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Mi dicono … che noi del NO abbiamo sbagliato

Qualche amico osserva che noi del NO, che bocciamo questa riforma nel merito e non per un giudizio negativo sul Governo, abbiamo sbagliato a fare campagna referendaria perché avremmo dovuto spiegare che riforma della Costituzione vorremmo.

Questa critica è illogica da diversi punti di vista.

 

Il momento del confronto sulle diverse opzioni possibili ci doveva essere prima di giungere alla approvazione parlamentare e purtroppo la discussione sulle diverse opzioni di revisione costituzionale è stata bloccata dall’accordo del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. E’ stato imposto al Parlamento un pacchetto sul quale, sotto continue minacce di dimissioni, si doveva in fretta procedere. Il 15 aprile 2014 il Senato ha avviato l’esame del disegno di legge di riforma che è stato approvato, con modificazioni, nella seduta dell’8 agosto 2014: meno di 4 mesi per giungere alla prima votazione da parte del Senato su una riforma così corposa. Figuratevi lo spazio che è stato dato alle proposte alternative rispetto a quanto previsto dal famoso accordo Renzi-Berlusconi.

 

Il referendum non è il momento in cui discutere tra diverse opzioni di riforma, ma si decide su una precisa riforma approvata dal parlamento. Occorre un giudizio sintetico, SI o NO, per confermare o bocciare la proposta stessa. Già si fa fatica a smontare le falsità della propaganda avversaria figuriamoci se ci mettessimo a spiegare come vorremmo modificare la Costituzione. Abbiamo concentrato l’attenzione su un paio di punti essenziali:

  • Vorremmo che ogni riforma della Costituzione sia fatta per espandere i principi fondamentali della prima parte e non per restringerli (come succede togliendo agli elettori il diritto di eleggere il Senato che potrà agire sulla Costituzione, sulle leggi nazionali e sulla elezione degli organi di garanzia, ma non rappresenta più la Nazione); se li restringe non è una riforma ma una CONTRORIFORMA!
  • Vorremmo che a mettere le mani sulla Costituzione sia un Parlamento politicamente legittimato e rappresentativo della volontà degli elettori; perché non è irrilevante il dato che a ogni eletto di questo parlamento manchi il sostegno del voto diretto degli elettori, che le norme censurate del porcellum abbiano coartato la libertà degli elettori di determinare i propri rappresentanti parlamentari, che i premi irragionevoli del porcellum abbiano alterato la rappresentatività del Parlamento … che ha tutto il potere giuridico di legiferare come crede … ma un po’ di sensibilità politica non avrebbe fatto male, nella consapevolezza che il porcelum non c’è più – e non per merito del ceto politico – ma questo parlamento è il prodotto del porcellum!

 

Implicitamente significa affermare che una riforma della Costituzione sia necessaria. In tal caso occorre partire dalla diagnosi dei problemi istituzionali per poi analizzare le terapie proposte. Proviamo a fare questa analisi.

LA DIAGNOSI

I signori del SI affermano che la riforma sia necessaria perché bisogna aggiornare le strutture istituzionali pensate per una realtà ormai profondamente cambiata.

La diagnosi è che il bicameralismo perfetto sarebbe responsabile della instabilità governativa e della lentezza legislativa.

E’ veramente così?

Dall’inizio della XIV legislatura (30 maggio 2001) a oggi sono state approvate mediamente 8 leggi al mese! Più dell’80% con un solo passaggio per ciascuna camera. Solo il 3-4% delle leggi richiedono più di tre votazioni.

La famosa palude, non solo è un problema che riguarda poche leggi, ma quando si verifica è perché manca coesione all’interno della maggioranza e alcune componenti della maggioranza sfruttano il meccanismo bicamerale per ottenere contropartite o per avere visibilità mediatica. Il lodo Alfano, la riforma Fornero sono state votate in pochi giorni; sono per questo buone leggi? La qualità di una legge non si valuta in base al tempo impiegato per l’approvazione, ma per quel che prevede e per come è scritta. Velocizzare una macchina difettosa significa aumentare i rischi e i problemi.

Questa revisione costituzionale non migliora la macchina legislativa, anzi per certi versi peggiora la situazione perché il Senato avrà un potere di veto sconfinato in ogni passaggio bicamerale e il Governo non potrà ricorrere al voto di fiducia. Infatti, il bicameralismo paritario non è superato, ma solo ridimensionato.

Il nostro problema non è la mancanza di leggi, ma leggi scritte male e spesso non applicabili perché richiedono decreti attuativi che arrivano anche dopo anni. Siamo ai vertici mondiali nella capacità di produrre leggi; infatti, abbiamo creato ministeri per la semplificazione e la delegificazione!

Il vero problema sta nei regolamenti parlamentari e nell’eccesso di attività legislativa.

