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Quando sceglie il popolo

Quando sceglie il popolo… va al potere il Fascismo e il Nazismo.

Il popolo sceglie sempre Barabba e condanna Gesù!

Nonostante ciò, la Sinistra DEM subordina il proprio voto favorevole sulla riforma costituzionale alla condizione che sia ripristinata l’elezione diretta dei senatori e chiede garanzie in tal senso.

Non si comprende cosa significhi chiedere garanzie e chi, giunti a questo punto, abbia il potere di dare garanzie, dopo aver votato la castroneria dei senatori eletti “in conformità” alle scelte effettuate dagli elettori.

In ogni caso, colpisce osservare la diffusa indifferenza e diffidenza verso le scelte effettuate dagli elettori.

Sovente, emerge il timore che il popolo faccia scelte sbagliate.

Così avvenne con Fascismo e Nazismo, che indubbiamente godettero ampio consenso popolare.

Inevitabile rievocare anche il caso Gesù: il popolo condannò Gesù e preferì Barabba.

Utilizzare il tema Barabba vs Gesù come un argomento contro la democrazia è una antica diatriba che ha mobilitato nel tempo molti scienziati del diritto e della politica, tralascio in questa sede il dibattito teologico.

Utilizzare questo argomento contro significa partire dalla presunzione che i due nostri protagonisti siano percepiti come uguali e che abbia prevalso la volontà di una maggioranza che ha scelto il malvagio sacrificando il buono.

È il classico argomento di chi diffida della democrazia perché la riduce a una logica puramente numerica: la dittatura della maggioranza.

Se analizziamo i fatti ci rendiamo conto che quella scelta non è stata presa da un popolo decidente all’interno di procedure definite e certe, nel rispetto dei diritti di tutte le parti, ma da una folla intimidatoria sotto la pressione dei poteri rappresentati dal Sinedrio.

Il contrario di quel che si intende per democrazia.

Anche Fascismo e Nazismo ebbero un forte consenso all’interno di una società dilaniata, attraversata da tendenze autoritarie e da profonda delegittimazione, reciproca tra i contendenti, addirittura con popoli e gruppi sociali indicati come nemici da eliminare.

Non c’è scelta democratica quando non c’è reciproca legittimazione e una parte intende sopprimere l’altra. Questa è una guerra, non è un processo democratico.

Che poi la democrazia non funzioni o sia imperfetta è altra storia, ma non è un caso che la nostra Costituzione riconosca il diritto di associazione e partecipazione alla vita politica “con metodo democratico”. E’ esattamente la definizione di cosa debba intendersi per metodo democratico che consente di superare le distorsioni del consenso delle folle urlanti.

La democrazia è un sistema in perenne evoluzione, un processo continuo e senza fine; non è una ideologia, ma un metodo per regolare la vita sociale di una collettività.

La democrazia va intesa come una polizza assicurativa che a determinate condizioni, in cambio di un premio, ti garantisce un indennizzo.

Le condizioni sono le procedure.

Il premio è il dovere di ciascun cittadino.

L’indennizzo è l’insieme dei servizi e delle tutele offerte a tutti a parità di condizioni.

Se la scelta del popolo diviene un timore, la soluzione migliore non può essere lasciare che a decidere per tutti sia un singolo o un gruppo ristretto di persone.

Se scegliessimo una simile soluzione, dovremmo mettere in conto che l’esito più probabile sarebbe una dittatura illuminata o autoritaria, un sistema oligarchico. Quando ciò si verifica, in realtà non è mai una scelta e probabilmente si tratta di una evoluzione di un sistema oligarchico e autoritario che della democrazia ha solo i riti liturgici esteriori, quando ci sono. Anche il regime fascista non eliminò il Parlamento e nemmeno le elezioni.

Lavorare per la democrazia significa

– investire sulla formazione del cittadino

– garantire e codificare il diritto alla conoscenza

– elaborare un sistema di garanzie e tutele

– potenziare gli istituti di democrazia diretta

– affermare una rigorosa disciplina legale dei partiti per vincolarli al metodo democratico e alla trasparenza nei processi decisionali interni.

La democrazia bisogna volerla e occorre investire per avviare un processo democratico.

Il nostro sistema non ha mai investito nella formazione del cittadino, decidendo così di affossare sul nascere la democrazia.

Il nostro sistema prevede che si scelgano dei rappresentanti. A qualcuno può risultare indifferente scegliere i rappresentanti o farli scegliere alla dirigenza dei partiti, ma questo non è sufficiente per istituzionalizzare la privazione del diritto di scelta del rappresentante. Impedire che il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti si costituisca correttamente e direttamente, significa coartare la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento (sentenza 1/2014 Corte Costituzionale). Libertà che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare e la cui negazione sarebbe in contraddizione con il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Costituzione.

Sarebbe però puerile pensare che la questione democratica si risolva con l’elezione diretta dei rappresentanti politici, se tale scelta è in ogni caso ristretta a un menù deciso dalle segreterie dei partiti e non esiste un sistema dei partiti improntato al metodo democratico.

I partiti devono avere la funzione di raccordo del diritto di associazione politica dei cittadini con la rappresentanza politica istituzionale (sentenza 79/2006 Corte Costituzionale).

I partiti devono essere strumenti organizzativi finalizzati ad agevolare la partecipazione dei cittadini per definire i programmi e selezionare i candidati da sottoporre agli elettori.

In altre parole, gli iscritti ai partiti e le associazioni che sostengono i partiti devono concorrere alla selezione dei candidati e ogni elettore deve essere “libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza” (sentenza 203/1975 Corte Costituzionale).

La mancanza di questi requisiti ha reso possibile l’affermazione di un regime partitocratico, che si è consolidato attraverso le pratiche clientelari e la lottizzazione, favorendo così la sistematica infiltrazione criminale nelle istituzioni.

Da queste situazione si può uscire solo con una rigorosa disciplina legale dei partiti per vincolarli al metodo democratico e alla trasparenza nei processi decisionali, nell’affidamento degli incarichi e nella selezione dei candidati.

Se è condivisa l’analisi che il nostro regime è caratterizzato da uno strapotere dei partiti, che hanno occupato le istituzioni e la società civile, che lottizzazione e clientelismo sono i metodi preferiti dal sistema dei partiti per conservare il potere e alterare i meccanismi del consenso, allora si deve concludere che il nostro regime non può essere definito democratico ma partitocratico. E dal sistema dei partiti occorre partire per rinnovare il Paese.

Le riforme messe in campo, sia quella elettorale sia quella costituzionale, non costituiscono elemento di contrasto degli antichi mali italici. Anzi, si rischia il rafforzamento dei caratteri partitocratici.

Rischio che non è nemmeno mitigato dalla introduzione per legge delle primarie, in modo da coinvolgere iscritti e simpatizzanti nella selezione dei candidati, e da una disciplina legale dei partiti che fortemente fu auspicata da Calamandrei e Sturzo…

L’assenza di questi due strumenti (disciplina dei partiti e primarie) rende inaccettabili le riforme fortemente volute dal governo.

Non ne abbiamo abbastanza di un sistema istituzionale pesantemente condizionato da una logica proprietaria dei partiti?

Chiunque può fondare un partito, divenirne presidente, reclutare tanti rispettabili professionisti, formare delle liste che partecipano alla competizione elettorale… senza alcuna trasparenza e garanzia democratica.

Il rischio della scalata alla Repubblica Italiana da parte della criminalità organizzata è reale.

Che anticorpi abbiamo?

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