“…tutto credevo, ma non avrei mai pensato che nei dintorni di Roma ci fossero zone come questa. Speriamo che il sindaco di Roma qui presente provvederà a riparare un po’, perché pure questi sono cittadini romani”.
A esprimersi con queste parole non è un oppositore di un Marino o di un Burlando di turno; è papa Paolo VI durante la messa di Natale del 1965 che celebrò alla borgata romana di Fidene; il sindaco dell’epoca era Amerigo Petrucci.
Fidene era una della tante borgate di Roma: polverose strade in terra battuta, assenza di fognature e spesso anche di rete idrica, assenza totale di servizi pubblici. Per avere un’idea dello scenario, potete ricorrere alle immagini di Accattone, il film del 1961 di Pier Paolo Pasolini.
Nonostante l’appello del Papa, bisognerà attendere il 1976, con l’amministrazione comunale guidata da Carlo Giulio Argan, perché venga affrontata la situazione.
Questo è un esempio di cosa succede in Italia dal dopoguerra a oggi. Esempio che tiene unito il problema Tor Sapienza con il dissesto idrogeologico: due facce dello stesso problema.
Nell’immediato dopoguerra, nonostante la nuova Legge Urbanistica Nazionale del 1942, si fronteggiò il problema casa con provvedimenti emergenziali e con le procedure semplificate del Piano di Ricostruzione, in deroga alla legge nazionale.
L’emergenza diventerà la regola: nel 1949 con il Piano INA Casa, nel 1950 con il Giubileo, nel 1960 con le Olimpiadi a Roma, nel 1966 con l’alluvione di Firenze, nel 1968 con il terremoto del Belice, nel 1976 con il terremoto in Friuli, nel 1980 con il terremoto in Irpinia, nel 1984 con il terremoto in Molise, nel 1985, 1994 e 2003 con i condoni edilizi per fronteggiare la nuova emergenza casa, nel 1990 peri i Mondiali di Calcio a Roma, nel 2000 per il Giubileo, nel 2006 con le Olimpiadi invernali di Torino…
Temo si tratti di un elenco incompleto e di Giubileo in Giubileo, di Grande Evento in Grande Evento… tutto è un’emergenza, un continuo rincorrere gli eventi senza alcuna capacità e volontà di gestione programmata del territorio, in un fantastico intreccio d’interessi tra palazzinari, potere finanziario e potere politico.
Nel 1962 avremo un nuovo strumento organico, la legge Sullo, per affrontare la questione dell’edilizia residenziale pubblica, ma si preferirà proseguire nella consueta regola dei ritardi attuativi e delle disposizioni in deroga… per non scontentare i portatori di voti e di soldi.
D’altra parte, non va dimenticato che il Piano Regolatore Generale, previsto dalla Legge Urbanistica Nazionale del 1942, arriverà nella efficiente Milano solo nel 1953, a Napoli nel 1958, a Roma, Firenze e Ravenna nel 1962…
Tra ritardi e provocate catastrofi subito trasformate in “opportunità di emergenza”, in tutte le grandi città italiane sorgono insediamenti urbani che diventano ben presto concentrati di disperazione e di disperata umanità. Così a Genova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Bari, Taranto, Napoli, Catania, Palermo…
Spinaceto, Roma 70, Tor Bella Monaca, Quarto Oggiaro, Parco Lambro, Scampia, Zen di Palermo, Paolo VI di Taranto… sono solo alcuni dei tanti esempi possibili.
Sono gli anni del “sacco di Roma” ma anche della “rapallizzazione”!
E già, visto che la selvaggia edilizia per fronteggiare l’emergenza abitativa era molto redditizia, perché non utilizzare le stesse procedure anche per soddisfare il sano bisogno di seconde case di vacanze?
Dagli anni ’50 parte così nella fragile Liguria, proprio da Rapallo, la selvaggia edificazione in ogni fazzoletto di terra, in spregio a ogni regola urbanistica, della sicurezza e della tutela paesaggistica.
Rapallo diviene il paradigma italiano della pessima gestione del territorio e già sul finire degli anni ’60 del secolo scorso si parla di “rapallizzazione” per indicare la urbanizzazione selvaggia e indiscriminata, la distruzione del territorio.
Ma la nostra lingua è generosa ed ecco che immediatamente viene coniato un altro termine: negrarizzazione, vale a dire “urbanizzazione speculativa, e al di fuori di ogni controllo, del territorio compreso nel comune di Negrar, in provincia di Verona” (Treccani, dizionario dei neologismi).
L’urbanizzazione selvaggia e indiscriminata è accompagnata da mancanza di pianificazione nella gestione dei rifiuti, assenza di adeguati sistemi di raccolta delle acque reflue e piovane, mancato rispetto delle norme di sicurezza, dissesto idrogeologico…
Tutto questo avviene sotto la guida attenta e occhialuta dello Stato centrale che con il Ministero dei Lavori Pubblici, il Ministero delle Partecipazioni Statali, gli enti parastatali e i programmi economici quinquennali… accompagneranno la distruzione del territorio italiano fino agli anni ’70 per poi lasciare alle Regioni, intanto istituite, il compito di proseguire nella devastazione.
Possiamo allora inseguire il bullismo istituzionale di Renzi o le tifoserie urlanti al seguito di questo o quel politicazzo, ma servirebbe solo a passare da un devastatore ad altro devastatore.
Possiamo, invece, prendere coscienza che i problemi che viviamo vengono da lontano e pretendere da chi ha il governo del territorio piani organici per rimediare ai disastri compiuti…
Non si tratta di rottamare le Regioni dando a queste ogni responsabilità o pretendere le dimissioni di questo o quel Sindaco ma esigere la realizzazione di opere primarie indispensabili per mettere in sicurezza il territorio e per dare una soluzione abitativa decorosa alle tante persone che vivono in condizioni disperate.
D’altra parte, è sempre una questione di priorità e mai di mancanza di risorse.
Infine, ogni politico e amministratore può trincerarsi dietro l’affermazione “abbiamo trovato questa situazione” ma dimostra solo di essere un cretino inadeguato alla funzione per la quale si è candidato o che gli è stata affidata a sua insaputa.
Nel momento in cui una persona assume una funzione istituzionale si rende responsabile della soluzione dei problemi per la gestione dei quali si è candidato: deve avere conoscenza dei problemi e avere programmi e ipotesi di soluzione; se non è così o è un cretino o è una persona che usa la politica come mezzo per risolvere il proprio problema occupazionale e soddisfare il proprio ego.