogliamo fare confronti con esperienze del passato, l’Italicum va confrontato con la legge Acerbo del 1923, di cui rappresenta un perfezionamento. La legge del 1923 prevedeva che se nessuno raggiungeva la soglia per accedere al premio la distribuzione dei seggi sarebbe avvenuta in modo proporzionale. Con l’Italicum, invece, se nessuno raggiunge la soglia del 40%, si va a una seconda votazione tra i primi due classificati; a chi vince tra i due si assegnano 340 seggi su 618 (gli altri 12 sono riservati alla circoscrizione estero).

Davvero la situazione era così ingovernabile da rendere necessaria una guerra parlamentare per approvare la nuova legge elettorale?

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I cattivi maestri

Leggo su il Mulino Italicum: più pregi che difetti, di Augusto Barbera, già docente di diritto costituzionale.

Nel presentarci sinteticamente l’Italicum, Barbera ci spiega che nel caso nessuno raggiunga al primo turno il 40%, il premio per raggiungere e ampiamente superare la maggioranza assoluta è assegnato con un ballottaggio fra le due liste più votate. Aggiungo, perché non è irrilevante, che non è previsto alcun quorum per essere ammessi al ballottaggio e non è previsto alcun quorum di votanti. Si verifica la stessa condizione già censurata dalla Corte Costituzionale nel giudizio della legge elettorale nota come Porcellum.

Barbera omette di ricordare la funzione del ballottaggio nei sistemi in cui questo meccanismo è previsto: nella ipotesi in cui al primo turno nessuno abbia raggiunto la maggioranza assoluta, il ballottaggio serve a scegliere al secondo turno tra due candidati alla carica di Presidente o tra candidati a rappresentare un collegio parlamentare o altra carica elettiva (per esempio, in Italia, il sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti). C’è sempre coerenza tra primo e secondo turno; la funzione del voto è sempre la stessa: eleggere un presidente o eleggere un rappresentante di collegio. Nel nostro caso, invece, mentre votiamo per l’assemblea dei rappresentanti del popolo sovrano, dovremmo scegliere al ballottaggio a chi affidare il compito di formare il governo tra due formazioni politiche; perché questa è la finalità vera del ballottaggio e non più eleggere dei rappresentanti.

Il voto è finalizzato a decidere chi deve formare il governo, pur rimanendo all’interno di un sistema costituzionale che non prevede l’elezione diretta dell’esecutivo. Si introduce surrettiziamente l’elezione diretta dell’esecutivo. A chi infatti il Presidente della Repubblica potrà affidare l’incarico di formare il Governo se non a un esponente del Partito a cui è stata regalata la maggioranza assoluta? Va detto che in nessun sistema, tranne quelli presidenziali, si elegge direttamente il governo, ma l’elezione indiretta è fortemente sostenuta dal voto elettorale laddove il sistema istituzionale assegna forti poteri al Primo Ministro. E’ questo il caso di paesi come la Germania, il Regno Unito, la Spagna… in cui vige un sistema di cancellierato o premierato costituzionalizzato o istituzionalizzato. Potere di revoca e nomina dei ministri, sfiducia costruttiva, richiesta di scioglimento del parlamento… sono alcuni poteri che caratterizzano i sistemi di governo dei Paesi citati e che non sono presenti nel nostro sistema costituzionale. La circostanza che i tre Paesi citati hanno leggi elettorali profondamente diverse, ci conferma che non è la legge elettorale a dare stabilità al Governo ma il sistema istituzionale con il quale la legge elettorale deve essere coerente. Nel nostro sistema non è istituzionalizzato alcun collegamento tra risultato elettorale e governo, a differenza di altri Paesi, cosa che rende perfettamente legittimo ogni cambio di maggioranza all’interno della stessa legislatura.

Totalmente arbitrario e irragionevole prevedere il ballottaggio solo nel caso in cui nessuno abbia raggiunto la soglia del 40%; perché non è previsto nel caso nessuno raggiunga la maggioranza assoluta, come avviene ovunque esista il ballottaggio?

