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CAMBIARE E’ POSSIBILE

Cambiare è possibile.
Così Massimo Giannini titola il suo lungo articolo pubblicato su la Repubblica di oggi, 30 gennaio 2014.
L’articolo procede tra contraddizioni con moderato entusiasmo per il treno delle riforme finalmente partito dopo un ventennio d’attesa; così da battezzare Italicum come atto costitutivo della Terza Repubblica.

Giannini riconosce, bontà sua, che Italicum ha tanti difetti e nasce da un compromesso, come le precedenti leggi elettorali.
Prima elefantiaca contraddizione.
Se questa nuova legge elettorale, primo vagone del treno delle riforme, è attesa da un ventennio, allora Mattarellum e Porcellum sono sullo stesso piano e quindi entrambe responsabili di aver umiliato il Paese. Peccato che il Mattarellum è per la vulgata giornalistica l’atto costitutivo della seconda Repubblica mentre Italicum lo sarebbe della Terza.

Sicuri che con questo cambiamento non si rischi di proseguire l’umiliazione?
Se i precedenti compromessi hanno fallito, cosa legittima l’entusiasmo per questo nuovo compromesso?
Aldilà del cambiare per poter dire che abbiamo cambiato, quale risultato importante è stato raggiunto?

Giannini, forse occorre la consapevolezza che il cambiamento può essere anche in peggio.

Altra contradditoria metafora è quella del treno. Italicum è sul primo vagone del treno, ma direi di più è il locomotore del treno ma non vedo altri vagoni essendo riforma del Senato e del Titolo quinto della Costituzione al momento solo nuvolose parole.
Sfido Giannini ad agganciare le nuvole al locomotore.

E siamo alla terza contraddizione.
Se i tempi sono effettivamente maturi per le riforme, perché non partire dal Senato?
La legge elettorale c’è e grazie alla Consulta non c’è più alcuna urgenza. Il superamento del bicameralismo perfetto, invece, è atteso da quando è nata la Repubblica Italiana.
Giannini saprà certamente che in Assemblea Costituente l’approvazione del bicameralismo perfetto fu uno dei tanti brutti compromessi raggiunti.
Il problema della governabilità esiste da quando c’è la Repubblica perché frutto di precise – e inefficaci – scelte dei costituenti.
Il primo tentativo di superare il problema risale al 1953: la cosiddetta legge truffa. Pensate che aveva la pretesa di assegnare un premio di maggioranza a chi avesse raggiunto il 50%+1. Cos’è al confronto l’Italicum?

Italicum non risolve alcun problema tipico del Porcellum.

Il rischio di maggioranze differenti tra Camera e Senato, per effetto dei diversi sistemi premiali previsti dal Porcellum, è già stato superato dalla sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale. Resta il rischio di maggioranze differenti a causa dei differenti corpi elettorali incaricati di eleggere le due assemblee: questo rischio si supera con la riforma del Senato; Italicum è su questo inefficace.

Italicum è incostituzionale come il Porcellum perché assegna un premio irragionevole a chi raggiunge il 37%; un premio pari a oltre il 40% dei voti raccolti. Certamente una misura che altera la rappresentatività, anche perché i seggi conquistati in prima battuta possono essere a loro volta maggiorati dall’esclusione di altre forze politiche per effetto delle alte soglie di sbarramento.

Basta leggere le argomentazioni della Corte Costituzionale per rendersi conto che non c’è solo l’esigenza di fissare una soglia per l’assegnazione del premio.

Queste norme, infatti, “rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta”, il proporzionale, “che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.” (Sentenza 1/2014 Corte Costituzionale).

La soluzione adottata “non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”.

Questa compressione della rappresentatività è irragionevole perché non c’è alcuna ragione giuridicamente apprezzabile per

- assegnare il premio al raggiungimento di una maggioranza relativa e non al raggiungimento di una maggioranza assoluta
- prevedere il ballottaggio solo se nessuno arriva al 37% e non sempre in mancanza del 50%+1
- differenziare le soglie di sbarramento in ragione di come partecipa una forza politica (da sola o in coalizione).

Evidente la compressione della rappresentatività per privilegiare una ipotesi di governabilità che si cerca di realizzare forzando i partiti a coalizzarsi, non su basi programmatiche ma per ridurre il rischio di essere esclusi dal Parlamento e per avere più probabilità di arrivare alla soglia premiale.

Peccato che così si rischia di istituzionalizzare le Larghe Intese o in ogni caso di creare ammucchiate coalizzate che possono sfaldarsi il giorno dopo le elezioni.

La storia insegna che perseguire l’obiettivo della governabilità attraverso la legge elettorale e mantenendo un assetto costituzionale fondato sulla centralità del Parlamento, da cui dipende la nascita, la vita e la morte di ogni Esecutivo, significa andare verso il fallimento certo.

La legge elettorale deve essere coerente con il sistema istituzionale perché da sola non basta a fare sistema.
Il nostro sistema prevede che l’elettorato rinnova il Parlamento al quale è affidato il compito di dare la fiducia a un governo.
Che ne facciamo dei parlamentari entrati grazie al premio, in caso di sfaldamento della coalizione?

Privilegiare la governabilità con il sostanziale aiuto di un premio ma mantenendo un sistema a centralità parlamentare, l’assenza di vincolo di mandato e la totale dipendenza del governo dal Parlamento è una follia che fa a pugni con la logica, prima ancora di fare a pugni con la Costituzione.

Il fantomatico locomotore Italicum fa poi cilecca – grossolanamente – sul fronte preferenze.
Sin dal 1975 la Corte Costituzionale ha affermato “che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest’ultimo sia pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza”.
Davvero siete così ingenui da pensare che la Consulta abbia casualmente inserito nella sentenza 1/2014 questo richiamo a quanto sentenziato nel lontano 1975?
O semplicemente disquisite senza compiere lo sforzo minimo di documentarvi su ciò di cui parlate e scrivete?

Italicum produrrà tanti nominati quanti ne ha prodotto il Porcellum; queste previsioni “coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”.

In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.”

Ecco Giannini, mi sembra che siamo sulla strada giusta per cambiare in peggio.

Perché a questo punto non abolire la Corte Costituzionale?
Tanto sembra che le sentenze della Corte non siano tenute in alcuna considerazione.

Cambiare è possibile ma occorre avere anche un obiettivo.

Misera una politica che finalizza il cambiare al poter dire abbiamo fatto.

Il Parlamento potrà emendare e migliorare, scrive e forse spera Giannini.
Quale Parlamento? Quello dei rappresentanti dei partiti?
Personalmente non ho grandi aspettative da questi parlamentari che nella stragrande maggioranza hanno dimostrato di non avere autonomia di pensiero, preparazione culturale e consapevolezza del ruolo.

L’unica vera speranza è che Napolitano, in qualità di Presidente della Repubblica, non replichi l’imperdonabile errore del predecessore Ciampi che fece passare l’evidente incostituzionale Porcellum senza battere ciglio.

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