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Mario Adinolfi in difesa della buona legge 40

Leggo su Twitter e Facebook Mario Adinolfi @marioadinolfi : “Se dico “legge 194” mi inviteranno subito a “rispettare e far applicare una legge dello Stato”. Se dico “legge 40” mi diranno subito che va aggirata, infranta, dichiarata incostituzionale, nonostante sia stata votata dai tre quarti del Parlamento e i referendum per cancellarla siano miseramente naufragati, come il referendum per cancellare la 194 d’altronde. Il capitolo nono di Voglio la mamma è in difesa della legge 40 e l’ho appena pubblicato integralmente sulla pagina Fb del libro che sta diventando una bella comunità

Vado su FB e leggo il capitolo nono in cui Adinolfi scrive, tra altro,

La legge 40 è stata approvata da una maggioranza molto ampia e trasversale in Parlamento, molto più ampia e trasversale di quella che ha approvato la legge 194. La legge 40 è stata sottoposta non a uno, ma a una raffica di referendum. Una serie di soggetti si opposero a quei referendum formando comitati per l’astensione e gli astenuti furono il 75% degli aventi diritto al voto, con un risultato di affluenza alle urne che non era mai stato così basso in una consultazione referendaria. La volontà popolare ha dunque salvato una buona legge.

Prosegue. “Quindi si può dire che i referendum abrogativi della legge 40 furono solennemente bocciati da quattro italiani su cinque, così come la legge 40 fu approvata da più di sei rappresentanti del popolo italiano su dieci al Senato. In termini democratici il parere degli italiani sulla legge sulla fecondazione assistita mi pare più chiaramente espresso in termini positivi e a sua difesa.”

Folle corto circuito. L’astensione è indifferenza verso un tema, valutazione di essere impreparato a esprimersi su una legge, ma affermare che la volontà popolare ha salvato una buona legge è sovvertimento della realtà, arbitraria e illogica interpretazione. La maggioranza non si è espressa e nessuno può attribuire a un fronte o a un altro quel non esprimersi.

Ai sentiti e partecipati referendum sul nucleare del 1987 non partecipò il 34,9% degli elettori. A quale fronte dovremmo assegnare quegli astenuti? Significa che erano favorevoli al proseguimento del nucleare con quelle regole che qualcuno voleva abrogare?

Ai referendum del ’90 non partecipò il 57% degli elettori.

A quelli del ’97 non partecipò il 70% degli elettori.

A quelli del 2003 non partecipò il 74,5% degli elettori, come nel 2005 per i referendum sulla procreazione medicalmente assistita (legge 40).  Adinolfi, documentati. Il tuo “Mai in alcuna consultazione referendaria la partecipazione alle urne era stata così bassaè una affermazione falsa.

Adinolfi poggia il suo ragionamento su un dato falso (non era la prima volta che si verificava una astensione così massiccia) e interpretato in modo scorretto e arbitrario, probabilmente condizionato dai suoi pregiudizi o semplicemente dal suo scrivere di cose che non conosce.

La partecipazione ai referendum sulla legge 40/2004 è perfettamente inserita in un trend storico e per nulla eccezionale.

Cavalcare l’astensione fu facile scelta tattica per il centro-destra e la CEI: sapevano di partire con un vantaggio notevole che avrebbe reso facile far mancare il quorum. La strumentalizzazione politica di quella battaglia fu evidente.

In quel contesto politico e con quei precedenti storici, non c’è nulla di cui stupirsi se su una legge specifica, che riguarda tutti solo sul piano etico e dei princìpi, ma sul piano della vita concreta e quotidiana riguarda solo una minoranza, una parte notevole della popolazione non si sente motivata a partecipare, soprattutto se l’astensione è anche cavalcata dalle gerarchie ecclesiastiche e dal centro-destra, che quella legge volle. Diventa uno scontro politico in cui la legge è un pretesto mentre il vero obiettivo è dividere la parte avversa.

La trasversalità della approvazione di quella legge è un argomento molto debole. Al centro-destra, che aveva la maggioranza assoluta, si sommò solo una piccola parte del mondo cattolico riunito nella Margherita, facente parte del centro-sinistra. Va anche detto che i voti della Margherita non furono decisivi per l’approvazione della legge 40.

Adinolfi presenta come legge voluta da una ampia trasversalità delle forze politiche quella che in realtà fu una competizione tutta interna al mondo cattolico in cui ogni componente gareggia per dimostrare di avere il sostegno del la gerarchia ecclesiastica della Chiesa Cattolica. Il centro-destra utilizzò questa tematica, come dopo utilizzerà quella sul testamento biologico e il caso Eluana, nel tentativo di provocare una rottura all’interno della coalizione di centro-sinistra. Indiscutibile il ruolo pesante che la CEI ebbe in quella contesa tutta politica. Infatti, tante coppie italiane dopo l’approvazione della legge 40 andranno nella cattolicissima Spagna a fare quel che per legge lì è possibile e in Italia no. Per inciso, ritengo che la CEI abbia giocato in quella occasione un ruolo politico con poco senso civico e discutibile valore etico.

