Berlusconi o Di Maio?

Berlusconi o Di Maio?

Domanda imbarazzante? No, fuorviante e ingannevole.

Nel nostro sistema parlamentare non ci troviamo nella condizione di dover scegliere tra A e B; può piacere o non piacere ma è così. Mai ci siamo trovati in questa situazione perché nessun governo della Repubblica è stato eletto dai cittadini e mai i cittadini hanno votato il candidato premier disgiuntamente dalle liste di partito (vedi modello elettivo per i sindaci).

Porre, quindi, queste alternative equivale a rafforzare una percezione distorta della realtà politica e istituzionale: si offre una lettura politica in cui l’immaginazione e la messinscena prevalgono sulla realtà.

Continuare a proporre una contrapposizione tra due soggetti, come fossimo allo showdown, non aiuta a comprendere la realtà e a favorire il corretto confronto tra le forze politiche.

Il nostro sistema di governo è di tipo parlamentare: gli elettori scelgono i propri rappresentanti politici e questi dovranno trovare il comun denominatore per costituire una maggioranza e sostenere un governo, che nasce in Parlamento. Continua a leggere

Perché ci vuole la preferenza

Il primo comma degli articoli 56 e 58 della Costituzione specifica che il voto deve essere “DIRETTO”, tanto per la Camera quanto per il Senato.

Che significa “diretto”?

Significa che gli elettori con il voto legittimano gli eletti a esercitare il potere legislativo in rappresentanza del popolo sovrano. Con il voto avviene il trasferimento di sovranità dal popolo (art. 1 Cost.) agli eletti che rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato (art. 67 Cost.).

Con il voto, per Costituzione, l’elettore sceglie i propri rappresentanti e non concede una delega a una associazione, a un movimento, patronato o sindacato … Se succedesse ciò non saremmo in un regime democratico ma in un regime partitocratico realizzando il passaggio dal Partito Stato allo Stato dei Partiti.

Il referendum del 1991, spesso impropriamente e semplicisticamente ricordato, non ha abolito la preferenza ma ridotto il numero delle preferenze a UNA  soltanto.

Non è mai esistita una proposta referendaria per abolire tout court la preferenza anche perché già nel 1975 la Corte Costituzionale con sentenza n. 203 aveva sancito che i Partiti nel decidere autonomamente l’ordine di presentazione dei candidati nelle liste  “non ledono affatto la libertà di voto del cittadino, il quale rimane pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza”.

Guarda caso, questa sentenza è stata richiamata dalla Corte anche nella sentenza n. 1/2014 relativa al porcellum, ma il dato sfugge alla gran parte dei distratti commentatori che citano questa sentenza (chissà se l’hanno letta!).

Le condizioni stabilite dalla nuova legge elettorale sono “tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978)”.

In sostanza, ancora una volta le norme di questa nuova legge “escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti.” (Corte Costituzionale, sentenza n. 1/2014).

Non dimentichiamo che ancora una volta la Corte ha sollecitato le forze politiche alla attuazione dell’art. 49 della Costituzione. Infatti, scrivono i Giudici che le funzioni dei partiti devono, “essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.” Mentre “Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti”.

Non solo l’elettore non può scegliere tra i candidati ma non può nemmeno contribuire alla selezione di chi candidare.

Il fatto che le liste siano corte e quindi con pochi candidati, non risolve minimamente il problema perché il voto avrà sempre degli effetti diversi da quelli espressi dall’elettore: se vota il candidato uninominale vota anche le liste collegate e se vota una lista il voto è valido anche per l’elezione del candidato uninominale; inoltre, il voto ovunque dato può determinare l’elezione di altri candidati in altri collegi perché il voto non esaurisce i propri effetti nel collegio in cui è stato espresso: entra in un totalizzatore nazionale e poi i seggi saranno assegnati in base alla classifica nazionale dei candidati di ciascuna lista.

Il numero ridotto dei candidati di ogni lista presentata in ciascun collegio favorisce la conoscibilità degli stessi ma questo non è sufficiente a rendere la normativa conforme alla Costituzione perché il voto deve espressamente essere DIRETTO e, come minimo,  occorre che con il voto l’elettore contribuisca a eleggere esclusivamente quel gruppo ridotto di candidati che ha espressamente votato. Invece, ciò  non succede sia perché c’è sempre lo slittamento del voto dalla lista al candidato uninominale e viceversa, sia perché il voto entra in un totalizzatore nazionale e può determinare l’elezione di altri candidati di altri collegi.

Il porcellum rosatellum non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito o un candidato uninominale con effetto strascico sulle liste collegate, la cui composizione è rimessa ai partiti, rende il voto sostanzialmente “indiretto, ma i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e l’art. 67 della Costituzione presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori.