In questa legislatura sono stati presentati alla Camera dei deputati ben 3.770 disegni di legge di iniziativa parlamentare. Una media di circa 90 nuove proposte di legge al mese. La Camera ha approvato solo 80 di questi 3.770 disegni di legge!  

E’ evidente che c’è una sproporzione tra la quantità di proposte che la Camera autonomamente produce e quelle che riesce a smaltire.

Siamo sicuri che il problema sia il bicameralismo? I dati ci raccontano un’altra storia.

Se fossimo in un sistema monocamerale le cose andrebbero ancora peggio poiché tutte le leggi sarebbero incolonnate all’unico casello di entrata di Montecitorio. Adesso, invece, mentre una legge è discussa alla Camera, in Senato si discute un’altra legge.

Le responsabilità che attribuiscono al bicameralismo sono smentite dai fatti.

Riguardo alla instabilità di governo, c’è da osservare che dalle elezioni del 1994 abbiamo avuto 13 governi tutti finiti per implosione della maggioranza o per termine naturale della legislatura.

Attribuire al bicameralismo la responsabilità di maggioranze disomogenee tra Camera e Senato, significa mistificare confondendo i risultati di una tecnica elettorale con un aspetto istituzionale. Ci siamo dimenticati che il “porcellum” è stato creato proprio per rendere difficile la formazione di maggioranze?

Le cause dell’instabilità vanno ricercate nel sistema dei partiti e di selezione dei candidati, nei criteri che regolano i cambiamenti di governo, nel potere discrezionale del Presidente della Repubblica, nella mancanza della figura del premier che in Italia non esiste e non esisterà, nell’assenza di istituti rigorosi come la sfiducia costruttiva e soprattutto nella legge elettorale. Tutti elementi sui quali la revisione costituzionale non interviene.

Il bicameralismo perfetto non è mai stato la causa delle crisi di governo.

Certamente il doppio rapporto fiduciario è una difficoltà in più nella formazione di un governo, ma ha influito pochissimo nel determinare i 63 governi in soli 70 anni. La fine del governo Letta è una conferma che il bicameralismo non c’entra nulla con l’instabilità

Tutta l’impalcatura che sostiene questa riforma, dunque, crolla a una lettura meno superficiale delle cause che hanno determinato l’instabilità di governo.

La revisione costituzionale non è in grado di risolvere il problema perché il doppio rapporto fiduciario non è la causa principale della precarietà dei governi. E, in ogni caso, per eliminare questa causa basta modificare due parole dell’art. 94.

LE TERAPIE

Sbagliata la diagnosi e inefficaci le terapie. Ma pur prendendo per buona la diagnosi proposta, si verifica che gli obiettivi indicati dai legislatori non sono raggiunti.

Le terapie sono indicate nell’oggetto referendario: “disposizioni per  il  superamento  del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento  dei  costi  di  funzionamento  delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del  titolo  V  della  parte  II della Costituzione

La riforma NON supera il bicameralismo paritario perché non lo elimina ma lo confina in alcuni settori legislativi sottoposti appunto a bicameralismo paritario. Ne consegue che ogni legge sottoposta a BICAMERALISMO PARITARIO potrà essere utilizzata strumentalmente da un gruppetto di senatori per ottenere contropartite su qualsiasi legge in discussione alla Camera. La attuazione stessa della revisione costituzionale sarebbe affidata a entrambe le camere! Il potere di veto del Senato potrebbe essere sconfinato laddove ci fosse una maggioranza alla Camera differente da quella al Senato. Possibilità resa probabile dalla previsione costituzionale di elezione con METODO PROPORZIONALE dei senatori in ogni consiglio regionale e dalla circostanza che i senatori saranno espressione delle forze politiche presenti in ogni regione: prevale l’appartenenza politica sulla formale rappresentanza della Regione, che è in ogni caso senza mandato politico e senza alcun vincolo. I senatori della stessa Regione potrebbero votare in modo differente: in cosa consiste l’essere rappresentanti della Istituzione territoriale? Anche il singolo deputato formalmente è un rappresentante del collegio in cui è eletto.

 

Inesatto affermare che riduce il numero dei parlamentari perché la riforma interviene solo sul numero dei senatori, promettendo squilibri e disfunzioni anche perché i pochi senatori saranno tutti con doppio incarico. Perché indicare l’insieme (i parlamentari) se si interviene su una parte (i senatori)?

 

Il contenimento dei costi di funzionamento delle Istituzioni, che in sé non è un tema costituzionale, è modestissimo: meno di un euro all’anno per cittadino, ma il problema non sono i costi ma gli sprechi e la corruzione, che questa riforma non aiuta a contrastare poiché non potenzia i controlli, la trasparenza e la partecipazione nella selezione dei candidati, nell’affidamento degli incarichi, nei processi decisionali interni ai partiti.

