Alcuni aspetti della riforma costituzionale Boschi-Renzi presentano situazioni paradossali, eppure rappresentano motivi di vanto per i sostenitori. Se li analizziamo con attenzione non facciamo fatica a renderci conto che sotto la leggera patina di smalto c’è il nulla.
La fiducia
Se la riforma costituzionale sarà confermata, il Senato non dovrà più dare la fiducia al Governo.
Ne consegue che il Governo non può porre in Senato la questione di fiducia per tutti quei provvedimenti in cui il Senato conserva pieni poteri legislativi, identici a quelli della Camera.
I procedimenti legislativi bicamerali esattamente come adesso sono
- leggi costituzionali
- leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, i referendum propositivi
- leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane
- disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni (indispensabili per superare le province),
- norme generali, forme e termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea,
- leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea,
- l’ordinamento di Roma capitale,
- ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti l’organizzazione della giustizia di pace, le disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, le politiche attive del lavoro e l’istruzione e formazione professionale, il commercio con l’estero, il governo del territorio …
In tutti questi ambiti è ineludibile il passaggio al Senato.
Affermare che si tratta di cose minori è veramente paradossale: quanti decenni vogliamo impiegare per dare attuazione alla nuova Costituzione?
Alcune di queste leggi possono assumere rilevante importanza politica, per esempio per adeguare la normativa nazionale a quella comunitaria o per attuare una norma della nuova costituzione…
Indubbio che ciò potrà determinare per il Governo e per la maggioranza qualche problema, perché in Senato non ci sarà una maggioranza politica stabile e omogena con quella della Camera, giacché l’elezione dei senatori avviene in ogni consiglio regionale con metodo proporzionale.
Il cumulo delle funzioni legislative locali e nazionali consentirà ai senatori, espressione delle forze politiche di provenienza, di esercitare un potente diritto di veto per ottenere contropartite spendibili nei territori da dove i senatori provengono e dove hanno interesse a rafforzare il proprio potere.
L’inciucio costituzionalizzato!
Le funzioni del Senato
Se la riforma costituzionale dovesse essere confermata, la funzione istituzionale del Senato sarà la rappresentanza delle istituzioni territoriali e il raccordo tra lo Stato e gli altri Enti costitutivi della Repubblica (nuovo art. 55), oltre a importanti funzioni legislative.
Le “leggi bicamerali” sono molto eterogenee ma caratterizzate da un elemento: sono estranee agli ambiti legislativi in cui spetta alla Camera il potere di definire le “norme generali e comuni” su tutela della salute, politiche sociali, istruzione, attività culturali e turismo, governo del territorio…
Paradossale che al Senato manchi proprio la competenza di definire i confini fra le diverse materie statali e regionali. Certo, il Senato potrà proporre modifiche alle leggi approvate dalla Camera, ma la Camera potrà tranquillamente ignorarle.
Appare con evidenza infondata la tesi secondo la quale la riduzione dei poteri delle Regioni sarebbe compensata dal nuovo Senato che rappresenterebbe le istituzioni territoriali e fungerebbe da raccordo tra Stato e Regioni: con quali strumenti e procedure? La Costituzione non ne individua: è tutto da inventare… con leggi bicamerali.
In compenso, i nuovi Senatori si dovrebbero occupare con pari dignità con i colleghi Deputati di politica estera e comunitaria, di assetto dell’amministrazione locale, di istituti di democrazia diretta… ma non di ciò che le Regioni devono fare.
Illogico e paradossale.
Il Presidente della Repubblica
L’articolo 83 del nuovo testo costituzionale prevede: “L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.”
Per Assemblea s’intende l’insieme del Parlamento in seduta comune.
Sorvoliamo sulla previsione dei primi tre scrutini, tanto abbiamo capito che l’elezione del presidente Mattarella è stata la prova generale di quel che sarà in caso di approvazione della riforma.
Considerato il grande vantaggio che il primo partito avrà sulle opposizioni, queste utilizzeranno gli scampoli di potere che restano per far pesare la propria voce. L’elezione del Presidente della Repubblica sarà una di queste occasioni.
