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Democrazia e Partiti: il caso PD

mozione-2013-renziCambiare verso, significa anche che i fatti finalmente saranno coerenti con le parole?
O questo è chiedere troppo.
La prima valutazione di una proposta politica inizia dall’esame delle parole; poi seguirà la valutazione dell’azione politica e quindi dei risultati.
Sono in tanti a dire “lasciate fare, poi valuterete, il Paese ha bisogno delle riforme”… ma il dibattito politico non può partire dall’analisi dei risultati, sarebbe come rinunciare alla politica, che è soprattutto capacità di analisi della realtà e di valutazione degli effetti che le proposte politiche produrranno qualora fossero approvate. I risultati, nel caso ci diranno chi aveva visto bene.

Renzi è diventato segretario del PD sulla base di una piattaforma programmatica  e in qualità di segretario, per statuto, si impegna a rappresentare il partito e a esprimerne l’indirizzo politico. Recita infatti lo Statuto del PD “Il Segretario nazionale rappresenta il Partito, ne esprime l’indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione ed è proposto dal Partito come candidato all’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri.”

Purtroppo, come consuetudine diffusa tra i politici italiani, anche Renzi non sfugge alla fumosità e genericità dei propositi. Abitudine, questa sì, che andrebbe rottamata.

Leggiamo nella piattaforma di Renzi, “Gli italiani vogliono cambiare. Più di votare Beppe Grillo che devono fare? Gli italiani vogliono cambiare, ma cambiare davvero. Hanno votato persino Beppe Grillo per farcelo capire. E oggi che l’esperienza dei Cinque Stelle mostra tutti i limiti tipici della demagogia e del populismo, a noi il compito di recuperarne i consensi: chiedere più trasparenza alla politica non è antipolitica, ma buona politica. Prima lo diremo con forza e coerenza noi, prima sgonfieremo la forza del Movimento 5 Stelle che con i suoi 8 milioni di consensi costituisce la forza più rilevante fuori dal bipolarismo tradizionale. Per cambiare, però, dobbiamo iniziare a casa nostra, nel metodo e nel merito.

Trasparenza? Nemmeno l’ombra. E’ trasparenza fare un accordo con un altro Partito in un incontro semi-segreto e poi imporre i risultati di tale accordo al partito? Direi che il neo-segretario Renzi ha sfruttato abilmente la debolezza di un Partito che usciva da una sconfitta elettorale, i travagli del governo Letta, la figuraccia per la elezione del PdR, le dimissioni di Bersani… poteva in tale stato la direzione del Partito sconfessare l’operato del nuovo segretario? Su questo improbabile evento, Renzi ha scommesso… e ha vinto facile. Come nulla di trasparente c’è nella legge 13/2014 che introduce forme di finanziamento pubblico ai partiti in cambio di democrazia e trasparenza restano solo a livello di previsione statutaria.

Il PD deve essere un luogo bello per la formazione politica. Cambiare verso significa riconoscerci bisognosi di imparare sempre. Specie noi addetti ai lavori: un partito che non faccia formazione politica è un partito di plastica, finto, inutile. Formare alla politica è una cosa bella, perché la politica è dignità con buona pace di chi ci insulta per questo.

Quanto è bella la formazione politica: abbiamo capito cosa sono i gufi e i rosiconi… Abbiamo capito che alle critiche non si risponde mai nel merito ma con gli slogan: bisogna cambiare. Peccato che il cambiamento possa essere anche in peggio… E non è importante cambiare, ma individuare soluzioni efficaci ai problemi di sempre. In questi decenni sono state approvate decine di riforme, ma non è stato risolto un solo problema. Così, con regolarità quasi mestruale ci ritroviamo ad affrontare sempre gli stessi problemi. Infatti, riformiamo il riformato Titolo V della Costituzione e procediamo con la terza legge elettorale nazionale in soli 22 anni. Sono così tante le riforme delle pensioni e della scuola che per contarle occorre fare ricorso anche alle dita dei piedi… Non servono riforme, ma mandare al riformatorio i politici che parlano per slogan e frasi fatte. Certo, renderanno semplice la comprensione dei problemi ai tanti incapaci di pensiero critico e autonoma capacità di elaborazione grazie a decenni di partitocrazia, informazione addomesticata, scuola incapace di formare il cittadino. Grazie a tutto ciò, la soluzione sembrerà a portata di mano, peccato che se si analizzano le proposte, i problemi e il loro decorso storico… emerge con chiarezza che le proposte in campo non affrontano alcun problema e non risolveranno proprio nulla. Infatti, i sostenitori di Renzi e della sua magnifica azione di governo, alle critiche rispondono con la litania del “non si può stare fermi, bisogna cambiare, come se il movimento e il cambiare siano in sé elementi positivi e risolutivi.

Torniamo al programma di Renzi e scopriamo che di riforme costituzionali non c’è traccia.

