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Appropriazione indebita

I sostenitori del finanziamento pubblico ai partiti sostengono che senza il finanziamento solo i ricchi potrebbero fare politica e si rischierebbero fenomeni poco trasparenti di finanziamento della politica. Costoro sbagliano sul piano storico e logico, oltre a dimostrare di non avere onestà intellettuale (su quella morale non mi pronuncio).

Il finanziamento pubblico ai partiti fu introdotto nel 1974 sulla scia di una serie di scandali (l’ultimo quello del 1973, il cosiddetto scandalo dei petroli) che evidenziarono modalità di finanziamento dei partiti attraverso collusione e corruzione con aziende monopoliste di Stato e gruppi economici. La tesi era che dotando i Partiti di fondi pubblici non ci sarebbe stata più la necessità di ricorrere a discutibili sistemi di finanziamento. I fenomeni corruttivi hanno in realtà caratterizzato tutto il periodo di vigenza del finanziamento pubblico sino all’esplosione di tangentopoli e all’abolizione del finanziamento con il referendum del 1993.

Sul piano storico, quindi, i sostenitori del finanziamento hanno torto: la legge ha fallito nel suo intento. Anche sul piano logico i sostenitori non stanno messi bene. Infatti, se un Partito corrompe per procurarsi mezzi economici necessari allo svolgimento dell’attività politica non si vede perché non dovrebbe più corrompere se insieme agli altri Partiti riceve dei fondi pubblici. Corromperà per procurarsi ulteriori mezzi economici.

Sul piano dell’onestà intellettuale i sostenitori del finanziamento pubblico fanno una magra figura. Affermano che se non ci fosse solo i ricchi potrebbero fare politica ma dimenticano di dire che il finanziamento è riservato esclusivamente alle forze politiche presenti in Parlamento. Non serve quindi a favorire la partecipazione dei cittadini alla politica ma a consolidare gli apparati politici che occupano le Istituzioni.

Il cosiddetto rimborso elettorale introdotto nel dicembre 1993, appena otto mesi dopo l’abolizione del finanziamento ai partiti per referendum popolare, è una evidente truffa ai danni del Popolo Italiano, perpetrata dai rappresentanti dei Partiti che usurpano la sovranità popolare, giacché non c’è alcuna relazione tra spese sostenute e rimborsi percepiti. Sul piano tecnico e sostanziale possiamo affermare che il Parlamento nel suo insieme e nella sua interezza è colpevole di truffa e appropriazione indebita continuata e aggravata.

Con l’occasione ricordo che nel 1974 solo il PLI votò contro la legge che introduceva il finanziamento pubblico ai partiti. Nel 1978 il primo referendum sostenuto da Partito Radicale e PLI (il 3% delle forze parlamentari) ottenne il 43,6% dei voti favorevoli all’abolizione del finanziamento. Milioni di elettori votarono contro l’indicazione data dai loro Partiti d’appartenenza. Da allora il sistema dei Partiti, con qualche marginale esclusione, dimostra di essere al servizio di interessi personali non sempre leciti e non sempre perseguiti in modo lecito. Di quale antipolitica hanno la sfrontatezza di parlare?

Nel 1978 la campagna per il mantenimento del finanziamento fu da DC e PCI affidata a Piccoli e Cossutta. Oggi i loro eredi sono le seconde e terze file di quella classe dirigente spazzata via da tangentopoli: un esercito di pigliainculo e quaquaraquà senza alcuna credibilità politica e intellettuale.

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  1. Pingback: Da Piccoli a Letta: 40 anni di finanziamento pubblico ai partiti | macosamidicimai

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