Spesso si liquida perentoriamente l’astensionismo affermando “chi non vota non conta“, ma la questione è “quanto conta chi vota“?
Se il corpo elettorale non può scegliere coloro che in Parlamento dovrebbero rappresentare il popolo sovrano, se i candidati alla carica di sindaco o di presidente di Regione sono calati sulle comunità locali da ristrette oligarchie partitocratiche, se la volontà del popolo viene cancellata persino quando il popolo sovrano con il voto referendario decide qualcosa (vedi finanziamento pubblico ai partiti, acqua pubblica …), se l’accesso alle cariche elettive di cui all’art. 51 Cost. è appaltato ai Partiti che decidono chi candidare e dove … quanto vale realmente il voto di ogni cittadino e cittadina?
Certo, chi non si sente rappresentato dalle attuali forze politiche (circa 70), può sempre fondare il proprio partito, ovviamente senza gareggiare alla pari con le altre forze politiche perché chi ha già un posto al sole ha dei privilegi … E’ la nuova forma di nobiltà che ha edificato la casta degli eletti, per preservare se stessa. La conseguenze è che chi dovesse entrare nella casta, ben preso impara ad apprezzarne i privilegi e viene fagocitato dal sistema.
La Costituzione definisce l’esercizio del voto un “dovere civico“ (art. 48 Costituzione). Il concetto è ripreso all’art. 4 del Testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati e richiamato anche dalla legge costituzionale di attuazione del referendum (L. 352/1970) che recita all’art. 50: “Per tutto ciò che non è disciplinato nella presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361“. Il successivo art. 51 richiama anche per i referendum le sanzioni penali di cui al Titolo VII del citato Testo Unico, quindi anche l’art. 115 che, fino al 1993, sanzionava chi senza valido motivo non esercitava il diritto di voto.
Altra conferma della non differenza di valore “civico” tra le diverse tipologie di voto si desume dalla discussione sulla legge attuativa del referendum. In quella discussione fu, infatti, respinto un emendamento teso a equiparare il “non voto” al “voto contrario” all’abrogazione. Anche la disciplina della propaganda referendaria, legge n. 28/2000, stabilisce che nella comunicazione radiotelevisiva per i referendum abrogativi gli spazi siano “ripartiti in misura eguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario“, escludendo qualsiasi valore alla posizione di chi invita a disertare le urne.
I Costituenti non avevano pensato che le forze politiche parlamentari avrebbero fatto ricorso all’astensione per invalidare un referendum e che avrebbero invitato ad andare al mare o esplicitamente a non votare, anche perché l’invito al non voto esponeva a conseguenze penali. Nel 1967, infatti, la Cassazione confermò la condanna di alcuni anarchici che avevano fatto propaganda per l’astensione; i giudici ravvisarono nella propaganda astensionista il reato di istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato (art. 415 c.p.). L’art. 115 del Testo Unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati, che sanzionava chi senza valido motivo non esercitava il diritto di voto, è stato abrogato con decreto legislativo n. 534 del 1993.
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