Le leggi elettorali

In Italia la legge elettorale è costantemente al centro delle lotte politiche.

Non c’è alcuna legge che sia stata oggetto di tanti referendum come la legge elettorale.

Nessun Paese ha nel giro di 23 anni approvato tre sistemi elettorali nazionali … apprestandosi a varare il quarto sistema senza nemmeno aver applicato il terzo.

Il sistema dei partiti ha subito l’iniziativa popolare referendaria ma c’è stato un giorno, il 18 aprile 1993, in cui gli italiani hanno deciso che il loro voto doveva “contare di più”: non solo voto di rappresentanza ma anche scelta di un programma politico la cui realizzazione fosse nelle mani dei rappresentanti eletti, se ottenevano i consensi necessari.

Con il proporzionale, perché un partito possa realizzare il programma su cui chiede il consenso, è necessario che ottenga la maggioranza assoluta dei voti; solo nel 1948 con “appena” il 48,5% dei voti la DC ottenne la maggioranza assoluta dei seggi.

Con il maggioritario, invece, è sufficiente che un partito prevalga nella maggioranza assoluta dei collegi e in caso di prevalenza avrà i numeri per realizzare il proprio programma senza dover subire alleanze.

Il voto referendario non poteva scegliere un preciso sistema elettorale, ma ha indicato una direzione: creare le condizioni per un sistema di alternanza di governo.

Quella alternanza che era sempre mancata perché gli elettori potevano scegliere tra l’area di governo e l’opposizione nella consapevolezza che non c’era alcuna alternativa al governo incentrato sulla DC, anche per volontà espressa dal maggior partito di opposizione.

La svolta maggioritaria del 1993 fu voluta da circa 29 milioni di elettori su 35 che espressero un voto valido.

Il Parlamento avrebbe dovuto scrivere una legge elettorale “sotto dettatura”, come ammonì il presidente Scalfaro; invece scrisse una legge che mescolava maggioritario e proporzionale. Nacque un sistema misto, complesso e contorto, che aveva la finalità di estromettere le ali, soprattutto Lega e MSI, per favorire la convergenza tra gli eredi del PCI e della DC, nel caso nessuno avesse i numeri per costituire in autonomia una maggioranza di governo.

Quel progetto fallì per la “discesa in campo” di Berlusconi che portò alla sconfitta della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto.

Oggi ci apprestiamo a tornare al voto, ancora una volta con un sistema pasticciato perché il sistema politico si dimostra incapace di intervenire sulla materia elettorale in modo efficace e semplice. Ciascuna parte, di volta in volta al Governo, ha inseguito il proprio interesse e così ci ritroviamo tanto alla Camera quanto al Senato con leggi disomogenee, persino contrastanti e modificate dagli interventi della Corte Costituzionale … e altri interventi potranno a breve intervenire.

E’ utile ricordare che la Corte Costituzionale non verifica una legge ma le sole questioni di legittimità costituzionale che i ricorrenti propongono nei confronti di specifici aspetti di una legge e che un Tribunale ha ritenuto “non manifestamente infondata” e quindi “rimessa alla Corte Costituzionale per la sua decisione”.

Le diapositive allegate descrivono i diversi sistemi elettorali partendo dalla Legge Acerbo del 1923 e giungendo all’Italicum, la legge voluta fortemente da Renzi.

I maggiori partiti italiani – unici nel panorama europeo – si sono innamorati dei premi di maggioranza per trasformare una minoranza in maggioranza assoluta illudendosi così di poter conseguire la stabilità ma in realtà stabilizzando il potere della oligarchia partitocratica e dei comitati d’affari.

Nessun premio di maggioranza potrà portare alla stabilità del Governo se inserito in un sistema privo di qualsiasi forma di vincolo e di regole per i cambi di maggioranza.

Il premio di maggioranza è manifestamente irragionevole perché in contrasto con l’esigenza di assicurare la governabilità, in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra forze politiche al solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il rischio che, anche immediatamente dopo le elezioni, il cartello elettorale beneficiario del premio possa sciogliersi, o uno o più partiti che ne facevano parte esca dallo stesso.

Avremo con certezza alterato profondamente la rappresentatività del Parlamento senza aver raggiunto l’obiettivo della governabilità.

La legge elettorale è lo strumento di cui noi cittadini dovremmo avvalerci per scegliere i nostri rappresentanti … Forse è opportuno capire come funzionano queste leggi e fare quanto in nostro potere per evitare che ancora una volta i legislatori usurpino la nostra sovranità imponendoci i loro rappresentanti.

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L’Italicum e la Corte

Qualche iniziale riflessione in attesa di leggere le motivazioni della Corte Costituzionale su alcuni aspetti dell’Italicum.

Intanto, abbiamo segnato il record di una legge elettorale modificata ancora una volta dalla Corte Costituzionale prima ancora di averla applicata: un bel punto di disonore per questo Parlamento e segnatamente per la maggioranza che caparbiamente ha voluto questa legge.