Portare un partito dal 40% al 55% ovvero ad avere 340 deputati su 618 (e non su 630 come erroneamente scrive Barbera, perché i 12 per arrivare a 630 sono riservati alla circoscrizione estero) significa aumentare la consistenza parlamentare di un gruppo fino a +37,5% perché da 40 a 55 c’è un incremento del 37,5%. Non è cosa da poco, considerando che potrebbe verificarsi che il secondo classificato abbia il 40%-1 dei voti. Il vincente avrebbe 340 eletti, e il secondo classificato circa 180. Le disposizioni dell’Italicum rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore, “che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”(Corte Cost. sentenza n. 1/2014). Non sono rispettati i principi di proporzionalità e ragionevolezza che sempre devono essere rispettati per assicurare equilibrio tra interessi costituzionali rilevanti. È violato il principio di uguaglianza del voto. Continua a leggere

Italicum, ovvero uccidere il Parlamento nella generale indifferenza

Tanto può la cattiva politica che un parlamenticidio può passare inosservato e persino suscitare compiacimento.

La valutazione di un sistema elettorale non si fa a suon di mi piace o in base a quel che ciascuno di noi gradirebbe, ma con riguardo al sistema istituzionale nel quale si inserisce la legge elettorale e al quadro costituzionale che deve essere rispettato. La legge elettorale è necessaria per il funzionamento degli organi costituzionali, ma non è e non disegna il sistema istituzionale, si inserisce in un sistema istituzionale con il quale deve essere coerente. La Costituzione si rispetta o si cambia. Tertium non datur.

Molti dicono che il Parlamento è polveroso, lento e inefficiente. Probabilmente hanno ragione, ma a renderlo tale sono i suoi occupanti, scelti esclusivamente dai Partiti, spesso e volentieri pescando tra il peggiore bestiario offerto dal popolo italico. Si tratta di critiche antiche, cardine del pensiero proto-fascista. L’instabilità degli esecutivi era attribuita agli eccessi del parlamentarismo e soprattutto al sistema proporzionale, introdotto in Italia appena dal 1919… è già divenuto causa di tutti i mali. Significativo quanto già nel 1921 scriveva Antonio Casertano, in seguito relatore per la maggioranza all’interno della commissione di revisione della legge elettorale che sarà approvata nel 1923: “Il doppio esperimento della proporzionale fatto in Italia, ha rivelato un male organico assai più grave di quello sin qui esaminato, ed è la legalizzazione della lotta immorale tra i candidati dalla stessa lista (…) Il rimedio a questo meccanismo per se stesso immorale non può trovarsi se non nella lista limitata, il cui successo sia successo per tutti”.

E’ corretto dire, checché se ne dica, che il Parlamento è da anni una assemblea dei rappresentanti dei Partiti. E i Partiti sono associazioni private gestite, calpestando i diritti degli associati, in modo privatistico da un manipolo di persone per fini personali, non sempre leciti. I Partiti non rispecchiano il dettato costituzionale dell’art. 49 e non sono organizzati democraticamente. Non esiste democrazia e trasparenza nei processi decisionali interni ai Partiti, nell’affidamento degli incarichi, nella selezione dei candidati.

I Partiti operano al di fuori delle previsioni costituzionali poiché le loro funzioni devono “essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati” (Corte Costituzionale, sentenza 1/2014), ma non è così che avviene.

Con queste premesse, uccidere il Parlamento dovrebbe risultare cosa gradita.

Invece NO, perché la risposta corretta non è uccidere il Parlamento, ma ricondurlo alle previsioni costituzionali e nel caso cambiarne le funzioni nel rispetto delle regole previste dalla Costituzione.

Questo Parlamento, con il determinante concorso del conservatore governo Renzi, si appresta a varare una nuova disciplina elettorale che rafforza il potere dei Partiti, senza curarsi minimamente di ricondurli alle previsioni costituzionali. Evidente il ruolo partitocratico del Governo Renzi con i servizievoli soldatini collocati in Parlamento, che usurpano il ruolo dei rappresentanti del popolo sovrano.

Stanno istituzionalizzando il regime partitocratico, vale a dire il passaggio dal Partito Stato allo Stato dei Partiti.

L’Italicum prevede capilista bloccati; saranno i primi eletti di ciascun Partito. Gli elettori potranno esprimere due preferenze, per candidati di genere differente. I collegi saranno 100, ne consegue che i primi 100 eletti di ciascun partito saranno scelti unicamente dai Partiti, senza alcuna democrazia e trasparenza nei metodi di selezione. La determinazione della cifra elettorale di ciascun partito sarà calcolata su base nazionale, non c’è quindi un diretto collegamento tra voto nel collegio ed eletto nel collegio.