I partiti non possono sostituirsi agli elettori

Lo straniero

Lo straniero: ospite o nemico.

Da sempre così è percepito il “forestiero” e ancora oggi siamo invischiati in questo dualismo, appena appena aggiornato.

Da tempo, infatti, il confronto è tra accoglienza e respingimento.

Da questo conflitto non riusciamo a venirne fuori perché diamo molta importanza all’aspetto dello scontro, che esiste in ogni conflitto, e poca alle opportunità che ogni conflitto ci offre.

Opportunità di riconsiderare priorità, bisogni, aspettative, diritti, doveri, equilibri …

La storia dell’umanità è storia di migrazioni, spesso ostili. Così cadde l’impero romano sotto la pressione dei “barbari” … e la storia prese un nuovo corso.

Allo stesso modo, le esplorazioni hanno portato a nuovi rapporti con civiltà sconosciute, ma non era solo il desiderio di scoperta che muoveva gli esploratori. Dietro c’erano interessi economici, avventurieri, popoli e territori da colonizzare … E questo andazzo è proseguito sino a ieri e, sotto forme più economiche e meno militari, prosegue tuttora in tante parti della palla terrestre.

Oggi, dovremmo chiederci cosa porta così tante persone a rischiare la vita pur di approdare nel vecchio continente europeo.

Possiamo impedire l’approdo delle imbarcazioni, non consentire alle navi di soccorso delle ONG di entrare nelle acque territoriali dei paesi da cui partono gli immigrati o persino di raggiungere i nostri porti … ma sarebbero palliativi inadeguati a risolvere il problema.

Probabilmente fermeremmo temporaneamente il flusso provocando poi un’onda anomala che ci investirebbe inesorabilmente.

Quel che sta succedendo è, in fondo, la conseguenza del successo del nostro modello consumistico-produttivo che abbiamo esportato in tutto il mondo.

Esportazione che si è sempre accompagnata con politiche predatorie, violenze e sopraffazioni …

Va quindi trovato un nuovo equilibrio, che non ignori i tanti errori del passato lontano e recente, rispettoso dei diritti umani e della assoluta necessità di pacifica convivenza. Continua a leggere

ANCORA UN PARLAMENTO DI NOMINATI

Se la nuova scellerata legge elettorale  denominata “alla tedesca”, come se qualcosa diventi rispettabile solo con una fasulla etichetta per attestarne la provenienza, se questa nuova “legge suina” fosse approvata così come è stata presentata, avremmo un nuovo Parlamento al 100% di nominati.

Una evidente legge incostituzionale che, se fosse approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica, certificherebbe l’inadeguatezza di Sergio Mattarella a ricoprire la carica che ricopre.

L’elettore sarebbe privato in modo totalitario della possibilità di scegliere i propri rappresentanti.

In questa legge di tedesco non c’è nulla; persino la soglia del 5% è stravolta.

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Perché trasferire l’italicum al Senato è una pessima ipotesi

Schematicamente, qualche considerazione sulla proposta di trasferire l’Italicum al Senato.

Si tratta di una pessima ipotesi perché

1) la partita sul capolista bloccato e sul premio è ancora aperta, anche alla luce della prima sentenza, la n. 35/2017, che non ha censurato questi aspetti perché riguardo al capolista bloccato “così formulata, la questione non è fondata” e riguardo al premio per “insufficiente motivazione

2) il premio non garantirebbe la governabilità poiché potrebbe scattare in un ramo del parlamento e non nell’altro; sarebbe quindi una irragionevole compressione della rappresentatività che violerebbe il principio del minor sacrificio possibile

3) introdurre al Senato un premio a livello nazionale espone a nuove pesanti censure da parte della Corte costituzionale, considerato il primo comma dell’art. 57 della Costituzione: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

4) prevedere al Senato un premio su base regionale ci riporta nella esatta situazione del Porcellum, già censurata dalla Corte costituzionale; infatti, il premio su base regionale “produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea” (sentenza n. 1/2014 Corte Costituzionale).

5) ammesso che si trovi una soluzione coerente con la Costituzione per assegnare al Senato il premio sulla base del risultato nazionale, potrebbe verificarsi che in ciascuna camera il premio sia conquistato da forze politiche differenti, considerato anche il diverso elettorato delle due camere. Per esempio, nel 2013 alla Camera il primo partito fu il M5S, al Senato invece al primo posto arrivò il PD

6) qualcuno suggerisce che il rischio – amplificato dal premio – delle maggioranze differenti potrebbe essere eliminato con una norma che fa scattare il premio solo se è la stessa lista a conquistarlo in entrambe le camere; una simile soluzione presenta diversi profili di incostituzionalità; il più evidente è che contrasterebbe con l’art. 88, vale a dire, la possibilità che il Presidente della Repubblica possa sciogliere anche una sola camera.

