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Scalfarotto, NO a Rodotà

laico3In tanti si sono chiesti perché il PD non ha sostenuto la candidatura di Stefano Rodotà. Gli eventi politici di questi giorni, culminati con la riconferma di Napolitano, rischiano di finire nel dimenticatoio, perdendo un’occasione per comprendere le vicende politiche.

La politica, infatti, non dovrebbe mai ignorare i conflitti. Vediamo nel conflitto sempre e solo lo scontro. Esaltiamo gli aspetti patologici del conflitto, azzerando il dialogo tra i contendenti. Ma il conflitto offre anche un’opportunità di crescita e di sviluppo. Il conflitto va controllato e gestito per ridefinire la situazione tra le parti. Il conflitto non è solo pericolo, scontro è soprattutto opportunità, può essere quindi costruttivo: tutto dipende da come è vissuto, affrontato e gestito. Occorre però che i “contendenti” parlino, si confrontino, senza pregiudizi e senza la pretesa di dettare le regole del confronto. Mi soffermo sulle dichiarazioni di Scalfarotto, per tanti aspetti non dissimili da quelle di altri autorevoli commentatori (Francesco Verderame, Eugenio Scalfari), perché Scalfarotto è autorevole voce interna al PD essendo vice-presidente dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico nonché parlamentare.

Le motivazioni offerte da Scalfarotto mi hanno sorpreso per la totale mancanza di pregio culturale e politico. Eppure, Scalfarotto è persona capace dotata di sensibilità politica. Allora, perché? Riporto un ampio passaggio dell’intervento di Scalfarotto; chi volesse leggerlo per intero lo trova a questo link http://www.huffingtonpost.it/ivan-scalfarotto/perche-non-ho-votato-rodota_b_3114657.html

Perché non ho votato Rodotà. Ecco cosa spiega Scalfarotto.

La risposta è che la scelta del professore avrebbe senso solo se, in termini politici, essa costituisse la legittimazione e lo “sdoganamento” del M5S nel quadro politico-istituzionale del paese. Se costituisse, in altri termini, l’accettazione da parte di M5S del sistema istituzionale della democrazia rappresentativa, disegnata intorno ai partiti, voluta dai nostri costituenti.

Il problema è che M5S non ha inteso proporre Rodotà a questo scopo. La scelta del candidato Rodotà non significa che il movimento di Grillo ha accettato la responsabilità che deriva dall’essere diventato un protagonista della nostra vita parlamentare. Rodotà è stato scelto solo per essere arrivato terzo alle “quirinarie” e per il fatto che Gabanelli e Strada hanno rinunciato. Non è un’idea che si vuole condividere, ma solo un’altra proposta “prendere-o-lasciare” che non risponde a un pensiero di costruzione di un sistema comune, ma impone al parlamento la combinazione, piuttosto casuale, dell’esito di una competizione online.

Attenzione: non parlo di fare un governo insieme, parlo di stabilire un rapporto di rispetto e riconoscimento reciproco e di collaborazione istituzionale, come avviene tra tutte le forze politiche in tutti i parlamenti democratici del mondo. M5S vuole invece superare il sistema parlamentare come lo conosciamo, sostituendolo (dice Grillo) con un parlamento monopartitico e con un sistema di democrazia diretta che decide in modo men che trasparente.

La candidatura di Rodotà per come è nata e per come è stata proposta - al di là del suo straordinario profilo - è politicamente uno dei frutti di questo progetto. Votandolo, si vota non solo il candidato, ma si finisce anche con il sostenere quell’idea.

Con molta franchezza, le parole di Scalfarotto confermano che non basta mettere insieme, in modo più o meno sensato e grammaticalmente corretto, un po’ di parole per esprimere un pensiero, un concetto, un’idea. Nelle parole di Scalfarotto trovo solo inconcludenza parolaia. Procedo per punti schematici.

1) Legittimazione e sdoganamento del M5S. Il M5S è pienamente legittimato negli stessi termini in cui lo sono gli altri partiti per aver partecipato alla stessa competizione elettorale con le stesse regole. La legittimazione discende da ciò e dal consenso ottenuto. Non serve altro. Scalfarotto non ha il diritto di supporre che serva qualcosa per legittimare o sdoganare il M5S; o vuole fare ad altri ciò che fu fatto nei confronti del PCI?

