Proseguono su Italicum le metafore ferroviarie.
L’insistenza su treni e binari, l’infelice nome Italicum (ricorda la strage dell’Italicus) segnalano un chiaro lapsus freudiano: il giudizio espresso non corrisponde all’effettiva valutazione.
Torniamo al treno delle riforme e ai binari segnati dalla Corte.
Del treno al momento c’è solo una proposta di riforma elettorale. Se i tempi sono realmente maturi per le riforme, come ci ripetono con stanco entusiasmo, perché non iniziano dal superamento del bicameralismo perfetto? Riforma attesa da quando è nata la Repubblica e prima causa della difficile governabilità.
Torniamo ai trenini… tanto cari a politici, giornalisti e costituzionalisti.
Mi adatto a loro e quindi proseguo la metafora ferroviaria, ma vi informo subito che il fantomatico treno in realtà sta deragliando dai binari indicati dalla Corte.
Giunti a questo punto mi chiedo perché non aboliscano la Corte Costituzionale, tanto nei fatti la ignorano senza alcun riguardo.
Questa volta a offrirmi lo spunto per queste riflessioni è Andrea Manzella, docente e costituzionalista nonché più volte parlamentare, che su la Repubblica del 31 gennaio 2014 pubblica l’articolo “L’Italicum viaggia sui binari della Corte”.
Manzella apre con la rievocazione delle parole del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro quando, nel 1993, disse che il Parlamento avrebbe scritto una nuova legge elettorale sotto dettatura.
Infelice inizio di Manzella e altro clamoroso lapsus. In tanti ormai, ma non lui e gli altri irriducibili retori della millantata Seconda Repubblica, sappiamo che quella legge non fu affatto scritta sotto la dettatura dell’esito dei referendum popolari.
A dettare la legge furono tanti sopravvissuti di DC e PCI che costruirono un sistema elettorale un po’ maggioritario e un po’ proporzionale fotografando con molta miopia il mercato politico del momento. Ritenevano che con questo nuovo sistema ci sarebbero state due grosse coalizioni e alcuni partiti minori che sarebbero stati ai margini del mercato. Se nessuno dei due avesse avuto la forza sufficiente per governare da solo, avrebbero sempre potuto realizzare un accordo stile compromesso storico, nel cui sogno tanti erano cresciuti. Pensavano, in altre parole, di avere già la vittoria in tasca per mancanza di contendenti.
Arrivò però un tale Berlusconi che mise insieme ciò che i miopi non ritenevano possibile: la Lega secessionista e il nazionalista MSI, con esponenti della diaspora democristiana, socialista e pentapartiti vari. Con una doppia alleanza, Berlusconi mise nel sacco la gioiosa macchina da guerra.
Pochi anni prima il Parlamento aveva dato prova della propria ineffabile incapacità e ottusità approvando una legge (la famigerata legge Mammì) che fotografava il duopolio televisivo, imperante in Italia per l’avidità di una classe politica che non voleva mollare il controllo totalitario sulla Rai.
Quando la politica legifera limitandosi a fotografare l’esistente dimostra senza alcuna ombra di dubbio di essere vecchia, inutile, incapace, socialmente pericolosa perché provocherà tifoserie urlanti, malgoverno, corruzione, clientelismo e alimenterà violenza e incapacità di analisi.
I risultati di tutto ciò si vedono già in Parlamento, dove la minoranza riflette la diffusa incapacità e inconcludenza della maggioranza.
In ogni caso, constato che Andrea Manzella almeno ha letto la sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale (qui in versione pdf ).
Gli consiglio di procedere a una seconda lettura meno distratta.
Preferenza
Riduttiva la lettura di Manzella.
La Corte ha ricordato la sentenza 203 del 1975 nella quale, confermando la legittimità delle norme per la compilazione delle liste, affermava che quelle norme “non ledono affatto la libertà di voto del cittadino, il quale rimane pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza”.
Manzella ritiene che il richiamo di questa sentenza da parte della Corte sia un fatto casuale, autoreferenziale?
Ecco come la Corte si esprime riguardo alle norme che impediscono la scelta del candidato: “Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”
La lista corta aumenta la probabilità che gli elettori conoscano i candidati, ma rimane la sostanza, censurata dalla Corte, che i partiti si sostituiscono al corpo elettorale
– selezionando i candidati
– decidendo l’ordine di collocazione in lista
– imponendoli al Parlamento non in ragione delle scelte effettuate dagli elettori ma in base alla quantità di voti raccolti a livello nazionale.
Ritenere, come fa Manzella, che sia sufficiente “l’effettiva conoscibilità dei candidati” per promuovere le liste bloccate ma corte è affermazione palesemente riduttiva del significato e della portata della sentenza della Corte. Tanto più che la Corte Costituzionale utilizza le citate parole sulla conoscibilità nell’ambito di un ragionamento in cui afferma: “In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).”
Analizziamo.
La Corte scrive che il sistema Porcellum è incomparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate.
Se i collegi sono piccoli e i candidati pochi c’è la ragionevole possibilità che l’elettore possa conoscere i candidati e che questo garantisca la scelta e la libertà di voto. Tutto però va visto nell’insieme delle considerazioni svolte dalla Corte, senza tralasciare il come si giunge alla selezione dei candidati.