Il primo partito si assicurerà 340 seggi su 617 (gli altri 13 per arrivare a 630 sono riservati a Valle d’Aosta e circoscrizione estero), i restanti 277 potrebbero essere tutti occupati dai capilista degli altri partiti, se nessun partito dopo il primo supera la soglia del 21% (la soglia precisa sarà in dipendenza di quanti non supereranno la soglia di sbarramento). Dei 340 eletti dai Partito Vincente, 100 saranno certamente i capilista e quindi scelti dalla segreteria di Partito, gli altri saranno indirettamente scelti dagli elettori in base alle preferenze espresse. Poiché sono previste le candidature multiple, un capolista potrebbe risultare eletto in 10 collegi e dovrà optare per un collegio; saranno quindi eletti i 240 più votati con esclusione di coloro che pur essendo più votati non entrano in Parlamento in conseguenza della scelta effettuata dal capolista. Quindi altri eletti saranno condizionati dalle scelte fatte dai capilista.

L’Italicum prevede la preferenza multipla, con l’obbligo della varietà di genere. Proprio quella preferenza che è stata bocciata con referendum perché si presta a facili condizionamenti malavitosi e l’imposizione della varietà di genere è oggettivamente un criterio che favorisce i condizionamenti mafiosi.

Evidente che a essere eletti in Parlamento con la preferenza non saranno i più votati in un collegio in una competizione alla pari tra candidati di più Partiti, ma i più votati dagli elettori di un solo Partito che per meccanismo elettorale è trasformato da minoranza in maggioranza assoluta e quindi senza effettiva relazione con i voti raccolti. In un collegio potrebbero esserci candidati di un partito che raccolgono più consensi di quello premiato ma che restano fuori dal Parlamento

Il Partito A con il 40%+1 dei voti avrà 340 eletti.

Il Partito B che prende il 40%-1 dei voti avrà circa 180 eletti.

Due Partiti con lo stesso sostanziale consenso elettorale, ma irragionevolmente con peso politico profondamente diverso. Che ne è del principio costituzionale di eguaglianza del voto? Tale principio esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. Ciò non significa che non è ammesso alcun sistema diverso dal proporzionale, ma che se il legislatore opta per il sistema proporzionale non devono esserci squilibri inattesi e smisurati nella trasformazione dei voti in seggi. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto che “qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto” (Corte Cost. sentenza 1/2014). Continua a leggere

Il Governo in premio

Lavorare per avere un vincitore alla chiusura delle urne è un rispettabile obiettivo estraneo al nostro vigente sistema costituzionale e persino alla Costituzione come uscirebbe dalle riforme attualmente in discussione.

La nostra Costituzione è a centralità parlamentare e rimarrà così anche con la riforma in discussione.

Votare per eleggere l’assemblea dei rappresentanti del popolo sovrano significa per definizione che non c’è alcun vincitore ma solo differenze numeriche tra i gruppi parlamentari.

Ogni eletto ha pari dignità e rappresenta la Nazione: così vuole la nostra Costituzione vigente e anche quella che uscirebbe con l’approvazione della riforma costituzionale in discussione.

In questo assetto costituzionale ridurre il voto per l’assemblea parlamentare in un voto per incoronare, in modo indiretto e a insaputa degli elettori, un vincitore incaricato di governare significa stravolgere la funzione del Parlamento, del voto e il sistema istituzionale.

Ci ritroveremmo in un sistema di tipo presidenziale senza saperlo e senza avere i contrappesi tipici di tutti i sistemi in cui distintamente gli elettori votano per il parlamento e per il Presidente, Premier, Cancelliere…

Come minimo occorre che il premio sia assegnato a chi raggiunge il 50%+1 dei voti o con un ballottaggio tra i due partiti meglio piazzati.

Almeno in questo modo al ballottaggio l’elettore avrebbe consapevolezza di votare per l’esecutivo, scegliendo tra programmi di governo, mentre quando ha votato per il rinnovo del parlamento ha scelto i propri rappresentanti, o almeno dovrebbe poterli scegliere, ma non sembra che la nuova vecchia oligarchia renziana abbia intenzione di rispettare la Costituzione.

Meglio ancora sarebbe eleggere distintamente il Premier e il Parlamento.

Gli elettori voterebbero per un programma di governo e per i rappresentanti parlamentari perché potere esecutivo e legislativo devono essere autonomi e distinti sebbene interdipendenti.