L’Italia è una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare; lo è e lo sarà anche con l’approvazione delle riforme in discussione.
Questo significa che il popolo sovrano elegge i propri rappresentanti che formeranno il Parlamento. Fino a oggi gli elettori hanno eletto deputati e senatori (formalmente, ma non sostanzialmente poiché gli elettori votano i partiti e non i candidati, che sono scelti dai partiti); domani eleggeranno solo i deputati e solo questi rappresenteranno la Nazione.
L’assemblea legislativa, il Parlamento, in questo tipo di democrazia ha i maggiori poteri e tutto il sistema istituzionale ruota intorno alla centralità del parlamento, compreso il Governo che deve avere obbligatoriamente la fiducia del Parlamento.
Con le riforme in discussione, nulla cambierà riguardo alla formazione del Governo, tranne la previsione dell’articolo 94 della Costituzione che attualmente prevede che entrambe le Camere diano la fiducia al Governo: se passerà la riforma solo la Camera dei Deputati darà la fiducia al Governo.
Quindi, sulla base dell’esito elettorale il Presidente della Repubblica affiderà a qualcuno il compito di formare il governo e costui si presenterà alla Camera per ottenere la necessaria fiducia. In questa previsione costituzionale, sulla base dei rapporti di forza determinati dal voto e dei programmi dei diversi partiti, è in Parlamento che si forma la maggioranza che sosterrà il governo. Con questa configurazione istituzionale l’elettore vota il partito che maggiormente rappresenta le proprie convinzioni politiche. Anche con il sistema denominato porcellum era così. Infatti, l’elettore votando un partito coalizzato con altri o non coalizzato intendeva dare maggior peso politico a un partito specifico, nella eventualità che potesse far valere maggiormente le proprie istanze politiche in una eventuale compagine governativa o nella formazione della maggioranza.
Il nuovo sistema elettorale in discussione, denominato Italicum, ha la singolarità di predeterminare un esito certo indipendentemente dal voto. E’ questa una singolarità che non troviamo in altri sistemi elettorali di democrazia parlamentare e nemmeno di tipo presidenziale o semipresidenziale.
L’Italicum prevede che a un partito sarà assegnata un’ampia maggioranza assoluta di seggi all’unica condizione di superare la soglia del 40% al primo turno o di arrivare primo al secondo turno.
A un solo partito la legge elettorale garantisce la certezza di avere la maggioranza assoluta dei seggi.
Non sono previsti contrappesi e istituti di garanzia.
Il Presidente della Repubblica non potrà che scegliere tra questo partito l’esponente cui affidare l’incarico di formare il governo. Costui si presenterà al Parlamento per l’atto formale della fiducia; formale, salvo terremoti nel partito vincente, poiché l’esito governativo è esattamente quel che la legge intende conseguire regalando a un solo partito la maggioranza assoluta del Parlamento.
Sorvolando su ogni aspetto relativo a democrazia e trasparenza nei partiti, selezione dei candidati, limitazioni degli elettori nella facoltà di scegliere i propri rappresentanti, squilibrio nella trasformazione dei voti in seggi, nonostante il sistema proporzionale, si realizza per la prima volta nella storia della democrazia parlamentare una situazione in cui la legge elettorale prefigura un esito certo: comunque si voti una minoranza sarà trasformata in maggioranza assoluta, con il conseguente superamento della necessità di confronto con le altre forze politiche presenti in Parlamento.
Faccio fatica a immaginare una democrazia parlamentare senza la dialettica parlamentare.
Faccio fatica a immaginare un Parlamento che svolge le funzioni costituzionali di controllo e indirizzo dell’esecutivo giacché controllato e controllore coincidono: il governo si forma perché viene gonfiato il valore elettorale di un partito, sino a portarlo alla maggioranza assoluta, perché possa in solitaria formare un governo; un perfetto circolo vizioso in cui tutto rimbalza tra governo e gruppo parlamentare che esprime il governo.
In sostanza si introduce l’elezione diretta dell’esecutivo a insaputa dell’elettore, chiamato a votare per scegliere i rappresentanti politici e non per scegliere un governo.
Persino la legge Acerbo del 1923 non garantiva questo esito: otteneva la maggioranza assoluta (molto ampia) il partito che otteneva più voti tra quelli che superavano la soglia del 25%; nel caso nessuno avesse superato tale soglia, si procedeva alla ripartizione proporzionale dei seggi.
Con l’Italicum, se dieci partiti conseguono ciascuno il 10% circa dei voti, andrebbero al ballottaggio i primi due partiti: A con il 10,002% e B con il 10,001%. Se al ballottaggio votasse solo una parte degli elettori di A e B, poiché gli altri potrebbero non trovare tra i due differenze tali da indurli a esprimere una preferenza, andrebbe a votare meno del 20% degli elettori e A o B potrebbe vincere con il 50,01% dei voti, vale a dire con il 10% scarso degli elettori A o B otterrebbe 340 seggi su 617.
Ipotesi bizzarra e improbabile, ma non impossibile. E una legge elettorale non si valuta per quel che è probabile che si verifichi, ma per quel che consente che si possa verificare.
Difficile immaginare un modello più sconclusionato di questo che fa apertamente a pugni con ogni previsione del nostro sistema costituzionale.
Se l’obiettivo è eleggere direttamente il Governo, perché non introdurre la doppia scheda? Con una scheda si vota per i rappresentanti parlamentari e con l’altra si vota tra i programmi di governo. Si concilierebbe governabilità con rappresentatività. Il Governo avrebbe l’investitura diretta, senza bisogno del voto di fiducia, e il Parlamento sarebbe l’organo di garanzia e di rappresentanza politica di cui il Governo dovrà tenere conto.