Il 26 febbraio 2014 il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione su Sfruttamento sessuale e prostituzione e loro conseguenze per la parità di genere
Il Parlamento europeo si è occupato prevalentemente di tratta e sfruttamento sessuale, nell’ambito di un più vasto programma per sviluppare la parità di genere.
Nelle premesse di presentazione del provvedimento, leggiamo: “La prostituzione è un fenomeno difficile da quantificare, in quanto illegale nella maggior parte degli Stati membri. Secondo una relazione del 2012 della fondazione Scelles, la prostituzione ha una dimensione globale che coinvolge circa 40-42 milioni di persone, di cui il 90% dipende da un protettore. La prima relazione Eurostats in assoluto con dati ufficiali sulla prostituzione è stata pubblicata nell’aprile 2013. Il documento era incentrato sulla tratta di esseri umani nell’UE nel periodo compreso tra il 2008 e il 2010.”
Di ciò il Parlamento europeo si è maggiormente occupato: le vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale.
Molti Paesi hanno preso provvedimenti per arginare la tratta di donne, ma sembra che solo la Svezia abbia ottenuto risultati apprezzabili, rendendo poco appetibile il mercato svedese alle organizzazioni criminali; l’Italia ha buoni risultati nei programmi di reinserimento delle immigrate sfruttate; la Germania con la legalizzazione ha fallito. Ma quello tedesco è il paradigma del modello basato sulla legalizzazione? In Austria, per esempio, i risultati non hanno prodotto i disastri della Germania, eppure apparentemente si tratta dello stesso sistema. L’analisi dei due sistemi offrirebbe spunti interessanti di riflessione.
Il Parlamento europeo osserva, tra i tanti aspetti, che
– “esiste una differenza tra prostituzione «forzata» e «volontaria»”
– “i dati dell’UE mostrano l’inefficacia dell’attuale politica di lotta alla tratta di esseri umani…”
– “vi è un’enorme differenza nel modo in cui gli Stati membri trattano la prostituzione ed esistono due approcci principali: un approccio vede la prostituzione come una violazione dei diritti delle donne, una forma di schiavitù sessuale, che si traduce in una disparità di genere a discapito delle donne e la mantiene; l’altro approccio ritiene che la prostituzione stessa sostenga la parità di genere promuovendo il diritto della donna a decidere cosa fare del suo corpo; in entrambi i casi, i singoli Stati membri hanno le competenze per decidere quale approccio adottare nei confronti della prostituzione”.
Da queste e altre premesse il Parlamento Europeo giunge a un elenco di raccomandazioni, osservazioni, esortazioni tra cui
> “fa notare agli Stati membri che l’istruzione gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione della prostituzione e della criminalità organizzata…”
> “richiama l’attenzione sul fatto che le pubblicità di servizi sessuali nei giornali e media sociali possono contribuire a sostenere la tratta di esseri umani e la prostituzione;”
> “ritiene che un modo di combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e di rafforzare la parità di genere segua il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico)”
> “ritiene che l’acquisto di servizi sessuali da prostitute di età inferiore ai 21 anni dovrebbe costituire reato…”
> “esorta gli Stati membri a prevedere, nel rispetto della normativa nazionale, incontri consultivi e controlli sanitari riservati e regolari per le prostitute…”
Il Parlamento europeo, quindi, suggerisce di prendere in considerazione il modello svedese (ovvero la punizione dell’acquirente) per la lotta alla tratta per fini sessuali, ma raccomanda tanti altri aspetti che in quel modello non sono presenti, e persino in contrasto con quel modello, per la più ampia lotta allo sfruttamento della prostituzione; per esempio la raccomandazione di considerare reato l’acquisto di prestazioni sessuali da minori di anni 21 e il riconoscimento che esiste la prostituzione volontaria.
Lo stesso Parlamento europeo riconosce “che la mancanza di dati affidabili, precisi e comparabili tra i paesi, dovuta soprattutto al carattere illegale e spesso invisibile della prostituzione e della tratta, mantiene opaco il mercato della prostituzione e ostacola il processo decisionale politico, di conseguenza i dati sono basati solamente su stime”; non è il caso quindi di sostenere un modello o un altro con la guerra dei numeri, piuttosto sarebbe più utile cercare di cogliere i diversi aspetti della prostituzione, in cui senza dubbio quello più forte e drammatico è la riduzione in schiavitù di tante donne, in prevalenza immigrate.
Servono quindi risorse e politiche a sostegno delle donne che vogliono smettere con la prostituzione. Su questo fronte, l’Italia è capofila nel mondo (legge 40/1998) e si dovrebbe fare di più. Ogni anno, grazie a interventi mirati, circa mille donne sono aiutate a ricostruirsi una vita.
Vi è poi il fenomeno sempre più diffuso della prostituzione volontaria, non solo come mezzo per vivere, ma anche per permettersi lussi e piaceri che le finanze ordinarie non consentirebbero di soddisfare. Nessuno ha una idea di quante siano le escort, le squillo, le casalinghe e le studentesse che si prostituiscono, saltuariamente o con regolarità.
