Si discute di legge elettorale da tanto tempo e con una forte accelerazione negli ultimi giorni grazie all’iniziativa del nuovo segretario del PD, Matteo Renzi.
La sensazione però è che si parli a sproposito, con sintesi approssimative e superficiali sulla sentenza della Corte Costituzionale.
Proviamo a leggere insieme questa sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale (qui in versione pdf ).
La Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale del premio di maggioranza previsto alla Camera poiché “consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008)”.
La Corte aggiunge e chiarisce “Le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo” ma “…le disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea. Risulta, pertanto, palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare…”.
La Corte ribadisce infine che “Le norme censurate… dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente.”
Chiaro il concetto? L’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente si fonda sulla rappresentanza democratica. Profondamente sbagliato quindi tentare di perseguire una riforma di sistema affidandosi unicamente alla legge elettorale che deve necessariamente essere coerente con il sistema istituzionale.
L’apprezzabile obiettivo della governabilità non può mortificare la rappresentanza democratica trasformando una minoranza in una netta maggioranza; ancor più grave a mio avviso questa alterazione sproporzionata della rappresentanza se oltre al premio per la maggiore minoranza si prevede una soglia alta per l’accesso al Parlamento; costringendo così i Partiti ad associarsi, non su basi programmatiche ma per ridurre i rischi dell’esclusione.
La Consulta censura anche il premio previsto per il Senato. Scrive la Corte: “l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo.”
In altri termini, dopo aver sacrificato la rappresentatività in modo abnorme si rischia di compromettere anche la governabilità: compromesso inaccettabile poiché non si raggiunge alcun risultato apprezzabile e si compromette l’intero sistema istituzionale.
La Corte censura inoltre le norme che privano l’elettore del diritto di scegliere i propri rappresentanti. La Corte conferma che il voto espresso dall’elettore “è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti.”
Aggiunge la Corte: “Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che «le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la “presentazione di alternative elettorali” e la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.”
In sintesi: i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale; occorre disciplinare le funzioni attribuite ai partiti, attuare l’art. 49 della Costituzione al fine di favorire l’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica e garantire trasparenza e democraticità nei processi decisionali interni ai partiti.
Rincara la dose la Corte affermando in modo inequivocabile che “Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978).”
Sul punto è stato detto da tanti che la Corte ha espresso una apertura per le liste corte ancorché bloccate. Mi sembrano affermazioni azzardate, dovute forse a sintesi giornalistiche approssimative o a una lettura superficiale e distratta di quanto scrive la Corte.
Scrive infatti la Corte: “In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).”
Analizziamo.
La Corte dice che il sistema Porcellum è incomparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate.
Se i collegi sono piccoli e i candidati pochi c’è la ragionevole possibilità che l’elettore possa conoscere i candidati ma questo non è l’unico elemento richiesto e precisato dalla Corte; infatti, in ogni caso l’elettore non può scegliere il rappresentante poiché
a) non ha scelto i candidati
b) non può votare il candidato che preferisce
c) deve votare solo la lista
Ergo, rimane il fatto che i candidati sono “automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori” e a scegliere nomi e posizioni sono ancora una volta i partiti.
Quindi liste corte o lunghe si riconferma “che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini”, circostanza “che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione”.
Pochi o tanti candidati, resta il fatto che i pochi o i tanti sarebbero eletti in blocco senza alcuna possibilità per l’elettore di favorirne uno sugli altri.
La Corte infatti spiega che i candidati “sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.
Quindi, se i collegi sono grandi ci saranno molti candidati eletti in blocco senza la possibilità di scelta da parte dell’elettore che è stato escluso anche dalla possibilità di selezionare chi candidare; se i collegi sono piccoli e si eleggono pochi parlamentari l’elettore avrà maggiori probabilità di conoscere i candidati ma è sempre escluso sia dalla selezione di chi candidare, prerogativa che resta in mano agli organi direttivi di partito, sia dalla scelta del candidato poiché deve sempre votare una lista e i candidati saranno eletti in base all’ordine di collocazione in lista. Vi sembra che queste considerazioni esposte dalla Corte consentano di affermare che “le liste bloccate se corte non sono incostituzionali“?
In ogni caso, quel che sorprende di più è che nella sentenza della Consulta non c’è alcun elemento di novità: quanto affermato dalla Corte era già stato detto sin dal 2005 e non richiedeva grandi conoscenze giuridiche per giungere alle conclusioni confermate dalla Corte; sufficiente un briciolo di conoscenza della nostra Costituzione e una spolverata di cultura democratica.
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