La Corte con le due sentenze, prima su porcellum e poi su italicum, ha riportato il sistema verso un criterio proporzionale ma ciò non deve far pensare a una rivincita dei proporzionalisti perché le due leggi citate sono di tipo proporzionale con l’innesto di un corpo estraneo e anomalo come il premio di maggioranza.

L’intervento della Corte, censurando i premi del porcellum e il ballottaggio dell’italicum, non poteva che restituirci il proporzionale che costituisce la base di quelle leggi.

Adesso abbiamo due sistemi proporzionali con forti differenze. Continua a leggere

Riflessioni sul premio di maggioranza

Succede frequentemente di leggere sul premio di maggioranza contrapposte valutazioni, non sempre di immediata comprensione.

Per semplicità, segnalo questo intervento di Ceccanti, 3 Obiezioni agli argomenti di Onida sul Corsera, che mi sembra rappresentativo delle considerazioni più frequenti.

Quel che si definisce “premio di maggioranza” dovrebbe essere denominato “premio per avere la maggioranza” perché trasforma una maggioranza relativa in una maggioranza assoluta. L’unico premio di maggioranza che la nostra storia repubblicana conosca è quello previsto dalla legge elettorale del 1953, passata alla storia come “legge truffa”, che assegnava un premio a chi avesse ottenuto il 50%+1 dei voti validi. Il premio previsto dall’Italicum è invece, per tipologia, vicino a quello della legge Acerbo del 1923.

Il premio di maggioranza, come da noi concepito, rappresenta un unicum nei sistemi parlamentari: un premio in grado di garantire con assoluta certezza a una parte politica di avere il controllo della Camera ed esprimere il Governo, alla sola condizione che qualcuno voti.

Ceccanti ricorda la sentenza n. 275/2014 della Corte Costituzionale in cui si afferma la legittimità costituzionale della attribuzione del premio nelle elezioni amministrative per i comuni.

Il premio previsto per i comuni della provincia di Trento sopra i 3.000 abitanti, di ciò si occupa la richiamata sentenza, era stato contestato trasferendo sulla legge elettorale locale le argomentazioni espresse con sentenza n. 1/2014 della Consulta (quella relativa al “Porcellum”).

La Corte nella citata sentenza n. 275/2014 afferma che tale presupposto “non può essere condiviso, stante la netta diversità delle due discipline. La normativa statale oggetto della richiamata sentenza n. 1 del 2014 riguarda l’elezione delle assemblee legislative nazionali, espressive al livello più elevato della sovranità popolare in una forma di governo parlamentare. La legge regionale impugnata riguarda gli organi politico-amministrativi dei Comuni, e cioè il sindaco e il consiglio comunale, titolari di una limitata potestà di normazione secondaria e dotati ciascuno di una propria legittimazione elettorale diretta.

La legge locale serve a eleggere congiuntamente Esecutivo e Consiglio, la legge nazionale serve a eleggere l’assemblea legislativa, rappresentativa della sovranità popolare.

Non solo: “Questa Corte ha già affermato, con riferimento ad elezioni di tipo amministrativo, che le votazioni al primo e al secondo turno non sono comparabili ai fini dell’attribuzione del premio”.

Perché ignorare l’inciso “con riferimento ad elezioni di tipo amministrativo”? Non è una puntualizzazione irrilevante.

Non si può sovrapporre la normativa elettorale per il parlamento a quella per gli organi politico-amministrativi dei Comuni.

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La governabilità e la legge elettorale

Il tema della governabilità è presente nella storia repubblicana da sempre. La legge del 1953 arrivava, infatti, al termine della prima legislatura in cui c’erano stati tre soli governi, tutti presieduti da De Gasperi. In Francia andava molto peggio: 22 governi in soli 12 anni di Quarta Repubblica.

In Francia la risposta al tema della governabilità è stata una riforma costituzionale, che ha introdotto il semipresidenzialismo e che è stata confermata dal 79% degli elettori. In Italia, sono sempre state cercate scorciatoie attraverso la legge elettorale.

Peccato che la governabilità non discenda dalla legge elettorale, ma dal sistema istituzionale. Regno Unito, Francia, Germania … sono tre Paesi politicamente stabili, eppure hanno tre diversi sistemi elettorali. Se vogliamo affrontare il problema della governabilità, è sulla architettura costituzionale che occorre intervenire, come per esempio è stato fatto in Germania.

Il problema della governabilità in Italia dipende dal sistema dei Partiti, opaco e non democratico, e dalla diffusa volontà di non applicare la Costituzione. Già nel 1953, alla prima prova, si scelse di non applicare la Costituzione sciogliendo anticipatamente il Senato.

La cosiddetta “Legge Truffa” del 1953 assegnava un premio, in termini di seggi, a chi aveva già la maggioranza assoluta dei voti, a differenza di Porcellum e Italicum che trasformano una maggioranza relativa in maggioranza assoluta.