Vi è poi il mondo contiguo della pornografia in cui si fa sesso per finzione scenica… ma i corpi sono reali e appartengono a persone reali; spesso è dal mondo della prostituzione che provengono le attrici.
Infine, vi è il mondo crescente della prostituzione maschile eterosessuale che si aggiunge a quello sempre esistito della prostituzione omosessuale. Abbiamo quindi, e sono sempre più numerose, le donne che acquistano prestazioni sessuali da uomini prostituti, nel loro paese e in viaggio nel mondo
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In questo contesto, affermare che “La prostituzione è una forma di violenza dell’uomo verso la donna” (art. 1 della legge svedese sulla prostituzione) è una tesi ideologica, riduttiva e limitante che in sé contiene la rinuncia ad affrontare il problema prostituzione nella sua complessità.
La prostituzione non si esaurisce in una forma di violenza del maschio sulla femmina, ma nel caso uno sfruttamento di genere e laddove cresce l’emancipazione femminile si assiste allo stesso schema prostitutivo classico ma a ruoli invertiti: è la donna che compra prestazioni sessuali. Quando la prostituzione diviene una scelta, per fare in fretta denaro e concedersi tanti piaceri, non è più chiaro se sia il venditore lo sfruttato o l’acquirente, o semplicemente vi sia un incontro di domanda e offerta, partendo dalla convinzione, reale o compensatoria, che ogni vendita di tempo lavoro è una forma di prostituzione. Poco chiaro il rapporto di sfruttamento quando al rapporto sessuale si affianca l’accompagnamento in pubblico, al ristorante, al club, a teatro, a una festa… Chi è vittima di un modello sociale e culturale dove per essere ammirati devi accompagnarti con una bella donna o con un aitante giovanotto e poco importa se l’accompagnatore è in vendita? Forse abbiamo due vittime dove una ha più denaro dell’altro, ma chi ne ha meno ambisce a quel denaro… con ogni mezzo.
Se l’art. 1 della legge svedese recitasse “è reato acquistare prestazioni sessuali”, avrebbe valenza diversa.
Occuparsi di prostituzione significa considerare lo sfruttamento, la miseria materiale che può portare alla costrizione, ma occorre assumere una visione prospettica e indagare gli sviluppi del mestiere più antico del mondo in un mondo mutato nei rapporti tra i sessi e nel costume.
L’approccio svedese, mentre è efficace nel contrasto alla violenza e alla tratta per fini sessuali, fornisce risposte inadeguate alla crescente mercificazione del corpo e alla sua accettazione per aderire al modello consumistico in cui tutti, in misura diversa, siamo immersi.
Trovo poco convincente “la visione azzeratrice” dove l’obiettivo è quello di far sparire la prostituzione dalla Svezia, perché questa è l’idea ispiratrice della Legge contro l’Acquisto di Prestazioni Sessuali: un meccanismo per “eliminare la prostituzione in Svezia” (Gunilla Ekberg, madrina della legge svedese). Non vi sono ancora riusciti, non sono convincenti e trasparenti nei numeri e nei rapporti ufficiali, ma nonostante ciò la Svezia ha ottenuto i migliori risultati.
Il modello svedese è da imitare sul fronte dell’investimento in comunicazione e campagne di sensibilizzazione; così, il governo svedese è riuscito ad accrescere la percezione della negatività della prostituzione e che essa rappresenta pur sempre una forma di sfruttamento.
La Svezia partiva da una realtà in cui la parità tra i generi era forte e a livelli che ha ben pochi paragoni; e questo va tenuto in considerazione, laddove si ritenga di adottare il modello nordico.
Secondo i numeri offerti dalle autorità svedesi, nel 1999, quando è stata introdotta in Svezia la nuova normativa, ci sarebbero state 2500 prostitute in attività, di cui 650 di strada, su 8,5 milioni di abitanti: una densità di una prostituta ogni 3.400 abitanti; in Danimarca, assunta dalla Svezia come termine di paragone per dimostrare i successi conseguiti, c’erano 2000 prostitute su 4,5 milioni di abitanti: una densità di una prostituta ogni 2.250 abitanti; in Italia si stima che all’epoca ci fosse una prostituta ogni circa 1.900 abitanti.
Quindi, per tante ragioni storiche e culturali, la prostituzione era in Svezia meno diffusa rispetto ad altri Paesi.
Non sorprende, dunque, che la Svezia, prendendo un provvedimento fortemente punitivo per chi acquista sesso, registri un calo ulteriore della prostituzione, mentre altrove prendendo provvedimenti di segno opposto sia cresciuta; paradossalmente, le prostitute svedesi potrebbero essersi trasferite nella più ospitale Danimarca, ma soprattutto non è detto che altrove si otterrebbe lo stesso risultato poiché diverse sono le condizioni culturali di partenza.