 

L’Italicum, la legge più bella del mondo, ha fallito prima ancora di essere applicata e nuovi problemi potrebbero sorgere per effetto di altri ricorsi … non sarebbe opportuno che il Parlamento ne prendesse atto e iniziasse a legiferare in modo responsabile?

L’obiettivo di garantire la “governabilità” unicamente attraverso la legge elettorale dimostra la scarsa cultura politica e istituzionale che caratterizza la maggioranza dei parlamentari.

L’Italicum e la Corte: le motivazioni

Da quando la Corte Costituzionale con la sentenza n. 35/2017 si è espressa al riguardo di alcuni ricorsi presentati sulla legge elettorale nota come Italicum si leggono e si sentono commenti che ondeggiano dai toni trionfalistici – di chi è stato sostenitore dell’Italicum – allo sconforto tra chi ha sempre avversato questa legge elettorale.

Entrambi gli atteggiamenti denotano scarsa comprensione del ruolo della Corte Costituzionale. Scarsa comprensione dovuta a disonestà intellettuale – quando i commenti provengono da navigati politici e giornalisti e persino da docenti universitari – e a ignoranza, quando a commentare è la vittima inconsapevole della disinformazione di massa, vale a dire il comune cittadino.

Semplificando, possiamo riassumere l’atteggiamento più diffuso tra i trionfalisti in una lettura della sentenza della Corte come approvazione del premio di maggioranza e del capolista bloccato; mentre tra chi esprime sconforto c’è la convinzione che quella della Corte sia stata una sentenza politica, nel senso deleterio del termine.

Appare necessario evidenziare che la Corte Costituzionale non risponde mai a una domanda generica del tipo “è conforme alla Costituzione la previsione del premio di maggioranza?” ma risponde alle argomentazioni illustrate dai ricorrenti per sostenere l’incostituzionalità di una norma; per essere ancora più precisi risponde alla ordinanza di un Tribunale che argomenta sul perché ritiene non manifestamente infondati i motivi di incostituzionalità presentati dal ricorrente. Non tutte le argomentazioni sollevate dai ricorrenti arrivano dunque alla Corte Costituzionale e ciò che arriva è filtrato da un Tribunale.

Quando la Corte Costituzionale respinge un ricorso su un aspetto specifico di una legge possiamo con certezza affermare che la Corte non ritiene valide le argomentazioni sollevate dal Tribunale sulla base del ricorso di un ricorrente ma non si può affermare che quella norma sia conforme ai principi della Costituzione. Un nuovo ricorso, meglio argomentato, potrebbe ribaltare il responso perché non è mai la norma a essere promossa ma è l’argomentazione contro una norma a essere respinta.

In altre parole, le argomentazioni presentate non sono state ritenute dalla Corte valide per dimostrare l’incostituzionalità della norma.

Entriamo nel dettaglio e cominciamo dalla questione più spinosa: il premio di maggioranza.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 1/2014 relativa al cosiddetto Porcellum aveva censurato il premio per la Camera e quello per il Senato sulla base di due argomentazioni ben precise: il difetto di proporzionalità e l’irragionevolezza delle norme elettorali.

Infatti, mancava un tetto minimo di voti da raggiungere per aggiudicarsi il premio e quindi la legge elettorale produceva una compressione illimitata della rappresentatività per perseguire un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese”.

Passando dal premio alla Camera a quello per il Senato, i giudici osservarono che non solo la disciplina esaminata non superava il test di proporzionalità ma era evidente “l’inidoneità della stessa (disciplina) al raggiungimento dell’obiettivo perseguitopoiché “produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea”.

Queste considerazioni sono perfettamente applicabili anche all’Italicum: bastava utilizzare questo argomento per far decadere il premio previsto alla Camera ma non al Senato.

A cosa serve alterare la rappresentatività alla Camera in modo anche significativo, stante il modello proporzionale sottostante al sistema elettorale, se tutto ciò non consente di raggiungere l’obiettivo della stabilità di governo dal momento che al Senato il premio non è previsto?

Immaginate un partito che alla Camera prende il 40%+1 dei voti validi e un altro partito che invece si ferma al 40%; il primo avrebbe 340 deputati su 618 e il secondo si fermerebbe a 190 circa per l’effetto distorsivo del premio, ma al Senato pur in presenza della stessa distribuzione dei voti il partito che può contare sulla maggioranza assoluta alla Camera non avrebbe la maggioranza al Senato.

