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Scuola pubblica e paritaria

Nel gergo comune si parla di scuole pubbliche e scuole private, ma in realtà ormai da 15 anni – governo Massimo D’Alema e ministro Luigi Berlinguer – la scuola paritaria è considerata parte del sistema pubblico dell’istruzione.

Se da un lato è vero che le scuole paritarie sono tali perché si sottopongono ai programmi del ministero dell’istruzione, dall’altro lato va anche detto che mancano i controlli e le verifiche sui servizi offerti; e questo è un aspetto singolare, anche se ormai ci siamo abituati.

Dal 2000 sono in media circa 500 milioni di euro che ogni anno la finanza statale trasferisce al sistema delle scuole paritarie. Se consideriamo anche i contributi regionali, sommiamo i benefici fiscali, le detrazioni per le erogazioni a istituti paritari senza scopo di lucro, l’accesso al 5 per mille… il costo per la finanza pubblica sale ancora. In definitiva, la somma che a vario titolo si sposta dalle casse pubbliche a quelle delle scuole paritarie è ben superiore ai circa 500 milioni ai quali tanti si fermano.

Per come la vedo io, non è questo però il punto centrale della questione che periodicamente si ripresenta. Da ultimo con la lettera a Renzi, in qualità di presidente del consiglio, sottoscritta da 44 parlamentari della maggioranza (da Binetti a Fioroni, passando per Buttiglione; autentici campioni di laicità e riformismo).

Con la lettera “La parità scolastica diventi una realtà concreta”, pubblicata su Avvenire, i firmatari riaffermano il principio che la scuola paritaria sia parte integrante del sistema pubblico.
Sebbene questo sia un principio divenuto legge, con forzature dovute probabilmente più a calcoli elettorali, rimane in ogni caso un principio discutibile. Davvero l’aspetto di chi amministra e gestisce un servizio è un dettaglio? Davvero per qualificarsi come “servizio pubblico” è sufficiente che il servizio sia aperto al pubblico e conforme alle regole stabilite dalla autorità competente? Un tassista, poiché eroga un servizio pubblico, potrebbe essere destinatario di contributi analoghi a quelli erogati al trasporto pubblico?

Anche questa volta i sottoscrittori della lettera ci assicurano che si tratta del “più importante tentativo di riforma dall’epoca della riforma gentiliana”: insopportabile retorica che sento dal 1968 da tutti coloro che in questo lungo tempo hanno promesso riforme epocali; e ancora una volta il fulcro del ragionamento dei sottoscrittori di questa lettera si basa sul calcolo che ogni alunno costa allo stato circa 6.000 euro per anno scolastico, mentre per gli studenti che scelgono di andare alle paritarie lo Stato ha un esborso inferiore a 500 euro. Sembrerebbe, quindi, un affare colossale per lo Stato favorire lo spostamento degli studenti dalle scuole pubbliche a quelle paritarie. E’ veramente così?

Affermare una cosa simile significa confrontare un costo certo (i fondi trasferiti alle scuole paritarie) con un risparmio tutto da verificare. Infatti, se portassimo gli studenti dalle scuole paritarie a quelle pubbliche, i costi per lo Stato aumenterebbero?

La risposta a questa domanda è abbastanza intuitiva: NO, perché la struttura dei costi del sistema statale di istruzione è per la gran parte composta da spese fisse. Se porto mio figlio nella scuola pubblica, i costi del sistema non aumentano di 6.000 euro e se lo porto via non diminuiscono di 6.000 euro: restano invariati. Perché si verifichi un risparmio per le casse statali occorre che per ogni studente che passa alla scuola paritaria sia individuabile con certezza una riduzione del costo per il personale docente e non docente, per la gestione degli edifici scolastici e degli altri costi connessi.

Peccato che non sia così e se porto via mio figlio dalla scuola pubblica nessuno mi sa indicare quale insegnante costerà meno e quanto si risparmierà per il riscaldamento delle scuole.

Il cavallo di battaglia dei sostenitori della convenienza pubblica a finanziare maggiormente la scuola paritaria è dunque …un cavallo zoppo! Utile per comprendere la rilevanza del costo per garantire la pubblica istruzione rapportandolo a ogni alunno: il metodo statistico del pro-capite aiuta a prendere le misure di un problema, di un fenomeno… ma è arbitrario dedurre che il costo pro-capite moltiplicato per il numero degli studenti che frequentano le paritarie rappresenti il risparmio per la finanza pubblica.

Il risparmio c’è solo se aiutando le scuole paritarie aumenta il numero degli scolari che abbandonano la scuola statale in misura tale da consentire la chiusura di edifici scolastici e la riduzione del personale docente e non docente. In realtà, da quando sono stati introdotti questi contributi pubblici la popolazione scolastica delle paritarie non è aumentata.

Per comprendere meglio, vediamo i numeri della popolazione scolastica.

Le scuole paritarie offrono un servizio a circa 950.000 studenti su una popolazione complessiva di circa 9 milioni.

Una quota pari a circa 250.000 del popolo delle paritarie frequenta le scuole secondarie. Facile comprendere che se spalmassimo questi 250.000 studenti sulle scuole pubbliche non avremmo alcun tipo di costo in più. Si tratta di 250.000 in più su una popolazione di oltre 4.500.000 di studenti che usufruiscono di circa 16.000 istituti: una media inferiore a 20 studenti per istituto. Aumenterebbero i docenti? Avremmo bisogno di altre strutture? Evidentemente, no.

Circa 700.000 studenti delle paritarie frequentano la scuola dell’infanzia (circa 520.000) e la scuola primaria. Gli altri alunni della scuola dell’infanzia e della primaria che utilizzano le scuole pubbliche sono 3.800.000. Se spostassimo gli studenti dalla paritaria alla pubblica, la popolazione complessiva salirebbe a 4.500.000 e al massimo ci sarebbe bisogno di qualche docente in più. Quanti ne potremmo assumere con i 500 milioni che diamo alle scuole paritarie?

Ma se non dessimo un centesimo alle scuole paritarie, non tutti rifluirebbero alle scuole statali. Quindi, è assolutamente certo che lo Stato non guadagna proprio nulla dal favorire l’esodo verso le scuole paritarie. Ciò essenzialmente perché le scuole paritarie non rappresentano e non hanno mai rappresentato una quota rilevante del fabbisogno di istruzione e perché la popolazione delle paritarie è concentrata per oltre la metà sulla scuola per l’infanzia, che non è ancora obbligatoria, mentre sul totale della popolazione scolastica gli alunni della scuola per l’infanzia rappresentano una quota inferiore al 20%.

Il ragionamento proposto dai sostenitori della scuola paritaria è inficiato da un profondo strabismo e da un pregiudizio che impediscono di cogliere le questioni di economia di scala e la dinamica dei costi, restando avvinghiati su un gracile dato teorico che non ha riscontro nella realtà.

Preferibile sarebbe eliminare i contributi alle paritarie e verificare la possibilità di introdurre detrazioni fiscali per le scuole dell’infanzia, possibilmente nell’ambito dell’autonomi fiscale degli enti locali, dai quali sempre più dipende questo servizio pubblico.

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