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Guardiamo in faccia l’Europa

Questo l’invito del settimanale Tempi: “Guardiamo in faccia l’Europa e cambiamole i connotati”!
Inquietante incitazione che fortunatamente termina con l’invito a firmare il Manifesto per l’europa.

In cosa consiste il problema dell’Europa?
Leggendo il Manifesto, lo si comprende sin dalle prima battute: basta osservare i numeri della natalità.

Tutto qui?
No, poi viene l’inaccettabile circostanza che “l’Europa non ha quasi altra fede e speranza se non nei cosiddetti nuovi diritti”.

I “nuovi diritti”: “Non c’è caso di relazioni con altri popoli – ad esempio con paesi dell’Est che chiedono di associarsi all’Unione Europea o paesi del terzo mondo che bussano all’Europa per gli aiuti umanitari – in cui diplomazie e Ong europee non si presentino al tavolo negoziale con la premessa che partnership e aiuti sono “condizionati” all’adozione, da parte degli interlocutori, di questa agenda di “nuovi diritti”. Quali? A quale “fede” e quale “speranza” alludono questi “diritti”?

Dunque, il disastro per l’Europa sarebbe la denatalità, l’aborto, il preservativo, l’omosessualità

Faccio fatica a immaginare un concentrato maggiore di banalità.
Siamo ancora fermi alle braccia per i campi.

world-populationÈ con la carne e il sangue, non con le matrici finanziarie, che si produce, si consuma, si creano posti di lavoro, si pagano le pensioni”, ci ammoniscono gli estensori del Manifesto per l’Europa.

Appunto procreare perché servono braccia per i campi.
Potrà sembrare una semplificazione polemica del pensiero degli estensori del manifesto, ma mi sembra di non essere troppo lontano dalla loro visione, anzi forse perfettamente aderente alla lettura della realtà che ci propongono.

Leggo in questo Manifesto un atteggiamento culturale che sembra ignorare le trasformazioni sociali degli ultimi decenni e una dimensione planetaria dei problemi demografici.
Riecheggia la politica d’incremento demografico di mussoliniana memoria.
Politica che è cambiata nei toni ma non nella sostanza. Facile a chiunque constatarlo ascoltando sul tema i tanti interventi di esponenti politici.
Quali sono le risposte dei nostri politici e di tanta intellighenzia?
Assegni a sostegno della maternità; io preferisco servizi efficienti.
Bonus bebè o assegno se rinunci a abortire; sbandierate demagogiche che non spostano di una virgola le questioni reali… un po’ come regalare la pasta in campagna elettorale. Certo, meglio avere mille euro che non averli, ma voglio ancora sperare che nessuno è così fesso da fare un figlio perché avrà in regalo mille euro; quindi, quel qualcuno avrebbe comunque fatto un figlio o finge di voler abortire; OK, regaliamogli mille euro, ma non sarebbe meglio sviluppare i servizi sociali?

Dalla famiglia patriarcale, tipica di una società agricola, siamo passati in breve tempo alla famiglia mono-nucleare tipica della società industriale e post-industriale; il costo della vita è cambiato e spesso per vivere una famiglia ha bisogno di due stipendi; lo stile di vita è profondamente mutato, così come i bisogni individuali.

Eppure ancora oggi si presenta come un pericolo per il futuro il fatto che gli italiani facciano pochi figli, come se il mondo non fosse pieno di figli e come se non esistessero i milioni di disperati che premono alle nostre frontiere.

Dalla metà del secolo scorso l’Italia è passata da circa 48 milioni agli attuali circa 60 milioni.
Dal 1950 a oggi il Kenya è passato da 6milioni a 45.
L’Etiopia da 20 a 95.
L’Egitto da 21 a 83.
Il Marocco da 9 a 33.
La Nigeria da 31 a 177.
Il Senegal da 3 a 14.
Il Sudan da 8 a 38.
Il Brasile da 53 a 201.
Il Messico da 28 a 123.
L’Indonesia da 82 a 252.
L’Iran da 16 a 78.
L’Iraq da 5 a 34.
L’Africa da 230 a oltre 1.110, nonostante le guerre, le carestie, le epidemie.
Nello stesso periodo il mondo è passato da 2.550 a 7.216 milioni di esseri umani.

Cosa sarebbe l’Italia se la popolazione nazionale fosse cresciuta con il ritmo del resto del mondo?
Con questi numeri, e i problemi che portano con sé, vogliamo ancora ragionare secondo i vetusti criteri della nazionalità?
Siamo sicuri che l’incremento delle nascite sia un fattore di crescita?