Veniamo alla sostanza delle tesi di Adinolfi che considera “la legge 40 una buona legge”.

La 194 è stata confermata dalla volontà popolare; i referendum sulla legge 40 sono naufragati per mancato raggiungimento del quorum, vale a dire è stato dichiarato nullo. Una bella differenza tra le due realtà; sovrapporle è capzioso e fuorviante.

Affermare che l’attesa riguardo alla legge 40 è che sia “aggirata, infranta, dichiarata incostituzionale” è un modo subdolo e banale di affrontare un tema serio e importante.

Andare all’estero per fare quel che qui è proibito non è aggirare la legge, ma avvalersi di un diritto riconosciuto dalle leggi comunitarie.

Contestare una legge presentando un ricorso alle autorità competenti è un legittimo esercizio di un diritto costituzionale che non può essere considerato un tentativo di aggirare alcunché o di infrangere qualcosa. Nel caso si tratta di verificare, nei modi previsti dalla legge e dalla Costituzione, se una legge confligge con altre leggi. Se i tribunali hanno dato ripetutamente ragione ai ricorrenti, o si contesta la sentenza con argomentazioni giuridiche o si tace.

La legge 40 è stata in più punti dichiarata incostituzionale non perché qualcuno ha detto che andava dichiarata incostituzionale, ma perché alcuni giudici hanno ritenuto fondati alcuni dubbi di costituzionalità rinviando la legge alla Corte Costituzionale che ha ritenuto in più punti la legge 40/2004 incostituzionale. E’ così che si giunge a un giudizio di incostituzionalità. Anche in questo caso, o si criticano le sentenze con argomentazioni giuridiche o si tace.

L’argomentazione che una legge è stata approvata a larga maggioranza è risibile, tranne ritenere che sia superfluo prevedere che ci sia un controllo di legittimità costituzionale delle leggi; Adinolfi se vuole può proporre una riforma costituzionale per l’abolizione della Corte Costituzionale.

Un bel tacer talvolta ogni dotto parlar vince d’assai.

In quanto scrive Adinolfi leggo parole piò o meno dal senso compiuto e correttamente connesse tra loro, ma non trovo argomenti che dimostrino la debolezza delle censure giuridiche e la volontà di volere a ogni costo demolire una buona legge per obbedienza a chissà quale potere occulto; non leggo neanche considerazioni filosofiche, etiche e culturali che vadano oltre un generico “la vita umana si rispetta”.

Adinolfi stabilisce una relazione tra la 194/1978 e la 40/2004. Vale la pena ricordare che già nel 1975 con la sentenza n. 27 la Corte Costituzionaledichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”. L’obbligo di portare a termine la gravidanza è incostituzionale.

A prescindere dal proprio personale convincimento, la vita della madre non è sullo stesso piano di quella del nascituro.

Se si considera ammissibile l’aborto in caso di pericolo di vita per la madre, ne consegue che la vita della madre non è sullo stesso piano di quella del nascituro; le due vite e i diritti dei due soggetti sono posti su livelli diversi di tutele.

Se si ritiene che anche quando c’è pericolo di vita per la madre l’aborto debba essere vietato, si accetta l’idea che la vita di chi è già persona è sacrificabile in nome della tutela di colui che forse sarà persona.

Sul piano giuridico siamo in presenza di diritti concorrenti e contrapposti che devono trovare un bilanciamento. Sul piano etico è in gioco la coscienza e la responsabilità individuale.

Il problema è come, tenendo conto dei diritti concorrenti, affermare in concreto i princìpi di rispetto della vita e dell’individuo.

Non ho alcuna difficoltà a prendere in considerazione ogni ipotesi di allargamento ai nascituri delle tutele previste per i già nati, sino anche a riconoscere la qualifica di “persona” all’embrione, ma solo a condizione che si indichino con chiarezza le strade per rendere effettivo questo riconoscimento.
Diversamente è aria fritta.

Serve concretezza e riflessione anche giuridica, nel rispetto dei diritti di tutti, per valutare l’impatto sulla vita quotidiana di simili ipotesi.
Serve concretezza per andare oltre la incontestata affermazione che la vita umana va rispettata o la reboante affermazione sulla “indisponibilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale”.

Alimentare un astratto conflitto sui valori etici serve solo a non confrontarsi con i problemi reali.

La legge 40/2004 prevede l’accesso alla procreazione medicalmente assistita “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”. La legge 40/2004 “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” ma fatta questa dichiarazione d’intenti non offre strumenti concreti per rendere possibile ciò che promette e confligge apertamente con altri diritti costituzionalmente tutelati.

Risultato: la legge ha provocato un intenso contenzioso giudiziario e, sulla base di diverse sentenze, deve essere riscritta. Questa legge, scritta in modo pessimo, pezzo dopo pezzo sta andando in frantumi.

