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Lo Stato dei Partiti

inciucio5La legge elettorale prevede un premio al partito o alla coalizione che totalizza il maggior numero di voti, con l’obiettivo dichiarato di favorire la governabilità con maggioranze omogenee e non “innaturali maggioranze” come quella che assicura la fiducia al governo in carica. Parallelamente, la legge fissa una serie di soglie di sbarramento per impedire l’eccessiva frammentazione della rappresentanza politica.

Tutto è concepito per incentivare l’alleanza dei partiti in coalizioni. Già questo mette a rischio l’omogeneità delle coalizioni (come i fatti hanno dimostrato) non perché in sé sia sbagliato ipotizzare delle coalizioni ma perché si persegue con uno strumento improprio (la legge elettorale) l’obiettivo della governabilità.

La storia repubblicana è contrassegnata dal problema della governabilità nonostante per mezzo secolo il sistema istituzionale sia stato incentrato sempre sullo stesso partito. Il problema risiede, infatti, nella Costituzione poiché i Costituenti scelsero di privilegiare la centralità del Parlamento sacrificando proprio la governabilità.

Se si decide di non toccare la Costituzione (come decisero già nel 1953, quando già era attuale il tema della governabilità, e poi nel 1993 e quindi nel 2005) è chiaro che bisogna trovare un equilibrio tecnico che sia rispettoso dei principi della Costituzione.

Il Porcellum fa carta straccia della Costituzione e dei principi fondamentali in essa espressi. Sarebbe sciocco non riconoscere che la Costituzione ha non pochi limiti nel rendere difficile la governabilità, ma profondamente sciocchi sono stati i legislatori che hanno ignorato tali limiti (già espressi in sede Costituente) cercando scorciatoie infami per superarli.

La nostra Costituzione prevede un corpo elettorale per la Camera e un altro per il Senato; la ripartizione dei seggi su base circoscrizionale per la Camera e su base regionale per il Senato; l’assegnazione dei seggi su base della popolazione e non degli aventi diritto al voto; un numero minimo di senatori per ciascuna regione nonostante le differenze nella quantità di elettori. Prevede che la fiducia al governo sia data da entrambe le Camere, ciascuna dotata di identici potere. Prevede che ciascun parlamentare, senza vincolo di mandato, rappresenti la nazione. Prevede che una camera possa essere sciolta indipendentemente dall’altra (e inizialmente prevedeva anche durata differente tra Camera e Senato).

In definitiva, checché raccontino tanti pessimi politici, il popolo sovrano non decide sul governo ma sulla formazione del parlamento al quale è delegato il compito di dare vita a un esecutivo.

Inutile perseguire l’obiettivo di formare una maggioranza assegnando un premio alla coalizione che ha preso più voti perché le coalizioni possono sciogliersi il giorno dopo il voto, mentre con certezza sarebbe alterata la rappresentanza politica.

La legge censurata dalla Cassazione prevede che alla Camera chi prende più voti sia portato a 340 deputati se non ha raggiunto autonomamente tale quota di seggi. Teoricamente è sufficiente superare la soglia minima di accesso (10%) per conquistare il 55% dei seggi: basta avere un voto in più rispetto al più vicino competitor. I partiti all’interno della coalizione si ripartiscono i seggi e ciascuno può andarsene dove vuole con il proprio plotone di soldatini che nessuno ha eletto. Quanti sono stati i gruppi parlamentari che nessuno ha mai votato?

Evidente l’insulsaggine di un meccanismo che altera profondamente la rappresentanza elettorale senza conseguire l’altro obiettivo, la governabilità.

Ancor più insulso se si considera che il raggiunto non-obiettivo altera ulteriormente gli equilibri lasciando fuori le forze politiche che non superano le soglie di sbarramento previste, rendendo meno libero il voto laddove, per non consegnare la maggioranza parlamentare a una coalizione avversaria, si decide di votare quella che ha più probabilità di batterla.

Inutile dire che le coalizioni possono essere formate in modo puramente strumentale per aggiudicarsi la maggioranza dei seggi.

Il governo deve avere anche la fiducia del Senato, non basta quindi aver prodotto come che sia una maggioranza alla Camera: serve anche al Senato. Qui il Porcellum esprime il meglio della propria forza delirante. Poiché la Costituzione prevede la ripartizione dei seggi su base regionale, le sciocche volpi hanno legiferato prevedendo un premio di maggioranza su base regionale: chi prende più voti si aggiudica il 55% dei seggi messi in palio nella regione. Ma maggioranza di cosa? Il senato è una assemblea nazionale quindi la maggioranza che si determina in ogni regione non ha alcun peso in seno all’assemblea dove conta la maggioranza nazionale e ovviamente i premi regionali possono neutralizzarsi e possono verificarsi gli scenari più assurdi. Chi in una regione prende il 54% dei voti si aggiudica il 55% dei senatori ma chi in altra regione arriva primo con il 30% dei voti si aggiudica lo stesso il 55% dei senatori: il voto acquisisce un peso differente, in barba all’uguaglianza. Poiché il numero regionale dei senatori, fatto salvo il numero minimo fissato per Costituzione, è in rapporto alla popolazione, il peso del voto cambia da regione a regione: chi risulta primo con il 25% dei voti riceve un premio in Lombardia che è di gran lunga superiore a quello che riceve chi risulta primo in Calabria pur raggiungendo la stesse percentuale di voti.

Infine le liste bloccate. Il voto per Costituzione è diretto, universale, libero, personale, eguale e segreto. Il porcellum rispetta solo la segretezza del voto. Tutto il resto va nel cesso.

L’elettore può votare solo una lista e anche ammesso che in quella lista abbia individuato un candidato che gli va a genio può influire sulla sua elezione solo sperando che la lista prenda così tanti voti da consentire di eleggere tutti coloro che sono stati piazzati prima di lui e quindi finalmente anche lui. Sono gli organi dei partiti che stabiliscono le formazioni elettorali e così decidono chi deve essere eletto; l’elettore concorre solo a determinare quanti soldatini debba avere ciascun capo-partito.

L’elettore è escluso dalla selezione dei candidati, appannaggio degli apparati di partito, e poi è inibito anche nel suo diritto di “scelta del corpo legislativo”.

Il voto diventa impersonale, l’elezione diventa indiretta perché i partiti si sostituiscono al corpo elettorale. Si realizza l’ossimoro della “libertà di voto senza scelta” anche perché il candidato scelto dal partito ed eventualmente eletto sarà libero di migrare come preferisce all’interno dell’universo parlamentare. Poiché non c’è un solo eletto che sia stato materialmente votato, come può un eletto, per grazia ricevuta dalla segreteria di partito, rappresentare la Nazione? Rappresenta il SUO PARTITO, finché ne ha voglia.

Ecco realizzata la dittatura partitocratica che ha portato a compimento il passaggio dal “Partito Stato” allo “Stato dei Partiti”.

La Corte Costituzionale decida, ma non ci sono dubbi sulla incostituzionalità della legge elettorale.

2 thoughts on “Lo Stato dei Partiti

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