Le argomentazioni esposte dai firmatari del Manifesto del SI mi confortano nella mia ferma convinzione di votare NO.
Spiego perché rispondendo ai 7 punti (di cui riporto il testo) proposti “a titolo ricognitivo” dai firmatari e alle loro valutazioni conclusive. Vi invito a leggere il testo completo del Manifesto del SI
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“Viene superato l’anacronistico bicameralismo paritario” indifferenziato, con la previsione di un rapporto fiduciario esclusivo fra Camera dei deputati e Governo. Pregio principale della riforma, il nuovo Senato delinea un modello di rappresentanza al centro delle istituzioni locali. E’ l’unica ragione che oggi possa giustificare la presenza di due Camere. Ed è una soluzione coerente col ridisegno dei rapporti fra Stato-Regioni. Ne trarrà vantaggio sia il rapporto fiduciario fra Governo e Parlamento, che rimane in capo alla sola Camera dei deputati, superando così i problemi derivanti da sistemi elettorali diversi, sia l’iter di approvazione delle leggi”.
Si passa da un bicameralismo paritario a un bicameralismo asimmetrico, mantenendo due camere con funzione legislativa, sebbene differenziata. Infatti, l’art. 71 comma primo prevede che ogni parlamentare è titolare dell’iniziativa legislativa. Il Senato può assumere qualsiasi autonoma iniziativa legislativa, ma solo se approverà un progetto con la maggioranza assoluta dei propri componenti impegnerà la Camera, che dovrà deliberare entro sei mesi (art. 70 nuovo testo costituzionale).
Molti provvedimenti restano BICAMERALI. Il Senato può modificare qualsiasi provvedimento approvato dalla Camera, la quale potrà respingere le modifiche, ma dovrà rimettere in discussione la legge e votare.
Non si supera il problema derivante da sistemi elettorali diversi perché il Senato sarà eletto con metodo proporzionale (art. 57) e potrebbe in Senato non esserci una maggioranza politica o averne una diversa da quella della Camera, per la quale non è costituzionalizzato il metodo elettorale.
Va inventato il modello di rappresentanza delle Istituzioni territoriali perché la Costituzione non solo non individua procedure e strumenti, ma delinea un sistema elettorale del Senato che ne farà in concreto la somma dei rapporti di forza esistenti nelle Regioni, senza alcun mandato politico, senza alcun programma… I senatori saranno portatori di interessi locali e particolari in una camera legislativa.
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“I procedimenti legislativi vengono articolati in due modelli principali, a seconda che si tratti di revisione costituzionale o di leggi di attuazione dei congegni di raccordo fra Stato e autonomie, dove Camera e Senato approvano i testi su basi paritarie, mentre si prevede in generale una prevalenza della Camera politica, permettendo al Senato la possibilità di richiamare tutte le leggi, impedendo eventuali colpi di mano della maggioranza, ma lasciando comunque alla Camera l’ultima parola. La questione della complicazione del procedimento legislativo non va sopravvalutata, poiché non appare diversa la situazione di tutti gli Stati composti: in ogni caso, e di nuovo in continuità con le esperienze comparate, la riforma prevede la prevalenza della Camera politica”.
I procedimenti legislativi BICAMERALI abbracciano vasti ambiti: leggi costituzionali, leggi di attuazione della Costituzione, leggi elettorali, tutto ciò che riguarda i rapporti con l’UE e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni europee, tutto ciò che attiene funzioni, organizzazione e organi di governo di comuni e città metropolitane, compresa la definizione delle linee generali per la costituzione delle associazioni di comuni, passaggio fondamentale anche per il superamento effettivo delle province.
Se al Senato non ci sarà una maggioranza omogenea con quella della Camera, potrebbe patirne la governabilità e potremmo avere una Camera bloccata da veti e ricatti.
La funzione di raccordo legislativo tra le Regioni e tra le Regioni e lo Stato sarà tutta da inventare (con LEGGI BICAMERALI) perché la Costituzione non individua strumenti e procedure. Singolare che la modifica dell’art. 121 privi le Regioni del potere di presentare proposte di legge in Senato.
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“La riforma del Titolo V della Costituzione ridefinisce i rapporti fra lo Stato e Regioni nel solco della giurisprudenza costituzionale successiva alla riforma del 2001, con conseguente incremento delle materie di competenza statale. Nello stesso tempo la riforma tipizza materie proprie di competenza regionale, cui corrispondono in gran parte leggi statali limitate alla fissazione di “disposizioni generali e comuni”. Per la prima volta, non si assiste ad un aumento dei poteri del sistema regionale e locale, bensì ad una loro razionalizzazione e riconduzione a dinamiche di governo complessive del paese. La soppressione della legislazione concorrente serve razionalizzare in un’ottica duale il riparto delle materie e comporta di per sé una riallocazione naturale allo stato o alle regioni della competenza a disciplinare, rispettivamente, i principi fondamentali e le norme di dettaglio che già spettava ad ognuno di essi. Inoltre, l’impianto autonomistico delineato dall’art. 5 della Costituzione non viene messo in discussione perché la riforma pone le premesse per un regionalismo collaborativo più maturo, di cui la Camera delle autonomie territoriali costituirà un tassello essenziale. Con la riforma, peraltro, non viene meno il principio di sussidiarietà e dunque la dimensione di una amministrazione più vicina al cittadino rimarrà uno dei principi ispiratori della Costituzione”.
La riforma del riformato Titolo V sarà fonte di nuovi contenziosi perché a fronte della eliminazione delle materie concorrenti c’è la dilatazione delle materie trasversali, vale a dire quelle che maggiormente hanno generato i conflitti negli ultimi anni. Le materie trasversali sono quelle in cui lo Stato enuncia una finalità, “le disposizioni generali e comuni”, “le disposizioni di principio”, le “norme tese (…) ad assicurare l’uniformità sul territorio nazionale”… Queste materie non circoscrivono un ambito della legislazione, ma si intrecciano con competenze affidate alla potestà legislativa delle regioni. Proprio perché “trasversali”, si muovono e agiscono orizzontalmente nell’ordinamento, coinvolgendo interessi e ambiti molto diversi tra loro.
La nuova riforma non individua come stabilire i confini tra competenze statali e regionali e non realizza alcun centro istituzionale in cui i conflitti possano trovare la soluzione. Il Senato non potrà essere la Camera delle Istituzioni territoriali, sia per la modalità di elezione dei senatori (diversamente a quanto avviene in Germania, i nostri senatori non avranno un mandato politico, non saranno delegati dal governo regionale, non avranno vincolo di mandato), sia per la varietà e vastità delle funzioni che non costituiscono un raccordo con le competenze statali trasversali.
La nuova “clausola di supremazia” (art 117: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”), poiché rende illimitata la potestà dello Stato, comprime ulteriormente la potestà legislativa delle Regioni e sarà causa di conflittualità. La Clausola di supremazia è in grado di scardinare l’impianto autonomistico affermato nella prima parte della Costituzione. Interesse nazionale, unità economica, unità giuridica… non sono contenitori definiti; chi deciderà cosa sta dentro questi contenitori?