Il nuovo Senato in 5 mosse

La riforma costituzionale nel merito:

1) Il Senato sarà abolito?

NO! Avrà un mucchio di poteri confusi, ma non rappresenterà la Nazione.

Rappresenterà le “istituzioni territoriali”!

Come?

BOH!

Non avranno i senatori alcun mandato vincolante. Non avranno nemmeno un mandato politico poiché ciascun Consiglio regionale sceglierà al proprio interno, con metodo proporzionale, qualcuno da mandare a Palazzo Madama a esercitare non si sa quale rappresentanza.

I senatori non risponderanno ai Consigli regionali che li eleggono “in conformità alle scelte degli elettori” e non risponderanno ai governi regionali.

La nuova Costituzione non dice nulla su come si eserciterà questa nuova funzione di rappresentanza delle istituzioni territoriali e non dice nulla nemmeno sulla funzione di raccordo tra l’attività legislativa dello Stato e quella delle Regioni.

Il Senato non diventa nemmeno quel luogo istituzionale in cui potrebbero trovare risposte i dubbi interpretativi e il contenzioso che certamente scatenerà la riforma del Titolo V; quindi, ogni contenzioso arriverà alla Corte Costituzionale… esattamente come adesso. Continua a leggere

La riforma del Titolo V della Costituzione


Senato e riforma del Titolo V della Costituzione (Regioni, Provincie, Comuni) sono gli aspetti più corposi di questa riforma della Costituzione.

L’intervento sul Titolo V della Costituzione costituisce una riforma della riforma del 2001.
Prova incontestabile che le riforme possono essere pessime.
L’idolatria della riforma e del cambiamento la lascio volentieri agli sciocchi, perché le riforme vanno sempre analizzate nel merito.

La riscrittura del Titolo V non tiene conto della evoluzione istituzionale avvenuta in questi ultimi 14 anni e della controriforma del 2012. Interrompe la vasta attività legislativa delle Regioni, intervenendo su processi ancora in atto. Amplia gli spazi di contenzioso. Non risolve alcun problema.

La riforma del riformato Titolo V riconferma i princìpi della riforma del 2001, senza risolverne le incongruenze e inefficienze. Mentre elimina la legislazione concorrente, amplia le materie trasversali, introduce una illimitata ingerenza dello Stato sulla potestà legislativa delle Regioni, non realizza quanto indicato dalla Corte Costituzionale nelle numerose sentenze su diversi aspetti della riforma del 2001.

Alla transitorietà ancora in atto in dipendenza della riforma del 2001 si sommerà quella che sarà avviata dalla nuova riforma.

Perché la riforma del 2001 è stata un fallimento? Continua a leggere

Il fallimento del federalismo

lega2In Italia il federalismo vanta nobili origini e, considerata la nostra Costituzione, da molto tempo sarebbe stato agevole rafforzare il decentramento e giungere a un’organizzazione di tipo federale. La Costituzione da sempre prevede Regioni e Province a statuto speciale, con ampia autonomia, e anche le Regioni a Statuto Ordinario, che però saranno istituite solo nel 1970. Ciò non deve stupire, l’attuazione della Costituzione è stata lentissima, ampiamente ostacolata da larghi settori politici e in parte ancora incompiuta.

Non bastarono l’epoca tumultuosa e in parte tuttora oscura dell’autonomismo siciliano e la crisi altoatesina sfociata nel terrorismo, a imporre in Italia un serio dibattito sul superamento dello statalismo e sul federalismo. Temi per nulla cari alla DC e nemmeno al PCI che non andava oltre il “centralismo democratico”.

Agli inizi degli anni novanta, dopo Tangentopoli, il movimento leghista conosce soprattutto in Lombardia e nell’Italia settentrionale una crescita impetuosa. Il protagonista di questa crescita è Umberto Bossi e il gruppo dirigente al suo fianco. La linea politica oscilla tra la secessione e la trasformazione dell’Italia in una Repubblica Federale costituita da tre macro-regioni.

Nel ’94, con Berlusconi, la Lega arriva al Governo; in breve, abbandona la maggioranza capitanata dal “mafioso di Arcore” e alle nuove elezioni del 1996 le elezioni sono vinte dal centro-sinistra.

Nel centro-sinistra si apre un dibattito intorno alle funzioni delle Regioni e alla organizzazione dello Stato, con l’obiettivo di realizzare il cosiddetto federalismo fiscale, vale a dire l’autonomia finanziaria. Probabilmente la reale preoccupazione del centro-sinistra era spuntare le armi elettorali della Lega nel timore – poi verificatosi – che potesse tornare ad allearsi con il centro-destra di Berlusconi.

Si giunge così nel 2001 alla riforma del Titolo V della Costituzione. La potestà legislativa appartiene allo Stato e alle Regioni; le competenze sono divise per materia; ogni materia è esclusiva dello Stato o “concorrente”, in altre parole statale e regionale. La Regione ha autonomia amministrativa. E’ prevista anche l’autonomia finanziaria, ma su questo ancora oggi si arranca.

La riforma approvata sotto il governo di centro-sinistra di Amato, diventerà definitiva per conferma referendaria sotto il governo di Berlusconi, con la Lega nuovamente in maggioranza.

Subito quella riforma fu considerata pessima da più parti e, in effetti, aprì a un caos interpretativo mai esauritosi e sfociato in un perenne contenzioso tra Stato e Regioni. Non a caso, la nuova riforma costituzionale promossa dal Governo Renzi, se approvata, riformerà in profondità la riforma varata appena 13 anni fa.

Perché il federalismo ha fallito?

Perché le Regioni sono in breve divenute tra gli Enti politico-amministrativi meno amati?

Perché in questi decenni le Regioni sono al centro della sistematica attività criminale intrecciata con la politica o con lo sperpero di ingenti risorse pubbliche? Continua a leggere

Abolire le province?

castello_01Abolire le province? La provincia è forse l’organo istituzionale meno amato. Da decenni si discute di abolirle eppure nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione si è persa questa occasione e sono state messe le basi per allargare i poteri delle province e la loro (quasi) intoccabilità poiché non si può intervenire sulle Province senza decisione condivisa con i Comuni e sentite le Regioni (art. 133 della Costituzione).

Nonostante tutto questo disamore, dopo una sostanziale stabilità, nel 1968 nasce la provincia di Pordenone, nel 1970 quella di Isernia, nel 1974 quella di Oristano arrivando al totale di 95 province; poi, in soli due decenni, dal 1975 al 2004 l’Italia si è arricchita di ben 15 province arrivando a 110.

Non tutte le province sono sede dei tradizionali uffici statali che spesso s’accompagnano alle province: Prefettura, Questura, Banca d’Italia. Ma gli uffici statali periferici non si limitano a quelli citati e non va dimenticato che provincia significa anche comandi provinciali di carabinieri e polizia, comandi provinciali dei vigili del fuoco, provveditorati all’ istruzione e alle opere pubbliche, uffici della motorizzazione, camere di commercio, uffici dell’ Inps… una macchina burocratica elefantiaca, spesso inutile, inefficiente e dispendiosa. Continua a leggere