Il premio è inidoneo a garantire il risultato della stabilità di governo, in nome della quale è stato compiuto il sacrificio di altri interessi e valori costituzionalmente protetti, per riprendere le parole della Corte (sentenza n. 1/2014).

La censura del premio previsto dall’Italicum era già scritta … se solo fosse stato utilizzato questo argomento. Ma non è successo e le norme per Camera e Senato in riferimento alla governabilità sono state contestate solo assumendo l’argomento che sarebbe pregiudicata la governabilità per via delle diverse soglie di sbarramento previste per la Camera e per il Senato.

A tal proposito la Corte nella sentenza n. 35/2017 scrive “così formulata la questione è inammissibile, per insufficiente motivazione”.

E aggiunge “(Il rimettente) non illustra, tuttavia, le ragioni per cui sarebbero le diverse soglie di sbarramento, e non altre e assi più rilevanti, differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera), ad impedire, in tesi, la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento”.

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Le leggi elettorali

In Italia la legge elettorale è costantemente al centro delle lotte politiche.

Non c’è alcuna legge che sia stata oggetto di tanti referendum come la legge elettorale.

Nessun Paese ha nel giro di 23 anni approvato tre sistemi elettorali nazionali … apprestandosi a varare il quarto sistema senza nemmeno aver applicato il terzo.

Il sistema dei partiti ha subito l’iniziativa popolare referendaria ma c’è stato un giorno, il 18 aprile 1993, in cui gli italiani hanno deciso che il loro voto doveva “contare di più”: non solo voto di rappresentanza ma anche scelta di un programma politico la cui realizzazione fosse nelle mani dei rappresentanti eletti, se ottenevano i consensi necessari.

Con il proporzionale, perché un partito possa realizzare il programma su cui chiede il consenso, è necessario che ottenga la maggioranza assoluta dei voti; solo nel 1948 con “appena” il 48,5% dei voti la DC ottenne la maggioranza assoluta dei seggi.

Con il maggioritario, invece, è sufficiente che un partito prevalga nella maggioranza assoluta dei collegi e in caso di prevalenza avrà i numeri per realizzare il proprio programma senza dover subire alleanze.

Il voto referendario non poteva scegliere un preciso sistema elettorale, ma ha indicato una direzione: creare le condizioni per un sistema di alternanza di governo.

Quella alternanza che era sempre mancata perché gli elettori potevano scegliere tra l’area di governo e l’opposizione nella consapevolezza che non c’era alcuna alternativa al governo incentrato sulla DC, anche per volontà espressa dal maggior partito di opposizione.

La svolta maggioritaria del 1993 fu voluta da circa 29 milioni di elettori su 35 che espressero un voto valido.

Il Parlamento avrebbe dovuto scrivere una legge elettorale “sotto dettatura”, come ammonì il presidente Scalfaro; invece scrisse una legge che mescolava maggioritario e proporzionale. Nacque un sistema misto, complesso e contorto, che aveva la finalità di estromettere le ali, soprattutto Lega e MSI, per favorire la convergenza tra gli eredi del PCI e della DC, nel caso nessuno avesse i numeri per costituire in autonomia una maggioranza di governo.

Quel progetto fallì per la “discesa in campo” di Berlusconi che portò alla sconfitta della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto.

Oggi ci apprestiamo a tornare al voto, ancora una volta con un sistema pasticciato perché il sistema politico si dimostra incapace di intervenire sulla materia elettorale in modo efficace e semplice. Ciascuna parte, di volta in volta al Governo, ha inseguito il proprio interesse e così ci ritroviamo tanto alla Camera quanto al Senato con leggi disomogenee, persino contrastanti e modificate dagli interventi della Corte Costituzionale … e altri interventi potranno a breve intervenire.

E’ utile ricordare che la Corte Costituzionale non verifica una legge ma le sole questioni di legittimità costituzionale che i ricorrenti propongono nei confronti di specifici aspetti di una legge e che un Tribunale ha ritenuto “non manifestamente infondata” e quindi “rimessa alla Corte Costituzionale per la sua decisione”.

Le diapositive allegate descrivono i diversi sistemi elettorali partendo dalla Legge Acerbo del 1923 e giungendo all’Italicum, la legge voluta fortemente da Renzi.

I maggiori partiti italiani – unici nel panorama europeo – si sono innamorati dei premi di maggioranza per trasformare una minoranza in maggioranza assoluta illudendosi così di poter conseguire la stabilità ma in realtà stabilizzando il potere della oligarchia partitocratica e dei comitati d’affari.

