Lo straniero: ospite o nemico.
Da sempre così è percepito il “forestiero” e ancora oggi siamo invischiati in questo dualismo, appena appena aggiornato.
Da tempo, infatti, il confronto è tra accoglienza e respingimento.
Da questo conflitto non riusciamo a venirne fuori perché diamo molta importanza all’aspetto dello scontro, che esiste in ogni conflitto, e poca alle opportunità che ogni conflitto ci offre.
Opportunità di riconsiderare priorità, bisogni, aspettative, diritti, doveri, equilibri …
La storia dell’umanità è storia di migrazioni, spesso ostili. Così cadde l’impero romano sotto la pressione dei “barbari” … e la storia prese un nuovo corso.
Allo stesso modo, le esplorazioni hanno portato a nuovi rapporti con civiltà sconosciute, ma non era solo il desiderio di scoperta che muoveva gli esploratori. Dietro c’erano interessi economici, avventurieri, popoli e territori da colonizzare … E questo andazzo è proseguito sino a ieri e, sotto forme più economiche e meno militari, prosegue tuttora in tante parti della palla terrestre.
Oggi, dovremmo chiederci cosa porta così tante persone a rischiare la vita pur di approdare nel vecchio continente europeo.
Possiamo impedire l’approdo delle imbarcazioni, non consentire alle navi di soccorso delle ONG di entrare nelle acque territoriali dei paesi da cui partono gli immigrati o persino di raggiungere i nostri porti … ma sarebbero palliativi inadeguati a risolvere il problema.
Probabilmente fermeremmo temporaneamente il flusso provocando poi un’onda anomala che ci investirebbe inesorabilmente.
Quel che sta succedendo è, in fondo, la conseguenza del successo del nostro modello consumistico-produttivo che abbiamo esportato in tutto il mondo.
Esportazione che si è sempre accompagnata con politiche predatorie, violenze e sopraffazioni …
Va quindi trovato un nuovo equilibrio, che non ignori i tanti errori del passato lontano e recente, rispettoso dei diritti umani e della assoluta necessità di pacifica convivenza.
Non basta però la gabbia accoglienza/respingimento … Ci siamo costruiti un’altra gabbia che rappresenta il paradosso della nostra incapacità di affrontare i problemi.
L’ulteriore gabbia è rappresentata dall’Unione europea.
I movimenti sovranisti contestano la cessione di sovranità a favore dell’Unione e contemporaneamente reclamano l’intervento europeo in una materia complessa come l’immigrazione, dove gli Stati membri non sono stati capaci di darsi un effettivo coordinamento sovranazionale.
Nonostante le buone intenzioni (qui trovate le note sintetiche del ruolo dell’Unione europea su questa materia http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.12.3.html ) la politica europea non fa passi avanti perché prevalgono gli egoismi nazionali.
Cosa succederebbe se tornassimo esclusivamente al ruolo nazionale e non avessimo nemmeno la possibilità di attivare l’Europa?
La Commissione europea non riesce a elaborare piani efficaci per fronteggiare la marea di disperati, ma dall’altro lato non ottiene dal Consiglio dell’Unione (dove sono presenti i governi nazionali) alcun mandato perché ogni Paese è chiuso nel proprio egoismo nazionale.
Forse è il caso di riflettere perché l’impalcatura nazionale sta mostrando tutti i suoi limiti.
Delle due l’una: o si rafforza il potere politico europeo o si torna agli Stati sovrani. Ma se la soluzione è la seconda opzione, perché i sovranisti reclamano un maggior ruolo dell’Europa?
Va detto, infatti, che l’Unione europea dispone di una competenza concorrente, per la politica comune in materia di immigrazione, che non porta alla privazione delle competenze degli Stati membri. Gli Stati membri hanno, pertanto, ampia possibilità di intervento. In particolare, le competenze di controllo delle frontiere e in materia di asilo sono in capo a ogni Stato dell’Unione.
La questione vera è che le priorità dell’Unione in materia migratoria non coincidono con quelle degli Stati membri.
Il fine della politica migratoria dell’Unione consiste nell’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti.
Gli Stati membri, invece, collegano le questioni migratorie a quelle della sicurezza, della politica per l’occupazione e della politica sociale. Di conseguenza, l’obiettivo di integrazione non può essere un obiettivo diretto dell’azione dell’Unione senza influenzare ambiti sui quali gli Stati membri mantengono le proprie competenze.
Se prendiamo atto di queste complicazioni, allora, cosa si chiede all’Europa?
Un ruolo più attivo nell’allontanamento e nel rimpatrio degli irregolari?
Ma questo arriva dopo la verifica dei titoli di ogni migrante.
Il dirottamento immediato di migranti verso altri Paesi per una più equa distribuzione?
Ma anche questo richiede la modifica dei Trattati di Dublino e la distinzione tra rifugiati politici e migranti economici.
Allora, cessione d sovranità o ritorno alla sovranità nazionale?
Perché quel che emerge è l’incapacità degli Stati membri di sviluppare una adeguata politica sulle materie di competenza nazionale: dal controllo delle frontiere ai compiti di selezione tra le diverse categorie di migranti con il conseguente rimpatrio degli irregolari che non hanno titolo per restare. Di queste incapacità è figlia l’insufficiente ruolo svolto dalla Unione europea.