Se vogliamo fare confronti con esperienze del passato, l’Italicum va confrontato con la legge Acerbo del 1923, di cui rappresenta un perfezionamento. La legge del 1923 prevedeva che se nessuno raggiungeva la soglia per accedere al premio la distribuzione dei seggi sarebbe avvenuta in modo proporzionale. Con l’Italicum, invece, se nessuno raggiunge la soglia del 40%, si va a una seconda votazione tra i primi due classificati; a chi vince tra i due si assegnano 340 seggi su 618 (gli altri 12 sono riservati alla circoscrizione estero).

Davvero la situazione era così ingovernabile da rendere necessaria una guerra parlamentare per approvare la nuova legge elettorale?

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I cattivi maestri

Leggo su il Mulino Italicum: più pregi che difetti, di Augusto Barbera, già docente di diritto costituzionale.

Nel presentarci sinteticamente l’Italicum, Barbera ci spiega che nel caso nessuno raggiunga al primo turno il 40%, il premio per raggiungere e ampiamente superare la maggioranza assoluta è assegnato con un ballottaggio fra le due liste più votate. Aggiungo, perché non è irrilevante, che non è previsto alcun quorum per essere ammessi al ballottaggio e non è previsto alcun quorum di votanti. Si verifica la stessa condizione già censurata dalla Corte Costituzionale nel giudizio della legge elettorale nota come Porcellum.

Barbera omette di ricordare la funzione del ballottaggio nei sistemi in cui questo meccanismo è previsto: nella ipotesi in cui al primo turno nessuno abbia raggiunto la maggioranza assoluta, il ballottaggio serve a scegliere al secondo turno tra due candidati alla carica di Presidente o tra candidati a rappresentare un collegio parlamentare o altra carica elettiva (per esempio, in Italia, il sindaco nei comuni con più di 15.000 abitanti). C’è sempre coerenza tra primo e secondo turno; la funzione del voto è sempre la stessa: eleggere un presidente o eleggere un rappresentante di collegio. Nel nostro caso, invece, mentre votiamo per l’assemblea dei rappresentanti del popolo sovrano, dovremmo scegliere al ballottaggio a chi affidare il compito di formare il governo tra due formazioni politiche; perché questa è la finalità vera del ballottaggio e non più eleggere dei rappresentanti.

Il voto è finalizzato a decidere chi deve formare il governo, pur rimanendo all’interno di un sistema costituzionale che non prevede l’elezione diretta dell’esecutivo. Si introduce surrettiziamente l’elezione diretta dell’esecutivo. A chi infatti il Presidente della Repubblica potrà affidare l’incarico di formare il Governo se non a un esponente del Partito a cui è stata regalata la maggioranza assoluta? Va detto che in nessun sistema, tranne quelli presidenziali, si elegge direttamente il governo, ma l’elezione indiretta è fortemente sostenuta dal voto elettorale laddove il sistema istituzionale assegna forti poteri al Primo Ministro. E’ questo il caso di paesi come la Germania, il Regno Unito, la Spagna… in cui vige un sistema di cancellierato o premierato costituzionalizzato o istituzionalizzato. Potere di revoca e nomina dei ministri, sfiducia costruttiva, richiesta di scioglimento del parlamento… sono alcuni poteri che caratterizzano i sistemi di governo dei Paesi citati e che non sono presenti nel nostro sistema costituzionale. La circostanza che i tre Paesi citati hanno leggi elettorali profondamente diverse, ci conferma che non è la legge elettorale a dare stabilità al Governo ma il sistema istituzionale con il quale la legge elettorale deve essere coerente. Nel nostro sistema non è istituzionalizzato alcun collegamento tra risultato elettorale e governo, a differenza di altri Paesi, cosa che rende perfettamente legittimo ogni cambio di maggioranza all’interno della stessa legislatura.

Totalmente arbitrario e irragionevole prevedere il ballottaggio solo nel caso in cui nessuno abbia raggiunto la soglia del 40%; perché non è previsto nel caso nessuno raggiunga la maggioranza assoluta, come avviene ovunque esista il ballottaggio?

Portare un partito dal 40% al 55% ovvero ad avere 340 deputati su 618 (e non su 630 come erroneamente scrive Barbera, perché i 12 per arrivare a 630 sono riservati alla circoscrizione estero) significa aumentare la consistenza parlamentare di un gruppo fino a +37,5% perché da 40 a 55 c’è un incremento del 37,5%. Non è cosa da poco, considerando che potrebbe verificarsi che il secondo classificato abbia il 40%-1 dei voti. Il vincente avrebbe 340 eletti, e il secondo classificato circa 180. Le disposizioni dell’Italicum rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore, “che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”(Corte Cost. sentenza n. 1/2014). Non sono rispettati i principi di proporzionalità e ragionevolezza che sempre devono essere rispettati per assicurare equilibrio tra interessi costituzionali rilevanti. È violato il principio di uguaglianza del voto. Continua a leggere