L’Italia diventerà più governabile?

Con la riforma costituzionale, l’unico aspetto che cambia è l’esclusione del Senato dalla concessione della fiducia. Per questo risultato bastava modificare l’art. 94 della Costituzione!

Abbiamo risolto il problema della governabilità? NO.

Furono i costituenti a privilegiare la rappresentatività parlamentare rispetto alla governabilità. Quindi, furono previste due camere con identici poteri e

  • durata differente tra le due camere (disallineamento eliminato con legge costituzionale del 1963)
  • differente meccanismo di ripartizione dei seggi
  • differente corpo elettorale.

Tali previsioni rischiavano di rendere difficile la formazione di maggioranze stabili e omogenee. Se ne discusse a lungo in Assemblea costituente, ma i costituenti non seppero trovare un compromesso più alto. Il problema tiene banco da sempre e sin dal 1953 le maggioranze parlamentari hanno tentato di superare il problema della governabilità intervenendo esclusivamente sulla legge elettorale. Legge Truffa, Mattarellum, Porcellum e adesso Italicum, vale a dire porcus italicus.

La Costituzione non fissa alcun criterio elettorale e non prevede l’istituzionalizzazione del voto. Tutto è lasciato alla iniziativa del legislatore e alla discrezionalità del Presidente della Repubblica. Così è e sarà.

I parlamentari non hanno vincolo di mandato e possono formare gruppi parlamentari differenti rispetto alle liste in cui sono eletti. Così è e così sarà.

In sostanza, il governo nasce in Parlamento e può cambiare nel corso della legislatura al variare della posizione dei parlamentari. Così è e così sarà perché su tutto ciò la riforma non interviene.

Nei Paesi di consolidata stabilità governativa è proprio dalle previsioni costituzionali che discende la tanto apprezzata governabilità.

Da noi, tutto è affidato alla nuova legge elettorale, che con la riforma costituzionale non c’entra nulla ed è palesemente in conflitto con la Costituzione attuale e anche con quella riformata.

La formazione che si aggiudicherà la maggioranza assoluta mediante un premio (irragionevole e senza quorum) potrà essere costituita da un gruppo di partiti riuniti sotto un simbolo.

I nuovi vincenti potranno costituire differenti gruppi parlamentari e la governabilità sarà garantita esclusivamente dalla coesione tra le componenti che danno vita al “partito elettorale” vincente.

Se viene meno la coesione all’interno del listone vincente, potrà verificarsi uno scenario diverso rispetto a quanto emerso dal voto. Potranno nascere differenti maggioranze e nuovi governi alla Monti.

Nella Costituzione non cambia nulla riguardo alla governabilità. Però, si violano le prerogative presidenziali, poiché il PdR dovrà necessariamente affidare l’incarico di formare il governo alla persona indicata dal partito vincente, ed è certa l’alterazione profonda della rappresentanza politica.

Se il partito vincente si sfalda, tutto torna esattamente come agli splendori delle crisi extraparlamentari dell’epopea democristiana.

Per la cronaca, in tutta la storia repubblica, sono state solo due le crisi di governo che hanno portato a un voto parlamentare: 1998, governo Prodi; 2008, governo Prodi. Tutte le altre crisi si sono risolte con un nuovo governo che sostituiva il vecchio, senza un voto di sfiducia, senza una discussione parlamentare. Paradossale in un sistema in cui un parlamentare non può dimettersi senza una deliberazione della camera di appartenenza.

Si veda anche

Il nuovo Senato in 5 mosse

La riforma del Titolo V della Costituzione

 

Perché Letta sbaglia

In queste condizioni (economiche, sociali e istituzionali) e con questa legge elettorale è assurdo andare a elezioni anticipate: altissima la probabilità che l’impasse si rafforzi.

Non aver provveduto a varare una nuova legge elettorale che superasse l’infamia costituzionale del Porcellum è stato un grave e imperdonabile errore (anche) di questo Esecutivo e di questo Parlamento.

Per non andare in queste condizioni a elezioni anticipate è sufficiente non sciogliere le Camere e ciò è possibile poiché spetta per Costituzione al Parlamento eleggere il Governo e non al “popolo sovrano” che si limita a eleggere il Parlamento, ma non i Parlamentari, indicati e scelti dai Partiti. Non c’è quindi alcuna ragione che il Presidente della Repubblica assecondi le bizze isteriche e istrioniche dei rappresentanti di partito così poco propensi a fare il dovere per il quale si sono proposti: è compito dei parlamentari dare un governo al Paese.

