Regna ancora sovrana la confusione a pochi giorni dalle votazioni per il referendum sulla durata delle concessioni per le trivelle entro le 12 miglia.
Complice anche il Governo che non ha contribuito a fare chiarezza sul quesito referendario promosso da 9 consigli regionali e ha compresso i tempi per la comunicazione referendaria.
I comizi referendari sono indetti dal 16 febbraio 2016, ma il Ministero dell’Interno ha diramato le disposizioni necessarie solo il 26 febbraio 2016; le delibere comunali per le assegnazione degli spazi sono state approvate a marzo inoltrato (Modena il 15/3, Molfetta il 17/3); la delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con le “Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna per il referendum popolare… indetto per il giorno 17 aprile 2016” è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9 marzo e la RAI ha programmato quattro tribune elettorali a fine marzo su Raidue, alle 9:30 del mattino, altre quattro (la prima il 5 aprile, l’ ultima il 14) su Raitre, alle 15:10 e una sola tribuna su Raiuno, giovedì 14 aprile alle 14:05… in sostanza circa tre settimane di (minima) comunicazione effettiva.
Il risultato si vede.
Basta chiedere o ascoltare i discorsi rari che si captano su treni e metrò oppure passare in rassegna i post su Facebook e altri social o leggere interventi su molti blog per comprendere quanto sia diffusa la mistificazione e l’ignoranza sul tema oggetto del referendum.
C’è chi scrive che se vincesse il SI chiuderebbero le trivelle, perderemmo migliaia di posti di lavoro e saremmo più dipendenti dall’estero: TUTTO FALSO.
C’è chi afferma che si tratta di un tema complesso e molto tecnico che non può essere affrontato con un referendum: FALSO.
C’è chi dice che l’astensione è un diritto addirittura previsto dalla Costituzione: FALSO
C’è chi dice che il dovere civico di votare vale solo per le elezioni politiche e amministrative, ma non per i referendum: FALSO
C’è chi dice che commetteremmo un altro errore come con il nucleare: FALSISSIMO
Ho spiegato queste falsità in due interventi Aprile al voto e Astenersi dall’astensione; rimando a questi articoli per approfondimenti, qui mi preme ricordare la semplicità del referendum e ricostruire la vicenda del nucleare per fare quella chiarezza che non è usuale a tanti giornalisti e politici.
Il referendum è di una semplicità sconcertante.
Il quesito chiede di decidere se le concessioni entro le 12 miglia devono avere una scadenza definita, come tutte le concessioni, o devono valere sino a esaurimento del giacimento.
Se prevale il NO, è confermata la validità delle concessioni già rilasciate entro le 12 miglia sino a esaurimento del giacimento; se fosse una disposizione nell’interesse pubblico non si capisce perché la stessa cosa non vale anche per le altre concessioni.
Se prevale il SI, la scadenza delle concessioni già rilasciate entro le 12 miglia torna a essere quella originaria; nessuna chiusura immediata, nessuna perdita di posti di lavoro o di denaro, anzi.
Si tenga presente che l’attuale principio di validità della concessione per tutta la vita utile del giacimento comporta che siano i concessionari stessi a determinare l’effettiva durata delle concessioni poiché possono autonomamente decidere l’intensità di utilizzo della licenza; infatti, non hanno un minimo imposto di attività. Non solo, poiché esiste una franchigia sulle quantità estratte e si pagano royalty solo al superamento delle franchigie, ne consegue che se i concessionari si mantengono sui livelli sotto la franchigia… lo Stato non incassa alcunché dalle royalty e in più spostano all’infinito il costo certo di smantellamento della piattaforma e bonifica del sito, vale a dire amplificano i rischi ambientali. Il riferimento è l’articolo 19, comma 3 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625: “Per ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell’aliquota, al netto delle produzioni di cui al comma 2, i primi 20 milioni di Smc di gas e 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare”.
Quindi, la finalità del referendum è: riaffermare il principio giuridico che ogni risorsa pubblica può essere data in concessione a Privati, ma per un periodo definito in modo che alla scadenza possa essere riconsiderata ogni altra opportunità.
