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Astenersi dall’astensione

All’approssimarsi di ogni consultazione referendaria in tanti si esercitano sulla distinzione tra voto per l’elezione degli organi elettivi e per il referendum: diritto-dovere il primo, facoltativa opzione il voto al referendum.

La Costituzione non fa alcuna differenza e definisce l’esercizio del voto un  “dovere civico (art. 48 Costituzione).

Il concetto è ripreso all’art. 4 del Testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati.

La legge costituzionale di attuazione del referendum (L. 352/1970) recita all’art. 50: “Per tutto ciò che non è disciplinato nella presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361“.

Il successivo art. 51 richiama anche per i referendum le sanzioni penali di cui al Titolo VII del citato Testo Unico, quindi anche l’art. 115 che, fino al 1993, sanzionava chi senza valido motivo non esercitava il diritto di voto.

Altra conferma della non differenza di valore “civico” tra le diverse tipologie di voto viene dal fatto che in sede di discussione della legge attuativa del referendum fu respinto un emendamento per equiparare il “non voto” al “voto contrario” all’abrogazione.

La mancanza del quorum di partecipazione determina la nullità del referendum abrogativo e non equivale a conferma popolare della legge.

D’altra parte, in Assemblea Costituente si giunse alla previsione del quorum di votanti per il referendum abrogativo per il timore che una legge potesse essere abrogata con scarsa partecipazione degli elettori. In origine la proposta di Mortati era di non prevedere alcun quorum di partecipazione elettorale. I Costituenti vollero evitare che una minoranza potesse abrogare una legge votata dalla maggioranza dei rappresentati parlamentari dei cittadini: il quorum serviva a contrastare l’astensione, non per legittimarla.

Il referendum confermativo, detto anche costituzionale o sospensivo, prescinde dal quorum; si procede al conteggio dei voti validamente espressi indipendentemente da quanti abbiano partecipato alla consultazione, a differenza da quanto avviene nel referendum abrogativo.

Perché questa differenza di trattamento tra le due tipologie di referendum?

Col referendum abrogativo si decide se abrogare o confermare una legge; col referendum confermativo si decide se confermare o abrogare una legge di riforma costituzionale approvata dal Parlamento senza la maggioranza qualificata dei due terzi.

Il referendum abrogativo è un atto di sindacato sulla attività o inerzia del Parlamento  (può infatti riguardare leggi vecchie e dimenticate dai parlamenti).

Il referendum costituzionale riguarda una legge costituzionale o di riforma costituzionale che non essendo stata approvata con maggioranza dei 2/3 resta “in sospeso” per tre mesi in attesa che qualcuno dei soggetti previsti dall’art. 138 della Costituzione si avvalga del diritto di richiedere il referendum confermativo; in tal caso, può essere confermata o cancellata senza che vi sia una qualificante partecipazione elettorale.

La sospensione decade se nessuno nei tre mesi successivi alla pubblicazione della legge di riforma costituzionale procede con la richiesta di referendum; allo stesso modo, se esistesse il quorum di partecipazione, perderebbe ogni efficacia la sospensione se non votasse la maggioranza degli elettori.

La riforma del Titolo V fu confermata nel 2001 con il referendum costituzionale al quale partecipò appena il 34% degli elettori; si sarebbe potuto verificare l’esito opposto; vale a dire, una minoranza avrebbe potuto cancellare la volontà della maggioranza assoluta dei parlamentari.

Col referendum costituzionale l’astensione non svolge alcun ruolo. L’irrilevanza giuridica dell’astensione dal voto è dimostrata anche dalla disciplina della propaganda referendaria: la legge n. 28/2000 stabilisce che nella comunicazione radiotelevisiva per i referendum abrogativi gli spazi siano “ripartiti in misura eguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario“, escludendo qualsiasi valore alla posizione di chi invita a disertare le urne.

Le diverse previsioni costituzionali per le due tipologie di referendum appaiono illogiche, però è così: per il referendum abrogativo serve la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto.

Certamente i Costituenti non avevano pensato che le forze politiche parlamentari avrebbero fatto ricorso all’astensione per invalidare un referendum e che avrebbero invitato ad andare al mare o esplicitamente a non votare.

Anche perché nel 1967 la Cassazione confermò la condanna di un gruppo di anarchici che avevano fatto propaganda per l’astensione; i giudici ravvisarono nella propaganda astensionista il reato di istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato (art. 415 c.p.).

Da un punto di vista istituzionale è molto discutibile che chi rappresenta le Istituzioni inviti a non votare per far mancare il quorum.

