Ultimo treno. Prima parte di un percorso di riforme istituzionali. Ci giochiamo la faccia. Così non ci saranno più Larghe Intese. Abolizione del senato. Riduzione dei parlamentari. Riduzione dei costi della politica. Le preferenze alimentano clientelismo e corruzione. Governabilità.
Queste e altre argomentazioni dello stesso tenore sono utilizzate per sostenere il percorso avviato con l’incontro tra Renzi e Berlusconi.
Ma intanto abbiamo solo una nuova proposta di legge elettorale, l’Italicum; il resto si vedrà…
Trovo molto strano e ingenuo avviare un nuovo percorso di riforme e iniziare con una nuova legge elettorale per Camera e Senato; poi ci sarà l’abolizione o la trasformazione del Senato e la fine del bicameralismo perfetto. E quindi si metterà mano nuovamente alla legge elettorale.
Perché tanta energia per fare un tratto di questo percorso di riforme per poi rifarlo?
Una legge elettorale c’è e se veramente i tempi sono maturi per riformare l’assetto istituzionale allora si cominci con la riforma del Senato.
E poi una nuova legge, che superi l’attuale proporzionale puro, per favorire la governabilità deve necessariamente essere coerente con le indicazioni tassative della Corte Costituzionale.
Proprio questo è il dato strano.
Italicum ha l’unico merito di ridurre sensibilmente il rischio di maggioranze diverse tra Camera e Senato poiché abolisce la ripartizione del premio su base regionale (aspetto già cancellato dalla Consulta); la parte residua del problema sarà risolto quando non avremo più due differenti corpi elettorali incaricati di eleggere due diverse camere parlamentari con identici poteri, vale a dire quando sarà riformato il Senato. Anche con Italicum esiste infatti il rischio, ridotto, di maggioranze differenti tra le due camere perché ci sono 7,3 milioni di elettori in più per la Camera dei Deputati rispetto al Senato. I diversi comportamenti dei due elettorati sono sufficienti a poter determinare differenti maggioranze.
Quindi Italicum risolve l’unico problema che è già risolto con l’abolizione effettuata dalla Consulta del premio per Camera e Senato.
Per il resto Italicum rischia di essere incostituzionale esattamente come il porcellum.
La lettura riduttiva della sentenza della Consulta porta tanti ad affermare che sia sufficiente prevedere una soglia per il premio di maggioranza e liste bloccate ma corte per superare le censure della Consulta. Niente di più falso.
La Corte ha censurato la mancanza di una soglia spiegando che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non deve essere realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Il diritto costituzionale alla rappresentatività dell’assemblea elettiva risulta gravemente alterato se in un impianto sostanzialmente proporzionale si inserisce un rilevante premio di maggioranza e si fissano soglie alte per l’accesso al Parlamento.
Scrive la Corte: “Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo (ulteriore rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento all’accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi «in ragione proporzionale», stabilito dall’art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957, in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”
Non va dimenticato che la coalizione può sfaldarsi e far saltare per aria la governabilità mentre l’alterazione forte della rappresentanza rimane. L’aumento delle soglie di sbarramento rendono ancor più vistosa l’alterazione, anche perché spingono verso coalizioni realizzate per non essere estromessi dal Parlamento o per avere più probabilità di raggiungere la soglia necessaria per il premio, alla faccia della governabilità.
Tutto ciò è irragionevole anche perché la stessa proposta di legge prevede il ballottaggio nel caso nessuno raggiunga al primo turno la soglia richiesta per aggiudicarsi il premio di maggioranza. Per dare più ragionevolezza alla legge, basterebbe quindi prevedere il ballottaggio in tutti i casi in cui manchi al primo turno la maggioranza assoluta. Analogamente, le soglie di sbarramento alterano la rappresentatività senza dare alcun beneficio alla governabilità, assicurata dal premio di maggioranza.
Da questo punto di vista, Italicum appare incostituzionale tanto quanto il Porcellum perché “detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”.
Riguardo alla impossibilità di scegliere i candidati, la questione si risolve in poche battute: le liste boccate anche se corte sono illegittime sul piano costituzionale tanto quanto le liste lunghe. “…la Corte ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest’ultimo sia pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza”; questo concetto è stato affermato dalla Corte sin dal 1975 e non a caso richiamato nella sentenza 1/2014”.
E’ proprio per questo principio fissato sin dal 1975 che il referendum del 1991 non ha abolito le preferenze ma ha abolito la preferenza multipla instaurando il sistema della preferenza unica.
Evocare costi della politica e corruzione quando si parla di preferenza è poi francamente ridicolo e illogico.
In questi ultimi due decenni i costi della politica sono esplosi.
L’assenza delle preferenze non ha certo migliorato la qualità dei parlamentari, né sul piano culturale né su quello della onestà.
In ogni caso, la questione non si riduce e non si affronta disquisendo sulla preferenza ma attuando l’articolo 49 della Costituzione in modo da assicurare trasparenza e democraticità nei processi decisionali interni ai partiti, compresa la scelta dei candidati. E di tutto ciò non si vede traccia.
Di contro, l’ultimo accordo sembra orientato a reintrodurre la candidatura multipla che offende e umilia l’elettore ancora di più; sul punto la Corte ha osservato che i candidati “sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.
Porsi l’obiettivo di avviare un profondo processo di rinnovamento è cosa encomiabile e a Renzi va riconosciuto il merito di aver rotto l’immobilismo che perdurava da molti anni, ma l’Italia non ha bisogno di fare purché si faccia; necessita di scelte efficaci e coraggiose. Non ne vedo traccia.