Veniamo adesso al nucleare, spesso tirato in ballo per dire scioccamente “non ripetiamo lo stesso errore che abbiamo commesso con il nucleare”.
Spiace osservare che a distanza di quasi trent’anni non sia ancora pacifico che giuridicamente i referendum “nucleari” non comportassero affatto la chiusura delle centrali funzionanti; i quesiti erano relativi a localizzazione di nuove centrali nucleari, contributi agli Enti locali, divieto di partecipazione dell’Enel a progetti nucleari all’estero.
La scelta di uscire dal nucleare fu una scelta politica, maturata in modo opaco come opaca fu la scelta di riprendere gli investimenti nucleari a metà degli anni settanta del secolo scorso e all’inizio del nuovo millennio.
Ripercorriamo la cronologia delle tappe fondamentali.
Referendum su tematiche inerenti il nucleare: 7 e 8 novembre 1987
Lo stato del nucleare in Italia:
- Borgo Sabotino (LT): fermata il 26 novembre 1986 in attesa di decisioni governative; chiusa con delibera CIPE il 23 dicembre 1987 (così si legge nei documenti SOGIN società esercente l’impianto). Era in funzione dal 1963 e già avviata alla sospensione delle attività; messa in protezione passiva nel 1991; nel 1999 avviate le procedure di decommissioning.
- Centrale di Caorso (PC): fermata il 25/10/1986 per la quarta ricarica del combustibile e non riavviata; con delibera CIPE del 26/7/1990 fu disposta la chiusura. A seguito degli indirizzi espressi dal Ministero dell’Industria alla fine del 1999 e confermati con i decreti del 7/5/2001 e del 2/12/2004, la strategia di “custodia protettiva passiva” precedentemente adottata è stata abbandonata in favore della disattivazione “accelerata”. L’istanza di autorizzazione alla disattivazione accelerata è stata presentata nel luglio 2001 e successivamente integrata con l’Addendum del dicembre 2003. Contemporaneamente è stata avviata la procedura VIA.
- Trino (VC): fermata il 21/3/1987 per la ricarica del combustibile e non riavviata; con delibera CIPE del 26/7/1990 è stata disposta la chiusura. Le tappe successive ripercorrono la sequenza indicata per Caorso.
- Garigliano – Sessa Aurunca (CE): fermata nell’agosto 1978, per l’esecuzione di rilevanti interventi di adeguamento, che non furono effettuati a seguito di valutazioni economiche. Con delibera CIPE del 4/3/1982 fu pertanto disposta la sua chiusura definitiva e furono quindi avviate le operazioni per porre l’impianto in “custodia protettiva passiva” (CPP).
- Montalto di Castro (VT): la costruzione iniziò il primo luglio 1982; il Governo Goria alla fine del 1987, all’indomani dei referendum, tenta la ripresa dei lavori; cade il governo anche per la decisione su Montalto. La centrale non ha mai funzionato, i lavori furono sospesi all’inizio del 1988 e il 21 aprile 1988 il governo De Mita decise la riconversione in centrale convenzionale (a idrocarburi. Quando la centrale fu sospesa, il costo già sostenuto era pari a circa sette volte quanto preventivato.
Al momento del referendum, quindi, NESSUNA CENTRALE ERA ATTIVA e le due più efficienti erano state ricaricate una 7 mesi prima e l’altra 12 mesi prima del referendum. Ricaricate, ma non riaccese.
Le delibere CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) arrivarono subito per Latina mentre per le altre due centrali arrivarono soltanto nel 1990 per valutazione sempre governativa: proprio perché i referendum non comportavano la chiusura delle centrali. I governi dell’epoca ratificarono nel 1990 quanto avevano deciso già prima dei referendum spegnendo le centrali.
Infatti, il Parlamento, all’indomani dei referendum, con la mozione del 18 dicembre 1987 deliberò semplicemente “una moratoria per le nuove costruzioni nucleari di cinque anni”.