Il fenomeno della prostituzione su strada era già poco presente in Svezia e con la nuova normativa si è dimezzato, ma ciò non consente di concludere che il fenomeno della prostituzione nel suo complesso sia diminuito. Il governo svedese non fornisce cifre sull’entità del mercato complessivo della prostituzione, cita solo quella per la prostituzione di strada. Non c’è alcun dato sulla prostituzione al chiuso, pertanto nessuno può dire con cognizione di causa se la prostituzione nel suo complesso è aumentata o diminuita. Non solo, di coloro che avrebbero abbandonato la strada nulla sappiamo. La Svezia, in 15 anni non ha offerto dati sui successi nel reinserimento delle prostitute che hanno abbandonato l’attività. Hanno abbandonato l’attività o si sono spostate in altri paesi, in luoghi chiusi, su altri canali meno visibili?
Scrive Giulia Garofalo Geymonat a proposito del modello svedese “anche questo modello è molto contestato. Infatti, la prostituzione non necessariamente diminuisce, ma invece si trasforma, passando per esempio su internet, e si nasconde, allontanandosi perciò da ogni contatto con associazioni e autorità. Come far sì che la criminalizzazione dei clienti non diventi di fatto, ancora una volta, criminalizzazione delle prostitute? La questione è rilevante in Svezia, ma si fa ancora più grave quando si pensa a esportare il modello. In Svezia, l’intervento dello Stato e dei servizi sociali è molto forte, la diseguaglianza bassa, l’accesso delle donne al mercato del lavoro reale. Qualora queste condizioni non siano presenti, e in particolare se la prostituzione costituisce la risorsa economica di molte donne, o comunque la risorsa esclusiva di alcuni gruppi di donne – come succede in Italia per le donne trans e le giovani immigrate – la criminalizzazione dei clienti rischia di provocare non la contrazione dell’industria, ma piuttosto un aumento della vulnerabilità delle sex workers, che non possono ricorrere alla legge per difendersi dallo sfruttamento e dall’abuso, e si allontanano dalle associazioni e dagli ospedali (si veda in proposito Commission nationale consultative des droits de l’homme, pubblicato il 22/5/2014)”.
La normativa svedese ha reso poco appetibile quel Paese alle organizzazioni criminali e questo è un ottimo risultato da tenere presente; il rischio però è che l’espansione di una legislazione simile a quella svedese possa favorire la clandestinità, aumentando i rischi della vulnerabilità per le donne stesse.
In Svezia su 18.000 persone rinviate a giudizio solo 900 sono state condannate e molte di queste per reati che sarebbero stati puniti anche con la normativa precedente, anche questo deve far riflettere. I clienti sono stati colpiti quasi sempre solo in relazione alla scoperta di casi di trafficking, non direttamente a seguito dell’accusa di acquisto di prestazioni sessuali. L’applicazione della norma penale è difficile poiché richiede la certezza della transazione economica. Forte è invece l’impatto sulle persone coinvolte e le loro famiglie; ciò è sufficiente a rendere poco appetibile il mercato svedese alle organizzazioni criminali.
Singolare che in Svezia le attività svolte per applicare e far rispettare la legge non hanno portato alla scoperta di bordelli illegali che, se esistono dove i bordelli sono legali, certamente esistono anche in Svezia.
La Polizia svedese fatica ad avere visibilità del mercato della prostituzione, che si è spostata ancora di più al chiuso e nell’illegalità. La criminalizzazione dei clienti fa sì che questi ora non collaborino più con la Polizia nei casi di vittime della Tratta.
Mentre sui dati in Internet le fonti ufficiali offrono spiegazioni che rasentano la comicità; tutti sanno che i siti possono con facilità essere ospitati su server oltre confine, basta però fare una rapida ricerca su internet per trovare abbondante offerta.
Allora, che fare?
Il modello tedesco ha fallito, quello austriaco va meglio di quello tedesco ma in ogni caso la prostituzione cresce e poiché quella legale è ovviamente più cara, c’è una vasta offerta illegale a costo più basso. Quello italiano, proprio di tanti altri Paesi, basato sulla non-regolamentazione e punizione di tutte le attività collaterali (gestione, organizzazione, induzione, favoreggiamento…) è un disastro. Unico merito dell’Italia l’attività concreta di aiuto a coloro che intendono uscire dalla prostituzione e collaborano nella repressione del traffico internazionale.
In definitiva, aldilà della poco credibile e documentata propaganda svedese, il modello nordico è quello che offre maggiori possibilità di successo contro la tratta a fini sessuali.
Potrebbe essere buona cosa partire da questo modello, smussandone l’impostazione ideologica, assumendo una più corretta visione pragmatica che tenga conto di come evolve il mondo della prostituzione. Una legislazione che oltre a prevedere risorse adeguate alla repressione dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù, contempli progetti educativi e campagne di sensibilizzazione per contrastare la crescente mercificazione del corpo, un progetto serio di aiuto e protezione alle donne che vogliono smettere, costante ascolto e coinvolgimento nei programmi delle sex worker.