Se il Parlamento diventa una bisca

Entro febbraio 2018 si dovrà votare per il rinnovo del Parlamento e siamo in attesa di una legge elettorale decente e non schizofrenica che consenta la formazione di due camere che potranno anche essere differenziate ma non deliberatamente in contrapposizione l’una con l’altra violando ogni principio di ragionevolezza.

Ci troviamo in questa condizione perché la maggioranza del Parlamento ha voluto giocare d’azzardo scrivendo una discutibile legge elettorale valida solo per la Camera e scommettendo che il Senato non sarebbe più stato soggetto a elezioni popolari.

La legge elettorale, nota come Italicum, fu promulgata perché chi doveva vigilare sulla bisca parlamentare fu molto distratto e solo a dicembre 2016 si rese conto che non si poteva andare a votare con due leggi elettorali profondamente disomogenee e contrapposte.

E’ diventata una consuetudine promulgare leggi in “previsione” che succeda qualcosa che puntualmente non succede.

A che serve un legislatore che scommette … anziché regolamentare, disciplinare, normare?

E’ successo con le province e la riforma Delrio.

La legge n. 56/2014 ci spiega che “Le citta metropolitane sono enti territoriali di area vasta con le funzioni di cui ai commi da 44 a 46 e con le seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della citta metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le citta e le aree metropolitane europee” e aggiunge che “le province sono enti territoriali di area vasta disciplinati ai sensi dei commi da 51 a 100. Alle province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri sono riconosciute le specificità di cui ai commi da 51 a 57 e da 85 a 97.

I commi 5° e 51° dell’art. 1 ci spiegano che le città metropolitane e le province sono disciplinate da questa legge … “in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione” …

In buona sostanza, il legislatore vara una riforma transitoria in attesa che sia approvata una riforma costituzionale … che potrebbe anche non arrivare mai …

Il legislatore scommette su una riforma costituzionale come si trattasse di un qualsiasi decreto ministeriale, ignaro della consuetudine che spesso passano anche anni perché si approvino i decreti ministeriali in attuazione di riforme che invecchiano in attesa di essere realizzate.

Il gioco d’azzardo è una droga … Così il legislatore, prigioniero del proprio orgasmo da scommessa, vara leggi su leggi sempre in previsione che succeda qualcosa …

Poteva mancare a una simile propensione l’attività principe del legislatore biscazziere?

Ovviamente no.

Ecco dunque che la legge n. 124/2015 (Riforma della Pubblica Amministrazione, Madia) al comma 3° all’art. 7 recita che “In attesa della realizzazione del sistema unico nazionale di cui all’articolo 2, comma 82, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, il Governo è delegato ad adottare …

Sì, avete compreso bene: una legge del 2015 dispone qualcosa in attesa che si realizzi quanto già previsto da una legge del 2007!

Ma a cosa faceva riferimento questo fantomatico comma 82 dell’art. 2 della legge 244/2007?

Si tratta della Legge Finanziaria 2008 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) che a quel citato comma “prevedeva”: “Il Ministero della giustizia provvede entro il 31 gennaio 2008 ad avviare la realizzazione di un sistema unico nazionale, articolato su base distrettuale di corte d’appello, delle intercettazioni telefoniche, ambientali e altre forme di comunicazione informatica o telematica disposte o autorizzate dall’autorità giudiziaria, anche attraverso la razionalizzazione delle attività attualmente svolte dagli uffici dell’amministrazione della giustizia.

Superfluo ogni commento!

Il primo problema italiano è l’inadeguatezza e l’inaffidabilità della maggioranza dei legislatori.

Prima di accapigliarci sulla legge elettorale, sulla sua omogeneità o idoneità a garantire governabilità e rappresentatività … serve urgentemente una legge rigorosa per la selezione di chi candidare alle prossime elezioni perché non possiamo più permetterci di avere un parlamento in gran parte occupato da cialtroni.

Abolire le province?

castello_01Abolire le province? La provincia è forse l’organo istituzionale meno amato. Da decenni si discute di abolirle eppure nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione si è persa questa occasione e sono state messe le basi per allargare i poteri delle province e la loro (quasi) intoccabilità poiché non si può intervenire sulle Province senza decisione condivisa con i Comuni e sentite le Regioni (art. 133 della Costituzione).

Nonostante tutto questo disamore, dopo una sostanziale stabilità, nel 1968 nasce la provincia di Pordenone, nel 1970 quella di Isernia, nel 1974 quella di Oristano arrivando al totale di 95 province; poi, in soli due decenni, dal 1975 al 2004 l’Italia si è arricchita di ben 15 province arrivando a 110.

Non tutte le province sono sede dei tradizionali uffici statali che spesso s’accompagnano alle province: Prefettura, Questura, Banca d’Italia. Ma gli uffici statali periferici non si limitano a quelli citati e non va dimenticato che provincia significa anche comandi provinciali di carabinieri e polizia, comandi provinciali dei vigili del fuoco, provveditorati all’ istruzione e alle opere pubbliche, uffici della motorizzazione, camere di commercio, uffici dell’ Inps… una macchina burocratica elefantiaca, spesso inutile, inefficiente e dispendiosa. Continua a leggere