2) Democrazia rappresentativa, disegnata intorno ai partiti, voluta dai nostri costituenti. Ribaltamento della realtà. Per Costituzione, articolo 49, i partiti sono strumenti organizzativi nelle mani dei cittadini per concorrere democraticamente al dibattito politico. La democrazia rappresentativa per i Costituenti era costruita intorno ai cittadini e non intorno al Partito, che ben presto prese le forme di una associazione privata senza alcun vincolo di rispetto delle regole democratiche. Ricordo che nell’ultima legislatura giacevano in parlamento progetti di legge per “l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione” e questo punto è presente nel programma bersaniano. I Costituenti non seppero trovare un punto di sintesi più elevato, oltre il generico enunciato dell’articolo 49, e così aprirono la strada alla degenerazione partitocratica e quindi alla oligarchia partitocratica: unica vera e onesta definizione del nostro sistema istituzionale.

3) Rodotà… non risponde a un pensiero di costruzione di un sistema comune, ma impone al parlamento la combinazione, piuttosto casuale, dell’esito di una competizione online. E allora? Con un sistema legittimo, tanto quanto quello di decidere in una riunione di partito (come è stato fatto per Marini e Prodi), il M5S ha individuato una rosa di personalità da offrire a tutti come candidati su cui convergere. Personalità gradite al movimento, messe in ordine di preferenze raccolte. Per indisponibilità dei primi due, la scelta è caduta sul terzo, Stefano Rodotà che guarda caso, che culo!, è persona della sinistra italiana da lunghi decenni. Quale pensiero di costruzione di un sistema comune può esistere laddove non ci sono auto-candidature e programmi? L’unica auto-candidatura della storia repubblicana, quella di Bonino, è sempre stata ignorata dal sistema politico. Allora, di cosa parliamo? Di quale sistema comune si disquisisce? L’elezione del Presidente della Repubblica è frutto di una decisione concertata tra i maggiorenti dei partiti senza alcuna trasparenza e rappresentazione del “sistema comune” che con quella elezione si intende realizzare o rafforzare. Il Presidente della Repubblica non è eletto sulla base di un programma politico. Intorno a questa figura istituzionale non c’è una “costruzione di sistema comune” ma il riconoscimento di una storia politica o di un equilibrio politico. Così è stato per Pertini, Cossiga, Ciampi… per fare qualche nome. E la storia di Rodotà, da sempre attento ai diritti e alla lettura della Costituzione come ispiratrice di un continuo allargamento del fronte dei diritti, era perfetta in un momento come questo dove da un lato i diritti sono scomparsi dall’agenda politica e dall’altro si è smarrito lo spirito costituente.

4) Parlamento monopartitico. Condivisibile preoccupazione, ma non dovremmo ignorare che si tratta di un prodotto della degenerazione dei “partiti personali” a cui assistiamo da molto tempo. La Repubblica è nata dalla fine del Partito di Stato e si è trasformata ben presto nello Stato dei Partiti. Ciascun segretario di partito in base ai voti raccolti può contare su un numero variabile di rappresentanti. Perché i parlamentari nascono come “rappresentanti dei partiti” e nulla più. Ogni candidato è scelto dal proprio partito; entra in Parlamento in virtù dei voti raccolti dal Partito poi, una volta eletto, è libero di fare quel che vuole. Non mi sento rappresentato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari non perché la pensano diversamente da me ma perché non sono stati scelti dagli elettori. Se al posto di un parlamento formato da un pugno di “leader”, ciascuno con il proprio seguito di delegati, ipotizzassimo un parlamento formato da tante persone che rappresentano il popolo senza mediazione dei partiti, che male ci sarebbe? Si tratta di due ricette povere, pericolose, dal basso contenuto democratico. I Partiti hanno intasato le Istituzioni con persone squallide, servili, inconsistenti, incapaci… eppure avevano la possibilità di selezionare il meglio della società italiana. Gli squallidi presenti in parlamento rappresentano i Partiti di cui parla Scalfarotto, nel modo in cui Scalfarotto & C. hanno deciso che si formi il Parlamento, operando una forzatura della Costituzione con una legge in odore di incostituzionalità. A proposito, la Corte Costituzionale può esprimersi sulla costituzionalità del porcellum? Scalfarotto, rifletta anche su questo. La democrazia è una parola impegnativa molto abusata.

5) La candidatura di Rodotà per come è nata e per come è stata proposta - al di là del suo straordinario profilo - è politicamente uno dei frutti di questo progetto. Votandolo, si vota non solo il candidato, ma si finisce anche con il sostenere quell’idea. Qui Scalfarotto tocca il fondo del suo non-ragionamento. Le motivazioni alla base di una candidatura alla presidenza della Repubblica non si trasferiscono al candidato perché

a) non c’è un programma alla base di questa candidatura

b) non c’è l’accettazione di un programma

c) non c’è alcun modo di condizionare l’eletto presidente che non ha necessità di cercare il consenso o l’approvazione delle sue decisioni.

