Dopo la forte spinta federalista, inaugurata con la riforma costituzionale del 2001, si torna indietro.
Le motivazioni più gettonate per spiegare questo ritorno al passato sono: il federalismo ha prodotto contenzioso tra Stato e Regioni (che peraltro la riforma non risolve) e ha reso impossibile decidere sulle grandi questioni nazionali; le Regioni non sono state all’altezza del compito, facendo scempio di risorse pubbliche e degenerando in sistematici comportamenti truffaldini e criminali.
Perché il federalismo ha fallito?
Perché le Regioni sono in breve divenute tra gli Enti politico-amministrativi meno amati?
Perché in questi decenni le Regioni sono al centro della sistematica attività criminale intrecciata con la politica o con lo sperpero di ingenti risorse pubbliche?
Se tentiamo di dare una risposta a questi interrogativi, registriamo che l’atteggiamento prevalente è sempre lo stesso: promuovere un cambiamento senza indagare le cause che hanno prodotto il risultato indesiderato.
Sul finire del secolo scorso si affrontò l’antico tema del decentramento e del federalismo sulla scia della crescita elettorale della Lega.
La Lega ha costruito il proprio successo sul motivato scontento verso lo Stato centralista e la burocrazia parassitaria, espressione delle volontà del governo centrale. Ha denunciato lo spreco di risorse per fini clientelari, la crescita elefantiaca della pubblica amministrazione e delle aziende monopoliste, le connivenze con la criminalità organizzata per il controllo totale del territorio… Tutte denunce portate avanti più con la pancia che con la testa.
Si giunse così in modo frettoloso a una riforma dei rapporti tra Stato e Regioni; probabilmente pesò anche l’interesse politico di scongiurare l’alleanza della Lega con il centro-destra, cosa che puntualmente si verificò, nonostante nel ’94 la Lega avesse rotto l’alleanza con “il mafioso di Arcore”, contribuendo alla fine ingloriosa del primo governo Berlusconi.
L’urgenza elettorale prevalse sulla esigenza di mettere mano in modo ponderato ai rapporti tra Stato e Enti Locali … ed eccoci qui a distanza di pochi anni a riformare quanto già riformato. Ma sarebbe ingiusto attribuire solo alla fretta la causa del fallimento della svolta federalista.
Prima di archiviare il centralismo statale occorreva comprendere quali fossero stati i meccanismi che avevano reso possibile la degenerazione dello Stato centrale.
Se si trasferiscono i poteri dal centro alla periferia, senza aver rimosso e superato le cause della degenerazione, otterremo come unico inevitabile risultato che ogni singola regione, provincia, comune… rischierà di divenire “degenerato” tanto quanto lo era lo Stato centralista.
Avremo moltiplicato i centri di corruzione e di clientelismo.
Abbiamo decentrato senza intervenire sui meccanismi decisionali dello Stato centrale, sulla trasparenza nella selezione del personale politico e nei processi decisionali; non sono stati potenziati i sistemi di controllo anche al fine di spezzare i legami tra finanza e politica, tra gestione delle imprese pubbliche e politica d’indirizzo, tra res publica e connivenza con la criminalità organizzata. In breve, le logiche predatorie tipiche dello Stato centralista sono diventate il modus operandi degli enti locali.
Siamo passati da un centralismo malato a un federalismo malato. Nessuna discontinuità con la lunga storia della Repubblica rappresentata da “Roma ladrona”.
La degenerazione avvenuta dal centro alla periferia è plasticamente rappresentata anche dalla vicenda interna alla Lega, alla gestione di Bossi, ma anche dell’intero gruppo dirigente che non ha visto e sentito nulla fino all’esplosione dei casi che hanno occupato le cronache politiche per lungo tempo.
Il nuovo che avanzava ha contribuito al saccheggio delle casse pubbliche e si è sommato ai precedenti “ladroni”, replicando le stesse logiche predatorie fondate su lottizzazione e clientelismo.
Abbiamo ancora una dimostrazione che non serve additare il colpevole (lo Stato centralista) senza porre rimedio alle tante storture che hanno permesso alla Stato centralista di divenire il centro e l’attivatore di un sistema organizzato di corruzione e complicità con la criminalità organizzata.
Le storture hanno un nome: familismo, clientelismo, corporativismo, lottizzazione.
Il gruppo dirigente italiano si è esercitato nel corporativismo e nel clientelismo, fagocitando tanti nello scempio della cosa pubblica, corrompendo ampi strati della popolazione, che ha finito per accettare logiche illegali e immorali per vivere e talvolta solo per sopravvivere.
Il controllo del territorio, mediante nepotismo, familismo, corporativismo e lottizzazione, serve ad alterare i meccanismi di creazione del consenso.
Queste pratiche indecenti di spartizione territoriale del potere sono il pilastro della cultura mafiosa e camorrista e si tratta di pratiche diffuse tanto al nord quanto al sud.
Controllare una Asl significa mettere il becco in chi fornirà servizi di manutenzione, forniture ospedaliere, smaltimento dei rifiuti pericolosi… Appalti, appalti, appalti. Fiumi di denaro. Moltiplichiamo ciò per ogni ambito controllato dalla politica: aziende pubbliche e partecipate, trasporti, rifiuti, fondazioni bancarie, scuole, lavori pubblici…
Questi metodi di gestione del potere hanno reso più permeabili le Istituzioni alle lobby criminali e con il federalismo abbiamo decentrato anche il clientelismo e le logiche spartitorie.
Adesso possiamo anche fare marcia indietro, ma non abbiamo risolto alcun problema. Sarebbe solo la rivincita dei potentati centrali che riportano sotto il proprio controllo i potentati locali. E ricomincia un nuovo ciclo.
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