Nessun premio di maggioranza potrà portare alla stabilità del Governo se inserito in un sistema privo di qualsiasi forma di vincolo e di regole per i cambi di maggioranza.

Il premio di maggioranza è manifestamente irragionevole perché in contrasto con l’esigenza di assicurare la governabilità, in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra forze politiche al solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il rischio che, anche immediatamente dopo le elezioni, il cartello elettorale beneficiario del premio possa sciogliersi, o uno o più partiti che ne facevano parte esca dallo stesso.

Avremo con certezza alterato profondamente la rappresentatività del Parlamento senza aver raggiunto l’obiettivo della governabilità.

La legge elettorale è lo strumento di cui noi cittadini dovremmo avvalerci per scegliere i nostri rappresentanti … Forse è opportuno capire come funzionano queste leggi e fare quanto in nostro potere per evitare che ancora una volta i legislatori usurpino la nostra sovranità imponendoci i loro rappresentanti.

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I sistemi elettorali

L’Italia si trova dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso in transizione dal vecchio sistema della cosiddetta prima repubblica a un nuovo indefinito sistema della seconda repubblica, il cui atto di nascita sarebbe la legge elettorale del 1993, nota come Mattarellum.

Stiamo ancora vagando alla ricerca di un sistema elettorale che contribuisca a dare stabilità al sistema politico, perché come afferma il Codice di buona condotta in materia elettorale, elaborato dalla Commissione di Venezia nell’ambito del Consiglio d’Europa, la stabilità del sistema elettorale è cruciale per la credibilità dell’intero sistema democratico.

Entro febbraio 2018 voteremo per il rinnovo del Parlamento e non abbiamo ancora definito un sistema elettorale, dopo la bocciatura del porcellum e le fantasie dell’Italicum.

Per iniziare una discussione sul sistema elettorale bisogna partire da una domanda: a cosa serve il sistema elettorale?

Serve a trasformare i voti in seggi; quindi, per dare rappresentanza politica a una collettività e per formare una maggioranza in grado di sostenere un governo.

In queste due esigenze ci sono le due grandi formule elettorali: il proporzionale, che valorizza la rappresentatività; il maggioritario, che esalta la stabilità di governo.

Regno Unito, Francia, Germania … sono tre Paesi politicamente stabili, eppure hanno tre diversi sistemi elettorali e persino tre differenti sistemi istituzionali.

La stabilità di governo non dipende, dunque, dalla legge elettorale, ma dal sistema istituzionale.

Le cause dell’instabilità vanno ricercate nel sistema dei partiti e di selezione dei candidati, nei criteri che regolano i cambiamenti di governo, nel potere discrezionale del Presidente della Repubblica, nella mancanza di previsioni istituzionali in grado di scoraggiare il trasformismo, come per esempio la sfiducia costruttiva.

La legge elettorale è solo uno strumento indispensabile per ogni sistema politico basato sulla rappresentanza, ma per comprenderne l’efficacia va valutata congiuntamente al sistema costituzionale in cui agisce.

Le diapositive allegate descrivono i diversi sistemi elettorali presenti in Europa e le previsioni della nostra Costituzione di cui i legislatori dovrebbero tener conto quando approvano una legge elettorale.

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Il NO … in pillole

In pillole alcune considerazioni sulle più frequenti affermazioni dei sostenitori del SI sulla proposta di revisione costituzionale oggetto del referendum del 4 dicembre.

  • Interveniamo solo sulla seconda parte della Costituzione

Non c’è bisogno di modificare la prima parte della Costituzione per comprimere i diritti fondamentali enunciati nella prima parte perché è proprio l’ordinamento della Repubblica che rende  possibile la realizzazione dei principi indicati nella prima parte.

Vale per il principio autonomistico affermato all’art. 5 come per la sovranità popolare indicata all’art. 1 della Costituzione.

Sottrarre il Senato al voto degli elettori non è una compressione della sovranità popolare? E ciò si verificherebbe senza modificare l’art. 1!

  • Il superamento del bicameralismo paritario comporta che i senatori non possono essere eletti direttamente perché diversamente anche il Senato dovrebbe dare la fiducia al governo.

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La salute e la Costituzione

La Costituzione non gode di buona salute, ma anche la salute non è messa bene.

La tutela della salute è costantemente minacciata da interventi del legislatore che non tengono in considerazione il dettato costituzionale.

Art. 32 Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

La tutela della salute non è solo un fondamentale diritto individuale ma anche un interesse della collettività, al punto da garantire cure gratuite a chi è sprovvisto di mezzi. Continua a leggere