Inoltre, si lascia intendere che interviene sui costi delle Istituzioni mentre interviene in modo marginale solo su alcune Istituzioni e non sull’insieme.

 

Il CNEL è affidato a un Commissario straordinario: sarà soppresso esattamente come tanti altri enti soppressi che sono sopravvissuti per molti anni alla propria soppressione. Non sono state rimosse le cause che impediscono la veloce soppressione di u Ente ritenuto inutile.

 

La riforma del Titolo V interviene sulla riforma del 2001, rimasta al palo sino al 2009 perché la nuova maggioranza nel 2001 si impegnò immediatamente nella riforma della riforma appena approvata.

E’ per questo che bisogna evitare le riforme costituzionali fatte a colpi di maggioranza: si rischia che ogni maggioranza faccia la propria riforma. Così si riduce e svilisce la Costituzione al rango di una qualsiasi legge ordinaria e contingente!

Entrando nel merito scopriamo che la riforma interviene marginalmente sulle cause  che hanno determinato la conflittualità tra Stato e Regioni e introduce nuovi fronti molto promettenti in termini di conflitti. Inoltre, si somma nuova transitorietà a quella già esistente perché il processo di attuazione della riforma del 2001 è ancora in atto giacché le ultime leggi importanti sono arrivate solo nel 2011 (norme sul federalismo fiscale municipale).

Le province stesse non sono abolite, perché è abolita solo la parola “provincia” dalla Costituzione ma intanto le province sono state svuotate da una legge del 2014 e sostituite dagli Enti di Area Vasta, di cui ovviamente nulla si dice riguardo a quanto costeranno. Semplicemente ingannevole parlare di riduzione de costi senza proferire parola sui nuovi costi. Tra molti anni sapremo se questa riforma è stata efficace e che risparmi avrà prodotto, al momento possiamo solo dire che è stato eliminato un altro spazio di partecipazione democratica perché non siamo più noi cittadini a eleggere i consiglieri provinciali.

In conclusione, gli obiettivi dichiarati non sono raggiunti e la riforma si presenta come un monumento alla eterogenesi dei fini perché giunge a conclusioni che sono all’opposto delle premesse da cui muovono i neo-costituenti.

La controriforma è scritta in modo confuso e pasticciato, inserendo in Costituzione una serie di formulazioni generiche prive di contenuto reale. Autentiche scatole vuote.

Per esempio, lo Statuto delle opposizioni, la cui stesura è affidata al regolamento della Camera dei deputati approvato a maggioranza assoluta; quindi, il partito di maggioranza potrà scrivere lo Statuto delle opposizioni. Siamo al grottesco.

La conformità con cui dovrebbero essere eletti 74 dei 95 senatori; perché i sindaci non saranno in ogni caso eletti in conformità alle scelte effettuate dagli elettori. Qualche riga prima si afferma che compete ai consiglieri regionali eleggere i senatori. Sappiamo però che il prossimo Senato sarebbe eletto con le disposizioni transitorie in cui non c’è traccia alcuna di conformità. Cosa vorrà dire elezione in conformità … lo sapremo solo vivendo in un indefinito futuro.

Questa revisione costituzionale muove da una diagnosi sbagliata e propone soluzioni inefficienti e pericolose.

L’unico dato certo che emerge è che la nuova architettura del Senato offre a chi prevale nel controllo politico delle regioni l’opportunità di poter intralciare l’azione di una maggioranza e di un governo di altro colore politico: uso partitico del potere di revisione costituzionale.

7 thoughts on “Mi dicono … che noi del NO abbiamo sbagliato

  1. Non mi meraviglio che venga da qualcuno piu’ a sinistra. Li conosciamo da tempo questi intelligentoni che piu’ di sinistra non si puo’. Mi aspettavo questa critica peraltro facilmente demolibile.

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    • Assolutamente. Ho incontrato tanta gente desiderosa di impegnarsi superando le barriere “partitiche” per lavorare concretamente su obiettivi condivisi. Serve un po’ di sano pragmatismo, intorno a principi che ci uniscono.