Il Parlamento verrebbe meno al proprio dovere costituzionale se non trovasse l’intelligenza, la capacità, la responsabilità di fare il proprio dovere individuando un comun denominatore tra le forze politiche per portare il Paese fuori dalla palude.

Se tornassimo a votare, con questo sistema elettorale e istituzionale e con questo personale partitico, si potrebbe ricreare la stessa attuale situazione e mi sembra chiaro che non si può votare all’infinito…

Tutto ciò premesso, Letta sta sbagliando nella gestione di questa crisi che più che essere politica è prova di infantilismo della maggioranza dei parlamentari.

Le dimissioni di alcuni ministri non comportano, né sul piano politico né su quello costituzionale, una nuova richiesta di fiducia parlamentare: i ministri sono sostituibili; nel caso, è il Parlamento che deve attivarsi per sfiduciare il Governo.

I ministri possono per Costituzione essere estranei al Parlamento e ai partiti. Le dimissioni dei ministri non autorizzano a concludere che l’eventuale partito di provenienza dei ministri abbia revocato la fiducia al Governo; dovrebbe essere questo partito a presentare una mozione di sfiducia, nel caso; e non dimentichiamo che la fiducia è individuale e non di gruppo o di partito. .. sempre in termini costituzionali

Poi c’è la prassi che fa carta straccia della Costituzione ma questa è altra storia.

Quindi, se consideriamo le modalità e le motivazioni delle dimissioni abbiamo ancora più forza per risolvere il problema con la nomina di altri ministri.

Per quale motivo allora chiedere la fiducia ?

Trovare un po’ di dissidenti? Ottimo obiettivo anche per comprendere fino a che punto un intero partito è appiattito sugli interessi di un singolo, fosse pure il “capo“. Anche per questo obiettivo non guasta un po’ di strategia e di rispetto rigoroso delle norme costituzionali.

Sia come sia Letta ha scelto di chiedere la fiducia e ha deciso di iniziare dal Senato e sarà importante che si presenti anche alla Camera dei Deputati, a prescindere dal risultato che otterrà al Senato. Da questo punto di vista avrebbe fatto meglio a scegliere di iniziare dalla Camera dove la fiducia è abbastanza certa.

Al Senato il Governo potrebbe raggiungere l’obiettivo di ottenere la fiducia o potrebbe non averla, esito probabile. In questa seconda ipotesi il Presidente della Repubblica potrebbe - e a mio avviso dovrebbe - sciogliere il solo Senato, nel pieno e rigoroso rispetto della Costituzione e dell’interesse del Paese.

Infatti, pur con questa mefitica legge elettorale, se avendo una maggioranza già costituita alla Camera si votasse per l’elezione del Senato avremmo eliminato una serie di scenari possibili che si verificherebbero se si andasse alle elezioni dell’intero Parlamento. Il corpo elettorale nell’angusta e desolante partecipazione al “rito democratico” si troverebbe di fronte a una scelta chiara e risolutiva.

Ragionevole attendersi una campagna elettorale all’insegna della concretezza perché si parte sapendo che o si conferma la maggioranza che c’è alla Camera, o in ogni caso si trova con questa maggioranza un terreno di incontro, oppure saremo destinati a proseguire in questa situazione di logorante stallo.

Un briciolo di responsabilità da parte di pochi sarebbe sufficiente per delineare questo terreno d’incontro nel corso della campagna elettorale, per scongiurare il rischio che si ricrei una situazione d’impasse.

In altre parole, se si votasse per il solo Senato i partiti dovrebbero indicare i fronti comuni con il PD sui quali sarebbero disposti a collaborare. Se qualche forza politica escluderà ogni ipotesi di collaborazione con il PD sarà ovviamente libera di scegliere questa strada ma nella consapevolezza che se prevalesse ci porterebbe a proseguire nella instabilità e ingovernabilità.

A questo punto saranno gli elettori a decidere se proseguire nella instabilità dando in prevalenza credito a chi rifiuta ogni tipo di collaborazione programmatica con chi ha già la maggioranza in una camera parlamentare o dare il potere necessario a chi ha i numeri per governare o a un progetto di collaborazione tra forze politiche già definite.

Nel caso non venisse fuori un risultato chiaro che consenta a una parte politica o a un insieme di forze di assumersi la responsabilità di governo sarebbe in ogni caso evidente la necessità di un accordo tra parti politiche per trovare una soluzione idonea.

Sciogliendo il solo Senato daremmo, quindi, più forza all’Italia e più opportunità per uscire dal pantano.

Speriamo che, nel caso Letta non dovesse ottenere la fiducia al Senato, il Presidente della Repubblica non commetta l’errore del suo predecessore, quando nel 2008 sciolse le camere…