Lo scopo della terapia medica della fecondazione artificiale è indicato nella stessa legge 40 (art. 1); la soluzione dei problemi riproduttivi deve armonizzarsi con le altre leggi in materia di salute, maternità e con i principi costituzionali. Quando la legge afferma “nel rispetto di tutti i soggetti interessati” (art. 1) e poi prosegue con una serie di vincoli e divieti (sulla misura in cui deve essere applicata una tecnica medica trattando in ugual modo casi che invece richiedono valutazioni individuali, come sempre nella tecnica medica; imponendo l’obbligo dell’impianto…) viola i principi costituzionali e altre norme di legge.

Il primo caso giudiziario di contestazione della legge 40/2004 arrivò nel maggio 2004 (la legge è del 19 febbraio). Il Tribunale di Catania respinse la richiesta di una coppia portatrice di beta-talassemia che chiedeva l’impianto dei soli embrioni che non presentavano questa patologia; la coppia chiedeva per analogia l’applicazione della legge 194/1978. Il Giudice di Catania rigettò la richiesta. La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza non poteva essere applicata poiché il presupposto della 194/1978 è che la gravidanza sia in atto, circostanza che non esiste nel caso di embrioni non ancora impiantati. Inoltre, la richiesta di applicare la 194/1978 non era corretta dal momento che la coppia richiedeva qualcosa che l’ordinamento non prevede, anzi proibisce: l’aborto eugenetico. La legge non prevede la possibilità di abortire perché il feto è malformato, ma perché questa malformazione è, per valutazione medica e su richiesta della persona interessata, considerata pregiudizievole per la salute della madre.

La Corte Costituzionale sulla legge 40/2004 ha offerto importanti elementi di riflessione.

Non è possibile per legge stabilire la “misura” di un trattamento sanitario; pertanto la norma che stabiliva “un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” è stata dichiarata illegittima (art. 14 comma 2).

Come illegittima è la norma che prevede il trasferimento obbligatorio degli embrioni anche se ciò può provocare pregiudizio alla salute della donna (art. 14 comma 3).

Su altri aspetti della legge (fecondazione eterologa e irrevocabilità del consenso) la Consulta si esprimerà a breve.  La Corte, infatti, non prende in esame un’intera legge ma solo le questioni specifiche per le quali in un determinato caso giudiziario sono state sollevate eccezioni di legittimità costituzionale.

La Corte ha così riaffermato che è competenza del medico, e non del legislatore, valutare la misura e l’entità di un intervento e parallelamente è diritto del paziente acconsentire al trattamento suggerito dal personale sanitario.

La Corte ha riconfermato che chi è nato e chi ancora non è nato non sono sullo stesso piano di tutele giuridiche, dovendosi sempre privilegiare chi è nato rispetto a chi nato non è (ovviamente, il termine nato è riferito al concetto giuridico di nascita, ovvero l’individuo partorito).

Nulla vieta a una coppia di procedere a tutti gli esami diagnostici che dovesse ritenere opportuni nel corso della gravidanza o prima per accertare eventuali rischi; al contrario, la legge 40 vieta gli esami pre-impianto.
Ciò viola il diritto alla salute della donna dal momento che la nostra legislazione prevede la possibilità di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza nel caso una eventuale malformazione del feto dovesse pregiudicare la salute fisica e\o psichica della madre.
Che senso ha procedere per imperio di legge all’impianto di un ovulo fecondato con malformazioni se poi a quella madre può essere concesso di abortire?

La legge 40 non vieta gli “interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche” (art. 13 comma 2  e comma  3 lettera b), ma il divieto di diagnosi pre-impianto è stato inserito nelle linee guida previste dall’articolo 7 della legge 40; linee guida che furono censurate dal TAR del Lazio per eccesso di potere. Altra censura è arrivata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha bocciato la legge 40 in quanto impedisce a una coppia fertile, ma portatrice di una malattia genetica, di accedere alla diagnosi pre-impianto degli embrioni.

In sostanza, la legge ha introdotto una forma di discriminazione tra chi si trova nella medesima situazione di rischio ed è sterile e chi non lo è. Questa è una previsione palesemente incostituzionale. La legge 40 in concreto non tiene conto dell’autonomia della valutazione medica e del diritto alla procreazione nel rispetto della tutela della salute, del principio di ragionevolezza e del principio di uguaglianza.

A me sembra che l’unica strada praticabile sia affidarsi al “principio di responsabilità”, al principio di auto-determinazione, lavorando accanitamente per affermare la più ampia consapevolezza genitoriale.

Una legge che fa propria una determinata concezione etica è comunque un rischio da evitare in una società pluralista.

Da sinistra, contro i falsi miti di progresso? No, trovo sinistro questo modo di affrontare un tema così delicato e complesso.

Non è ragionevole  difendere una legge senza portare argomentazioni giuridiche e senza  dimostrare che quella legge ha subito per ragioni ideologiche “un accanimento giudiziario”. Tutte le censure alla legge 40 partono da casi concreti di vita, dal vissuto delle persone e non da attacchi teorici e ideologici.

Ciascuno è libero di collocarsi nell’area politica e culturale che desidera, ma trovo sia poco di sinistra difendere una legge che è stata demolita da tanti diversi Tribunali di ogni ordine e grado senza portare uno straccio di argomentazione e partendo da premesse numeriche e politiche apertamente false.

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