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  2. CI DICONO CHE ABBIAMO SBAGLIATO : MAGARI SBAGLIARE SEMPRE COSì. SOLITO ATTEGGIAMENTO : NASCONDERE LA SCONFITTA CON GLI INSEGNAMENTI AGLI AVVERSARI

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  3. CI DICONO CHE ABBIAMO SBAGLIATO : MAGARI SBAGLIARE SEMPRE COSì !!!. SOLITO ATTEGGIAMENTO PER NASCONDERE LA SCONFITTA CON GLI INSEGNAMENTI AGLI AVVERSARI :BENISSIMO !!! CONTINUATE COSI’ E NON VI TROVANO NEANCHE ALL’ANAGRAFE

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  4. Una parola in favore del CNEL . No, anzi, in favore di un metodo che non è stato praticato. Ci si sarebbe dovuti chiedere qual era il grado di funzionamento che ci sarebbe dovuti aspettare dal CNEL ; se inferiore alle attese (scritte ?) , quali erano le colpe ? Mal strutturato? Uomini incapaci o fannulloni? nessun raccordo reale col governo e col parlamento ? ecc, ecc. Possibilità di farlo lavorare in maniera fattiva ? Eppure sull’eliminazione del CNEL nessuna voce contro anche che pochi sapevano addirittura della sua esistenza.

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  5. TANTO PER CAPIRE QUAL E’ LA SITUAZIONE IN PERIFERIA (FRIULI), INVIO QUESTO ARTICOLO APPARSO SU UN QUOTIDIANO LOCALE ON LINE INDIPENDENTE

    Pd Fvg: dall’assemblea nessun progetto di cambiamento vero
    Serracchiani c’è ma non parla, e se ne va prima della fine. Niente dimissioni per la segretaria regionale Grim, che ammette degli errori ma è pronta a restare in sella per ‘correggere il tiro’

    UDINE – Come previsto. Come avevamo anticipato poche ore fa. Tutto da copione, insomma. La ‘zarina’ non soltanto non ha preso la parola all’assemblea regionale del Pd, ma se n’è andata oltre un’ora prima. Chapeau davvero! La classe non è acqua. Eppure, Debora Serracchiani è una che – come il Matteo fiorentino – ama apparire nei talk show, ama parlare nei salotti buoni della sinistra radical chic, ama l’annuncite e le piace dire quanto è brava a fare le riforme. Ma non gradisce mettersi in discussione e sabato sera, appunto, non ha parlato. E da vip della politica che fa spallucce alla provincia, si è affidata all’Ansa per dire che «l’assemblea regionale ha dimostrato serietà. E non si ferma qui per correggere la rotta». Già, evidentemente il Pd del Fvg, che grazie soprattutto a lei si è presa cinque sberle consecutive (Trieste, Pordenone, Monfalcone, Codroipo e referendum), ritiene che bastino i buoni propositi.

    Per il Pd e per la ‘zarina’ evidentemente non è successo nulla. Tant’è che la segretaria regionale dei dem, Antonella Grim, che fa parte del cerchio magico della Serracchiani, ha avuto il coraggio di affermare che «certamente qualcosa abbiamo sbagliato» e che dunque «dobbiamo rivedere profondamente la forma partito». Quel partito, noi continuiamo a scriverlo da mesi, che perde oltre 700 tesserati ogni anno e che, grazie ai diktat della sua classe dirigente e al silenzio complice della stampa in house, non ne ha mai voluto parlare.
    Grim ha anche affermato che serve correggere il tiro velocemente. Peccato che anche questo sia soltanto un annuncio. Alla fine del suo intervento, infatti, la segretaria regionale del Pds (Partito della Serracchiani) ha promesso che si «si farà carico di un percorso di approfondimento e verifica con tutte le componenti della segreteria regionale per chiedere un rafforzamento nell’azione di elaborazione politica in vista della prossima assemblea regionale, che sarà riconvocata subito dopo quella nazionale, in programma il 18».

    Capito? Il Pd del Fvg non è capace di muoversi autonomamente, di ricercare le ragioni delle sconfitte, di sondare il malumore della base, di cercare di capire lo scollamento dal suo elettorato. Tutto questo perché deve prima capire cosa accadrà a Roma per poi tradurlo in salsa regionale. E Serracchiani? Ne esce ancora più indebolita, incapace di una feroce autocritica per come ha guidato la Regione, per come ha trattato chi non la pensa come lei, per come ha voluto imporre una prassi di governo (e dentro il partito) arrogante e presuntuosa. Né, la nostra, potrà contare sull’appoggio a volte imbarazzante della stampa amica, che per due anni l’ha sovraesposta mediaticamente al punto da creare un fisiologico rigetto popolare.
    Il resto dell’assemblea di sabato è stata purtroppo aria fritta: parole scontate e prevedibili, qualche autocompiacimento, qualche rarissima critica vera. Tanto imbarazzante vuoto spinto. Dopo la quinta debacle ci si sarebbe aspettati una riunione vera, calda, combattuta. Da urla e invettive vere, che poi s ricompongono. Un’assemblea, quella di questo pomeriggio, che avrebbe dovuto lasciare il segno e che invece si è trasformata in un rito stanco e depresso dove, oltre alla latitanza della vice segretaria nazionale, è mancata una visione strategia e un progetto di cambiamento vero. Già, sprofondo rosso!

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