Sul punto la Corte scrive: “Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che «le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la “presentazione di alternative elettorali” e la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.”
Di tutto ciò in Italicum non c’è traccia: l’articolo 49 della Costituzione resta inattuato, non c’è una disciplina che regoli l’assunzione di cariche di partito, trasparenza e democrazia nei processi decisionali interni ai partiti.
Con Italicum tutto si riduce a rendere possibile la conoscibilità dei candidati, ma ciò non consente in ogni caso all’elettore di scegliere il rappresentante poiché
a) non ha scelto i candidati
b) non può votare il candidato che preferisce
c) deve votare solo la lista
Rimane il fatto che i candidati sono “automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori” e a scegliere nomi e posizioni sono ancora una volta i partiti.
Quindi liste corte o lunghe si riconferma “che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini”, circostanza “che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione”.
Le considerazioni di Manzella risultano prive di qualsiasi fondamento logico e giuridico.
Premio di maggioranza
Giusto il riferimento alla necessità di una soglia per l’assegnazione del premio e al “minor sacrificio possibile“.
Questo concetto implica la ragionevolezza nel bilanciamento di interessi costituzionalmente legittimi e rilevanti.
Tale ragionevolezza è totalmente assente in Italicum per almeno due motivi.
1) Privo di logica e giuridicamente insensato prevedere il ballottaggio solo nel caso nessuno raggiunga la soglia del 37%. Andrebbe previsto il ballottaggio in tutti i casi in cui nessuno al 1° turno raggiunga la maggioranza assoluta.
In questo modo un partito sarebbe legittimato dal voto diretto popolare a governare poiché l’elettore ha scelto consapevolmente tra due ipotesi di maggioranza.
Nel nostro sistema il voto serve a rinnovare il Parlamento e a questo compete il compito di dare la fiducia al governo.
Illogico pertanto affidare il governo a una maggioranza relativa senza alcuna legittimazione diretta e dopo averla trasformata per magia in maggioranza assoluta. D’altra parte, lo stesso Manzella scrive: “Se nessuna delle coalizioni raggiunge la soglia, la quota di seggi necessaria per la maggioranza parlamentare è assegnata con un ballottaggio ma qui non si può parlare di “premio” automatico perché vi è una distinta votazione del corpo elettorale, in piena sovranità”.
Come mai sfugge a Manzella che senza il ballottaggio non c’è la legittimazione a governare e divenire maggioranza assoluta dal momento che il voto è stato dato per rinnovare il Parlamento?
Ragionevolezza vorrebbe che il premio sia assegnato o a chi ha preso la maggioranza assoluta dei voti o a chi al secondo turno, in una competizione tra i primi due classificati, risulti preferito dall’elettorato per il governo del Paese e non per la sola assemblea parlamentare.
2) Le soglie di sbarramento, illogicamente differenziate tra chi corre da solo e chi corre in coalizione, comprimono la rappresentatività senza alcun vantaggio per la governabilità, assicurata dal premio di maggioranza.
Queste soglie spingono verso la formazione di coalizioni per avere maggiori possibilità di raggiungere il premio e ridurre il rischi di essere estromessi dal Parlamento.
Questa corsa a coalizzarsi va a scapito della definizione di programmi chiari e impegnativi e quindi va a detrimento della effettiva governabilità.
Favoriscono le ammucchiate pur di contrastare la vittoria dell’avversario, anche perché non sono previsti apparentamenti al secondo turno; quindi, o sei in squadra sin dall’inizio o non avrai premio di consolazione.
Solo l’eliminazione delle soglie, mantenendo alta l’autonomia di ogni formazione, favorisce prima del voto il libero incontro tra partiti su basi programmatiche e non sotto lo spauracchio di non farcela.
Nel nostro ordinamento la coalizione può sciogliersi il giorno dopo le elezioni… ma i seggi conquistati con il premio rimangono.
Risultato: c‘è la certezza di aver compresso la rappresentatività ma non quella di aver assicurato la governabilità; assenza di bilanciamento e sacrificio smisurato.
Conclusioni
Trovo deprimente e urticante la corsa di tanti opinionisti e luminari del diritto nell’accreditare questa o quella tesi prendendo in considerazione solo poche parole che tornano utili a un obiettivo predeterminato, che non appare essere l’informazione, la conoscenza e tanto meno la scienza.
Una specifica sentenza della Corte Costituzionale verte su due specifici punti: la scelta del candidato e il ragionevole bilanciamento tra la rappresentatività, nella nostra democrazia che è e resta parlamentare, e l’interesse costituzionale a favorire la formazione di un governo. Evidente che il secondo non può andare a scapito della prima, stante il nostro assetto costituzionale. Non si può stravolgere la ratio proporzionale della legge trasformando il voto dato per rinnovare l’assemblea parlamentare in un voto dato per il governo del Paese.
Per quale ragionevole motivo chi dovesse prendere il 37% dovrebbe lievitare sino al 52% mentre chi dovesse prendere il 36,9 rimarrebbe maggioranza relativa?
La democrazia si basa sulla regola della maggioranza in un quadro di garanzie costituzionali, non sulla trasformazione della maggioranza relativa in maggioranza assoluta.
Italicum è fuori dal binario segnato dalla Corte.
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