Tutte le decisioni sul nucleare sono sempre su base ministeriale o interministeriale (delibere CIPE e decreti legge).
Il disegno di legge n. 3735 di alcuni Senatori (Baldini, Basini ed altri) presentato in Parlamento il 5 gennaio 2000 per “la messa in servizio delle centrali di Caorso e di Trino” non è stato nemmeno discusso.
Nel 2010 non ci fu alcun dibattito sul progetto presentato da General Electric per riattivare la centrale nucleare di Caorso. Secondo quel progetto se si fossero sospese le operazioni di decommissioning (smantellamento) saremmo stati ancora in tempo per il “revamping (ammodernamento) della centrale che avrebbe potuto garantire circa 900 Mw con soli due anni di lavori e due miliardi d’investimenti”. Progetto ignorato.
Devo ancora conoscere chi ha deciso l’uscita definitiva dell’Italia dal nucleare, affermò giustamente Paolo Fornaciari, Presidente Onorario dell’Associazione Italiana Nucleare (AIN) e Presidente del Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare (CIRN).
Ho preso parte alla battaglia contro la scelta nucleare italiana, perché fatta in modo opaco e criminale; insieme a tanti altri, non ero contro il nucleare in sé, ma contro il modo di gestirlo e le fesserie che circondavano quella scelta; fesserie sulla sicurezza, sui costi, sulla convenienza economica.
Non posso fidarmi di chi non si assume le responsabilità delle proprie scelte e non opera con trasparenza.
Si racconta la favola che le centrali furono chiuse perché gli italiani decisero sull’onda emotiva dei referendum all’indomani del disastro di Chernobyl (26 aprile 1986). Strana affermazione se consideriamo che votò appena il 65% degli elettori; due anni prima al referendum sulla contingenza aveva votato il 78% e due anni dopo al referendum per il conferimento di poteri costituenti al parlamento europeo votò quasi l’81% degli elettori. Dove vedete l’onda emotiva?
Al referendum del 2011 partecipò circa il 55% degli elettori; il quesito mirava ad abolire alcune norme inserite nel decreto legge del 2008 recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. Ancora una volta con procedure confuse e opache si riapriva la pagina sulla opzione nucleare quando la stessa maggioranza di centrodestra nella precedente esperienza aveva messo in atto le decisioni del ministro Bersani e aveva ignorato i progetti per rimettere in attività le centrali ferme. Il governo Berlusconi, nonostante avesse fallito clamorosamente nella gestione del problema delle scorie, si lanciava in un progetto fumoso di nuove centrali in tempi record: basta vedere in che condizioni versano le centrali che il nostro stesso partner sta costruendo in giro per il mondo per rendersi conto delle nuove corbellerie governative. Senza dimenticare che dopo l’incidente di Fukushima (11 marzo 2011) fu lo stesso Governo a decidere una moratoria del nucleare in attesa di nuove risultanze scientifiche… Alla faccia della serietà!
Gli italiani nel 2011 decisero che non era il caso di fidarsi di un ceto politico in gran parte squalificato, inaffidabile, cialtrone e corrotto. Su questo gli italiani hanno deciso.
Altra favola è quella secondo la quale noi oggi compriamo a caro prezzo l’energia da paesi nucleari confinanti. Compriamo energia elettrica da altri paesi perché questi ne producono in eccesso e quindi la svendono. Tecnicamente saremmo autosufficienti con l’energia elettrica, ma ci costa meno importarla. Lo afferma Terna che gestisce la rete di trasmissione nazionale: “l’Italia è tecnicamente autosufficiente; le centrali esistenti a tutto il 2012 sono infatti in grado di erogare una potenza massima netta di circa 124 GW contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007) nei periodi più caldi estivi“.
La politica energetica italiana è da sempre costruita su un castello di menzogne: fantasiose stime energetiche, inattendibili costi di costruzione delle centrali, di gestione e di produzione, inaffidabili piani di sicurezza tutt’oggi non rispettati. La menzogna continua e la domanda è sempre la stessa: chi ci guadagna?