Si aggiunga che la storia di Rodotà è lontana mille miglia da quel pensiero politico che ha proposto la sua candidatura ed è assurdo pensare che per privare una parte politica di una prestigiosa personalità sia sufficiente che gli avversari candidino quella persona a qualcosa. Se fosse stato il PDL a proporre Prodi, ciò avrebbe significato un obbligo a sostenere il programma del PDL? La serietà non dovrebbe essere un optional. Infine, la storia ci aiuta a comprendere. Oscar Luigi Scalfaro fu il candidato di Pannella, in un momento drammatico della storia repubblicana. Fu forse Scalfaro il presidente succube di Pannella? Si appollaiò sulle gambe di Pannella, per riprendere le parole di Verderame? Neanche per sogno. Qualsiasi ragione porti alla elezione di un Presidente, questa non è minimamente in grado di condizionarne le scelte.

Né l’elezione del Presidente può essere la prefigurazione di un governo prossimo venturo o un impegno a sottoscrivere il programma del partito che propone la candidatura, come con insolita inconsistenza afferma Scalfari. Se questa tesi fosse stata vera nel caso il PD avesse sostenuto la candidatura di Rodotà, allora bisogna concludere che il sottostante alla candidatura di Marini, concordata col PDL, era il governo di “larghe intese”, come tanti sospettarono, nonostante le rassicurazioni di Bersani, decidendo di affossare quella candidatura.

In ogni caso, è una forzatura subordinare l’elezione del Presidente della Repubblica ad accordi di governo perché i “governi del Presidente” non esistono, sono banali formule giornalistiche che creano le condizioni culturali per offrire a qualcuno l’opportunità di gridare al GOLPE. Il presidente può con la propria intelligenza, sensibilità e autorevolezza individuare una personalità alla quale affidare l’incarico di formare il governo, ma spetta al Parlamento dare o non dare la fiducia. Il governo Monti era un governo parlamentare a tutti gli effetti e i partiti che lo hanno voluto e sostenuto hanno avuto la totale responsabilità politica dell’operato di quel governo. Affermare il contrario significa alimentare, giustificare e legittimare le contestazioni grilline. Se l’elezione del Presidente fosse minata da un accordo di governo verrebbe meno quella funzione di garanzia che l’Istituzione presidenza della Repubblica deve garantire. Trovo comico che si parli di golpe o golpino, ma trovo drammatiche le voci dei tanti scandalizzati per le proteste grilline.

Allora, perché non era condivisibile la candidatura di Rodotà?

Credo che la ragione vera sia che il Partito Democratico non vuole affrontare il tema dei diritti civili e della laicità delle leggi e delle istituzioni per non urtare la componente “clericale” interna al partito. Probabilmente non era il momento opportuno per affrontare questo tema spinoso, ma possibile che non sia mai il momento? Dai tempi del divorzio, che rischiava di spezzare “l’unità dei lavoratori”, non è mai il momento di parlare di diritti civili e riorganizzazione della società intorno al pluralismo culturale e alla libertà individuale di rapportarsi ai problemi della vita.

Credo che in queste incapacità di sintetizzare culture e sensibilità diverse vadano cercate le ragioni del mancato sostegno a Rodotà, candidatura che certamente avrebbe fatto emergere divisioni nel PD, ma d’altra parte anche Marini e Prodi era risaputo che avrebbero creato divisioni. Perché allora il PD è arrivato a questo importante appuntamento in modo così impreparato e dilettantesco? Quali e quanti sono i problemi di cui non si deve discutere per non creare divisioni? Esiste nel PD una identità, un progetto politico, un’idea di che futuro vogliamo costruire per questo Paese?

Possiamo girare la testa dall’altra parte e decidere di non vedere e sentire; oppure, possiamo decidere di affrontare i problemi per crescere, maturare e far crescere il Paese.

2 thoughts on “Scalfarotto, NO a Rodotà

  1. Mi sembra che ci sia fin troppa intelligenza in questa interpretazione del “non Rodotà”.
    La verità purtroppo sono da cercare nelle liti dell’asilo. Non l’abbiamo proposto noi e non va bene, uffa!!!!

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    • Grazie, ma ritengo che l’intelligenza non sia mai troppa. I comportamenti di chi ha detto “no a Rodotà” sono senza dubbio infantili e ciò si riflette nella qualità delle motivazioni offerte nelle quali, appunto, domina l’infantilismo ma le ragioni che producono questi comportamenti sono purtroppo più profonde e vanno cercate nell’inconcludenza e nell’incapacità di affrontare i problemi. Dall’asilo si può passare alle elementari e poi su fino all’università… dall’infantilismo è difficile uscire se le persone non decidono di crescere e divenire adulte.

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