Il reato di propaganda del regime fascista

Fa discutere la proposta di legge n. 3343, primo firmatario Fiano, attualmente in discussione al Parlamento, relativa al reato di propaganda del regime fascista e nazifascista.

La proposta Fiano aggiunge nel capo II del titolo I del libro secondo del codice penale, dopo l’articolo 293 il seguente art. 293-bis:

“Art. 293-bis. – (Propaganda del regime fascista e nazifascista). – Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”.

I fatti di cronaca ci testimoniano che comportamenti riconducibili alla propaganda o apologia del fascismo sono talvolta puniti e talaltra sono ritenuti non punibili.

Per esempio, la sentenza n. 37577 emessa dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione il 12 settembre 2014 ha confermato la sentenza di condanna per gli imputati ritenuti responsabili del reato previsto e punito dalla Legge 30 giugno 1952, n. 645, articolo 5, “per avere – durante un incontro pubblico tenutosi in memoria delle vittime delle Foibe – compiuto manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, consistenti nell’urlare in coro presente e nel fare il saluto romano”. La Cassazione motiva così la decisione: “E’ stata infatti dai giudici del merito correttamente ricostruita la vicenda, con evidente rilievo non del gesto e delle grida compiuti “in quanto tali” ma in un particolare contesto, ossia durante una pubblica manifestazione in ricordo delle vittime delle foibe, il che costituisce condotta rispondente non solo al modello legale di riferimento ma alla stessa interpretazione adeguatrice testé ricordata. Il fatto che gli altri partecipanti alla manifestazione condividessero – come prospettato – l’ideologia fascista ed il ricorso agli atti simbolici nulla toglie alla pericolosità concreta della condotta, anzi ne rappresenta una conferma, trattandosi di comportamento idoneo a rafforzare una volontà di riorganizzazione tra più soggetti, nè rileva il mancato compimento – durante la manifestazione – di atti di violenza che avrebbero dato luogo ad incriminazioni diverse ed ulteriori”.

Non è, pertanto, il gesto in sé a essere incriminato e punito ma il contesto pubblico in cui tale gesto si compie e la finalità che assume.

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Galeotto fu il libro

Infuriano le polemiche per la distribuzione insieme a Il Giornale del Mein Kampf di Adolf Hitler, mentre passa quasi sotto silenzio l’approvazione del reato di negazionismo.

Ebbene sì, anche l’Italia è entrata nel club dei Paesi che dispongono di una specifica norma penale per punire chi nega una evidenza storica.

Di che si tratta?

Il Parlamento ha apportato modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, aggiungendo il seguente art. 3-bis: “Per i fatti di cui al comma 1, lettere a) e b), e al comma 3, la pena è aumentata se la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6,7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232, tenendo conto dei fatti accertati con sentenza passata in giudicato, pronunciata da un organo di giustizia internazionale, ovvero da atti di organismi internazionali e sovranazionali dei quali l’Italia è membro”.

Per comprendere la portata di questa innovazione legislativa occorre fare riferimento all’art. 3 della legge 654/1975 come modificata dalla legge 205/1993, meglio nota come Legge Mancino, si proprio quella che non si riesce a modificare per introdurre il reato specifico per punire i comportamenti fondati su omofobia o transfobia; sì, proprio quella mancata modifica che il buon Scalfarotto attribuisce al perverso bicameralismo paritario che la riforma Boschi vorrebbe mandare in soffitta.

Vediamo allora l’articolo 3 che è inasprito dal nuovo art. 3-bis

Art.3 legge n. 654/1975 come modificato dalla legge n. 205/1993

Comma1: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito

a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Comma 2: soppresso dalla legge 205/1993

Comma 3: È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

La nuova normativa inasprisce le pene se si nega la Shoah o altro genocidio accertato con sentenza passata in giudicato da un organo di giustizia internazionale. Perché il fatto sia punibile occorre che vi sia la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento.

Però l’art. 3 punisce la sola propaganda e partecipazione ad associazioni aventi “tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Se uno storico scrive un articolo con il quale sostiene che non è mai esistita una volontà di genocidio da parte di Hitler e che i numeri del cosiddetto genocidio vanno significativamente ridimensionati … è punibile? Parrebbe di no.

Una associazione che nel proprio programma sostiene che ciascuno deve stare a casa propria e le frontiere devono essere chiuse a chi non appartiene alla comunità nazionale, tranne i permessi per turismo o per lavoro … istiga all’odio razziale e alla violenza? Direi proprio di no.

Di cosa stiamo parlando, di grazia?

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Omofobia?

omofobia

Per la prima volta in un progetto di legge italiano passa il termine “omofobia”; vedremo se la norma diventerà legge.

Mi riferisco alla revisione della Legge Mancino (L. n. 205 del 25/06/93) che punisce l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; se sarà approvata definitivamente la nuova formulazione della norma, punirà anche i comportamenti fondati sull’omofobia o transfobia.

Un passo avanti ma ho molte perplessità che derivano dalla complessità del nostro sistema giuridico e dalla scarsa attitudine dei parlamentari a occuparsi di diritti delle persone.

Il primo dubbio sorge dall’approvazione di un emendamento che esclude dalla punibilità “la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee… purché non istighino all’odio o alla violenza… assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, ovvero di religione o di culto”.

Non mi risulta chiaro come si concilia questo emendamento con la previsione della legge Mancino che punisce “il solo fatto della partecipazione” a associazioni che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Già mi suscitano perplessità le elencazioni quando discutiamo di reati; se un atto, un comportamento è un reato, le motivazioni possono essere delle aggravanti. Incitare a lanciare sassi da un cavalcavia o sparare sulla folla per il puro gusto di uccidere ma senza alcuna finalità razziale è meno grave della istigazione alla violenza per motivi razziali? Continua a leggere