In questo modo, chi vuole mantenere la legge in vigore si avvale di un vantaggio tecnico sull’avversario: l’astensionismo fisiologico, al quale si aggiunge l’astensione per indifferenza verso una materia di legge.

Le forze politiche dovrebbero astenersi dall’astensione, soprattutto se sono forze di maggioranza. Sarebbe come esautorare il potere dei deleganti, dimenticando che la nostra democrazia rappresentativa prevede importanti strumenti di democrazia diretta che non devono essere sterilizzati da chi per delega rappresenta le Istituzioni.

Un conto è la scelta del “non voto” da parte del comune cittadino, altra cosa l’invito a disertare le votazioni da parte di chi è titolare di cariche pubbliche. Viene meno il rispetto della correttezza costituzionale che impone a chi ricopre cariche pubbliche di rispettare le regole democratiche:  il “metodo democratico” (art. 49 Cost.). Nel 2005 in occasione dei referendum sulla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, i parlamentari che hanno votato la legge, invitando a disertare le urne, si sono sottratti al confronto popolare, anziché dimostrare democraticamente di essere in sintonia con la maggioranza degli elettori.

Alcuni sostengono che il referendum va utilizzato per questioni di vitale importanza e, conseguentemente, sostengono che lo strumento referendario sia stato logorato dall’abuso che se ne è fatto con argomenti marginali.

Si tratta di una tesi molto fragile perché la Costituzione (art. 75) prevede che possa essere proposto referendum su ogni legge con poche e precise eccezioni (le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali). Pertanto,  è pienamente legittima la richiesta di referendum, sottoscritta da almeno 500.000 elettori, che supera i controlli di merito; ogni altra valutazione è esclusivamente soggettiva e senza alcuna rilevanza giuridica.

Chi sostiene che l’astensione sia dovuta all’argomento referendario, che non sarebbe in grado di suscitare grande interesse popolare, non considera che la partecipazione al referendum è sempre stata inferiore a quella per le elezioni politiche.

L’87% per il divorzio contro il 93-96% delle politiche.

Il 79% per l’aborto contro 88-90% delle politiche.

Il 65% sui referendum “nucleari” contro 88% delle politiche.

In realtà entrano in gioco altri fattori come per esempio la mobilitazione dei partiti e il ruolo svolto dai media. Se le forze politiche e il servizio pubblico teorizzano la “non notiziabilità” dei referendum… il risultato è prefabbricato.

Al referendum consultivo per l’attribuzione di poteri costituenti al parlamento europeo partecipò l’80% degli elettori… e fu tenuto insieme alle elezioni europee!

Nel 1985 sulla indennità di contingenza partecipò il 78% degli elettori.

La contingenza aveva più appeal del nucleare nonostante Cernobyl?

Evidente che pesa molto anche la capacità del singolo elettore di formarsi un giudizio; l’elettore spesso decide di non votare, se non ha scelto per il SI o per il NO. Peccato che questa sua scelta di non votare incida pesantemente su chi invece ha raggiunto un giudizio.

Gli indecisi farebbero meglio a recarsi alle urne e depositare scheda bianca. Anche perché la loro non partecipazione sarà strumentalmente utilizzata da chi, sostenendo il NO, cavalca l’astensione invece del confronto leale con chi sostiene il SI.

È quanto avvenne con i referendum sulla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita: chi fece mancare il quorum ancora oggi afferma che quella legge sarebbe stata confermata a larga maggioranza dal popolo italiano!

Appropriarsi politicamente della astensione è una operazione truffaldina, soprattutto se chi incoraggia l’astensione rappresenta le Istituzioni.

In occasione di questo referendum del 17 aprile 20016, nonostante siano in tanti ad affermare l’inutilità del “referendum sulle trivelle”, chi è favorevole al mantenimento della legge preferisce ancora una volta cavalcare l’astensione invece del confronto aperto con il fronte del SI.

Dicono che chi è per il SI non ha argomenti, però i sostenitori del NO si sottraggono alla competizione e sfruttano il vantaggio del +30 offerto dalla astensione o si  rifugiamo in azzardate interpretazioni.

L’astensione non è al servizio dei diritti e del bene comune.

4 thoughts on “Astenersi dall’astensione

  1. Pingback: Astenersi dall’astensione | un filo rosso

  2. Ottime argomentazioni. Purtroppo in Italia i primi ad “infrangere” la legge sono proprio quelli che le fanno.
    Se non ti dispiace, mi prendo la libertà di proporre parte dell’articolo sul mio blog aggiungendo il link al tuo sito.
    Grazie

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  3. Pingback: Le Trivelle come con il Nucleare? | macosamidicimai

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