Una strana concezione della democrazia parlamentare ritiene che “la democrazia decidente” prenda corpo nella elezione diretta del partito di governo.
Vale a dire in un sistema in cui non si vota più per eleggere i rappresentati parlamentari, i quali daranno vita a una maggioranza che sosterrà il governo, ma si vota direttamente per eleggere il partito cui affidare il governo del Paese. Questa è la migliore soluzione per Renzi e parte del PD.
E’ con evidenza una concezione che porta verso un sistema di tipo presidenziale e non ci sarebbe nulla di male se l’obiettivo fosse perseguito in modo trasparente e coerente, vale a dire con tutto l’armamentario di garanzie e contrappesi che accompagna il sistema presidenziale e con una legge elettorale che renda evidente per cosa si vota.
Con la riforma elettorale approntata per giungere alla elezione del Partito di Governo si trasforma una minoranza in una maggioranza assoluta, attraverso un premio e attraverso un meccanismo – unico nel mondo di tradizione democratica – che garantisce con assoluta certezza a un partito di avere la maggioranza assoluta della Camera politica.
Con la riforma costituzionale sottoposta a referendum la funzione di controllo sull’operato del Governo spetta esclusivamente alla Camera dei deputati (art 55 del nuovo testo costituzionale).
La combinazione delle due riforme comporta che controllore e controllato coincidono poiché il controllore (vale a dire chi dispone della maggioranza assoluta) è colui che esprime il controllato. E il controllore non ha nemmeno il conforto del sostegno diretto degli elettori poiché una parte consistente degli eletti sarà imposta dai partiti e, in ogni caso, sono i Partiti che hanno il monopolio della selezione dei candidati.
Se fosse corretta la lettura che i sostenitori della riforma ci propongono, vale a dire che avremmo una Camera che decide e “approva definitivamente” e un Senato che rappresenta le istituzioni territoriali, allora avremmo un solo partito che controlla tutto.
Se consideriamo che nella realtà avremmo un Senato che dispone di un residuo potere per “fermare” la Camera, allora saremmo in una situazione di trincea in cui una parte politica è avvantaggiata sulle altre.
La semplice costatazione che questo scenario si possa realizzare conferma che questa riforma produce una disfunzione strutturale del parlamento.
Evidentemente, il residuo potere del Senato potrebbe essere utilizzato per nobili cause o per interessi locali o peggio per interessi personali.
Il Senato potrà assumere la funzione di “camera politica di riserva” il cui peso dipenderà da chi sarà il vincitore alla Camera.
Se chi vince alla Camera ha anche il controllo del Senato (o è molto vicino al controllo), il Senato conterà poco e sarebbe facilmente addomesticabile.
Se chi vince alla Camera è molto lontano dall’avere il controllo del Senato, quest’ultimo conterà molto.
Lo strumento principale per l’esercizio di questo potere sarà ogni legge necessariamente bicamerale, ma anche la stessa funzione di iniziativa legislativa che resta pienamente riconosciuta anche a ogni senatore (vedasi nuovo art 70 e art 71 della Costituzione).
Una riforma che si presenta a favore di una parte politica a danno di altre.
La scelta compromissoria che è stata fatta – escludendo la soluzione monocamerale o l’altra soluzione bicamerale in cui una camera prevale sempre sull’altra – appare in sintonia con gli interessi di una parte politica, mettendo un giocatore in situazione di vantaggio rispetto agli altri.