Se il primo Partito non gradirà il candidato dell’opposizione, il primo partito si asterrà nelle prime votazioni e si andrà alle successive quando saranno sufficienti i tre quinti dell’assemblea o dei votanti.
Molto pericolosa la previsione che si vada sempre al sessanta per cento dei voti dei parlamentari o dei votanti.
Significa che in mancanza di un accordo sul candidato dell’opposizione si rischia
a) di restare per anni senza Presidente della Repubblica, come da molti anni succede per la Corte costituzionale che opera senza il plenum dei componenti previsti,
b) di fare affidamento sugli assenti per giungere alla elezione.
In caso di numerosi assenti, un solo partito potrebbe essere autosufficiente.
In caso di prolungata difficoltà a raggiungere il quorum necessario, sarà il presidente della Camera a svolgere le funzioni presidenziali.
Chi eleggerà il presidente della Camera?
Può bastare la maggioranza assoluta dei componenti della Camera, quindi il solo Partito che controlla Esecutivo e Camera.
La maggioranza non ha alcun interesse a cercare un accordo con le opposizioni per convergere su un candidato ampiamente gradito.
Un gran bel potere di garanzia, il signor presidente, vero?
Lo Statuto delle Opposizioni
Evviva. Ecco una bella nuova previsione della riforma costituzionale: finalmente sarà definito lo Statuto delle Opposizioni.
Lo prevede il nuovo art 64 della Costituzione: il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni.
Ah… il regolamento della Camera… a chi spetta approvarlo?
Alla Camera dei Deputati a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Lo stabilisce il riconfermato comma primo dello stesso art. 64.
Per effetto della nuova legge elettorale, a definire lo Statuto delle Opposizioni potrà essere il Partito Unico che vincerà le elezioni e al quale sarà garantita con totale certezza la maggioranza assoluta, purché qualcuno vada a votare.
Interessante, vero?
Gli istituti di democrazia diretta
Uno dei punti di vanto dei sostenitori della riforma costituzionale è l’ampliamento e il rafforzamento degli istituti di democrazia diretta.
Cosa cambia con le proposte di legge di iniziativa popolare?
Serviranno 150.000 firme per presentarle e non 50.000 come adesso; a fronte di questa triplicazione ci sarà la discussione e la decisione “nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari” (art. 71 Cost.). Quindi, una certezza sulla triplicazione delle firme, una totale incertezza su tutto il resto che dipenderà esclusivamente dal regolamento parlamentare, approvato a maggioranza assoluta dei componenti.
Cosa cambia con i referendum abrogativi?
Tutto invariato tranne il fatto che se a firmare la richiesta di referendum saranno almeno 800.000 elettori, perché la consultazione sia valida basterà che si rechi a votare la metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche. Non è prevista alcuna garanzia di informazione da parte del servizio pubblico nella fase di raccolta delle firme, primo momento dell’esercizio di questo diritto costituzionale. E’ già successo che sia stato affermato, persino in Commissione Vigilanza Rai (1998, sen. Falomi), che la raccolta delle firme è un tema “non notiziabile”.
E i referendum propositivi?
Sono previsti. Le modalità di attuazione sono rinviate a una legge che dovrà essere approvata da entrambe le camere (art. 71 Cost.). Se consideriamo che la legge attuativa dei Referendum, previsti dalla vigente Costituzione, è stata approvata solo nel 1970… non c’è da stare allegri.
Affermare che la riforma amplia gli spazi di democrazia diretta mi sembra avventato, anche perché continua a esistere il quorum per i referendum abrogativi mentre per quelli costituzionali non c’è… Perché?
Quattro gatti possono approvare o affossare una riforma costituzionale, che in ogni caso ha superato due passaggi in ciascuna camera, ma per abrogare una legge ordinaria ci vuole che vada a votare la maggioranza assoluta degli aventi diritto o di coloro che hanno votato alle elezioni politiche.
Misteri costituzionali!