Sul lavoro. “Vanno cambiati i centri per l’impiego, in un Paese dove si continua a trovare lavoro più perché si conosce qualcuno che perché si conosce qualcosa: la raccomandazione più che il merito. E qualcosa vorrà pur dire se i centri per l’impiego in Italia danno lavoro a 3 utenti su 100 contro quelli svedesi che arrivano a 41 su 100 o quelli inglesi che raggiungono la cifra di 33 su 100. Abbiamo bisogno di una rivoluzione nel sistema della formazione professionale, che troppo spesso risolve più i bisogni dei formatori che di chi cerca lavoro: e dobbiamo avere il coraggio di dire che sono state scritte pagine indecorose da alcune amministrazioni locali – persino vicine al nostro partito – nella gestione della formazione professionale. Dobbiamo semplificare le regole del gioco…

Ecco che la semplificazione inizia con la riduzione dei diritti, la creazione di nuove inutili agenzie del lavoro e le liste speciali alle quali il Preside potrà attingere per formare la squadra di docenti di cui diventerà leader… Con quali mezzi? Potrà assumere un docente da questo albo speciale e liberarsi di altri docenti piazzati dal ministero e che magari sono di ruolo? Ovviamente, no. Dunque: è introdotto nella scuola il sistema dei porta borse e dei collaboratori, sovente in nero, dei parlamentari. Fratelli, sorelle, amanti, zie, cognati, amanti… diamo impulso al cambiamento rafforzando clientelismo e familismo, i problemi di sempre contro cui Renzi non sta facendo assolutamente nulla, favorendo oggettivamente il dilagare della corruzione. Aldilà del rafforzamento clientelare (perfettamente in linea con la riforma del Senato e la legge elettorale con i capilista bloccati) e con l’apologia della raccomandazione… il nulla!

Riguardo alla legge elettorale l’unico punto fermo nel programma di Renzi è l’essere “custodi del bipolarismo”. Sappiamo che, in diverse occasioni, durante la campagna per le primarie Renzi sostenne la necessità di una riforma in senso maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. Questa era la posizione che andava per la maggiore nel PD, come giustamente ricordò il segretario uscente Epifani.
Renzi nella mozione afferma che spetta al PD fare la prima mossa e che bisognerà partire dalla Camera dei Deputati, dove il PD ha una ampia maggioranza.

Da notare che quando Renzi presentò la sua mozione non c’era ancora la sentenza della Corte Costituzionale che censurò le parti caratterizzanti del Porcellum. Questa sentenza doveva essere uno sprono giacché la legge elettorale di risulta è una legge esclusivamente proporzionale che in caso di elezioni avrebbe ricreato la quasi certezza di una maggioranza di larghe intese che Renzi indica come eccezione e non come regola. Inoltre, la sentenza bocciava la mancanza della preferenza (voto indiretto e impersonale) e l’irragionevole premio di maggioranza che rende il voto diseguale e lesivo del sistema della rappresentanza politica alla base del nostro sistema costituzionale. Tanto più che la Consulta argomenta che laddove il legislatore adotti un sistema anche parzialmente proporzionale, ingenera nell’elettore l’aspettativa che non ci saranno significativi squilibri nella trasformazione dei voti in seggi.  Tutto giocava a favore di un forte impulso verso quel sistema maggioritario sul quale tanto si era speso lo stesso Renzi.

Improvvisamente, Renzi fa una inversione a U e, folgorato dagli statisti Berlusconi e Verdini, propone al partito una legge proporzionale con premio per assicurare la maggioranza assoluta al partito più votato, al primo turno se supera una determinata soglia, al secondo turno se nessuno al primo supera quella soglia.

Di tutto ciò nel programma non c’è traccia e sorvoliamo sullo stato confusionale in cui versava il partito, ragion per cui dovremmo parlare di imposizione al partito e non di proposta.

In ogni caso, siamo in presenza di una serie di violazioni dello statuto che la direzione nazionale del partito non dovrebbe poter sanare senza il consenso degli iscritti.

Il partito politico è una associazione non riconosciuta (art. 36 codice civile e successivi) e come tale hanno rilevanza gli accordi tra gli associati.

Può chi rappresenta un partito in forza di un programma vincolante, sul quale ha chiesto e ottenuto i consensi, cambiare radicalmente indirizzo politico senza avere una nuova approvazione da parte degli associati?

Se esistono diritti e doveri degli iscritti, quali sono quelli del segretario e del gruppo dirigente?

Ovviamente, sto estremizzando un conflitto, ma fino a un certo punto, perché in gioco sono i diritti degli iscritti e il senso stesso di una democrazia fondata sui partiti come strumento di raccordo tra i detentori della sovranità popolare e le istituzioni rappresentative.

Già con ordinanza n. 79 del 2006 la Corte Costituzionale affermò che “le funzioni attribuite ai partiticostituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Costituzione”. Con sentenza 1/2014, la Corte richiama questo concetto e aggiunge che le funzioni attribuite ai partitidevono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.

Realizzazione di linee programmatiche.

Un esempio per comprendere meglio.

Nel 2013, alle ultime elezioni in Germania dal voto non scaturì una maggioranza in grado di formare un governo. L’SPD trattò con la Merkel un programma di governo di ipotetica grande coalizione. Definito un puntiglioso programma, l’SPD consultò gli iscritti per rendere operativo l’accordo, poiché la loro proposta elettorale non aveva contemplato la Große Koalition.

Questo è un esempio di comportamento democratico.

Uno Statuto può essere bellissimo, ma se resta lettera morta, se non diventa il vangelo per dirigenti e iscritti… allora avremo ridotto tutto a una sterile liturgia esteriore.

PD, Parole Democratiche… e i fatti?

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