Il criterio procreativo quantitativo è stato in buona parte superato dalla consapevolezza genitoriale: più attenzione nel mettere al mondo i figli, più consapevolezza dei diritti dei nuovi nati, cosa impensabile appena pochi anni fa.
L’alta mortalità infantile, ma non solo questa, induceva a elevata procreazione e quest’ultima rispondeva anche a criteri economici di aiuto nei lavori domestici e nei campi.

Mi sembra di vedere un eccesso di pelosità nei tanti discorsi che si fanno ufficialmente per la lotta alla miseria, alle epidemie… e i pochi fatti che seguono a queste dichiarazioni altisonanti.
Credo che faccia terrore alla classe dirigente internazionale che si sconfigga la fame nel mondo e la miseria; dovrebbe confrontarsi con un problema enorme che nessuno sembra voler affrontare: la crescita demografica.
Come c’è molta pelosità nell’affrontare i problemi dei diritti dell’uomo in vaste aree del mondo.

I Paesi di provenienza di una moltitudine di immigrati hanno alle spalle ottime crescite economiche, ma nonostante ciò la miseria dilaga. Senza dubbio le cause sono tante, ma tra queste c’è anche da considerare che la crescita economica è aritmetica mentre quella demografica è esponenziale.

Dal momento che il mondo sembra orientato a  fare proprio il modello (fallimentare) consumistico-produttivo, allora il problema demografico è ineludibile, ma nella direzione opposta rispetto a quella indicata nel Manifesto: promuovere nel mondo campagne per la denatalità.

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I bambini generano domanda, non c’è dubbio; generano anche costi: assistenza medica, scuola, inquinamento…
Le bocche vanno sfamate e la capacità del pianeta di produrre risorse alimentari non è infinita.
In mezzo secolo il consumo di carne è quadruplicato.
La Cina è passata da 9 chili di consumo pro-capite a 55.
Lo stesso discorso vale per i consumi di cereali, con la piccola considerazione che oggi un terzo della produzione cerealicola mondiale serve a sfamare gli animali destinati alla nutrizione umana.

Se pensiamo che il benessere dipenda dalla crescita del PIL (ovvero degli scambi di merci e servizi), proseguiamo su questa strada, ma non dimentichiamoci che una maggiore popolazione richiede case, servizi, cibo, territorio… e le risorse del pianeta non sono infinite.

Non credo sia difficile immaginare cosa sarebbe l’Italia se fossimo 150 milioni; perché a questa soglia saremmo se fosse proseguito il trend di crescita della prima metà del secolo scorso.

Pensate all’impatto sul territorio; cosa sarebbe Napoli con una popolazione tre volte quella attuale?
Pensate ai problemi del traffico e dell’inquinamento.
Cosa sarebbe l’Italia se producessimo tre volte i rifiuti attuali?

Se pensiamo che l’economia sia in dipendenza anche della crescita demografica, ci poniamo in una logica consumistico-produttiva o, se preferite, produzione di braccia per i campi, l’industria, lo Stato… ma dovremo fare i conti anche con i milioni di persone che si affacceranno sull’italico suolo.

Il nostro sistema economico è basato su una capacità produttiva superiore alle necessità; quindi bisogna indurre i consumi per mantenere la produzione, e con essa l’occupazione, in una corsa senza fine dove ciascuno di noi diventa un “prodotto: cogito ergo sum è divenuto consumo ergo sum.

L’invecchiamento della popolazione – fenomeno planetario – è  anche conseguenza della maggiore aspettativa di vita; già questo è un fattore di crescita della popolazione ed è un fattore di costo per la collettività.
Se nonostante l’allungamento della vita si dovesse incrementare o incentivare la natalità avremmo solo un incremento dei costi e non un beneficio.

Una grossa fetta della popolazione è a carico della collettività: gli over 65 e gli under 16; a questa fetta dobbiamo aggiungere un’altra quota a carico della collettività per effetto dell’allungamento dell’età formativa e dei sistemi previdenziali (gli studenti over 16 e i pensionati under 65); a tutto ciò aggiungiamo la popolazione non occupata (cosa diversa dai disoccupati)…

Leggendo questo Manifesto mi sembra che gli estensori non si siano resi conto che non siamo all’inizio dell’epoca industriale. Epoca in cui l’individuo non era un costo per la collettività giacché non esisteva alcun servizio previdenziale, assistenziale, sociale, educativo-formativo.

Da un uomo e una donna, cioè due persone, si passa a 3 (il come mi sembra inutile spiegarlo); non esiste il 2+ il 5%; da cinque coppie che mettono al mondo ciascuna 2 figli si passa in breve da 10 a 20 cioè al raddoppio; e così via… con la conseguenza che abbiamo Paesi che raddoppiano la loro popolazione ogni 15\18 anni (Kenya, Etiopia…).

Quale tasso di crescita economica è necessario per migliore le condizioni di vita, con un simile tasso di crescita demografica? E di quanto deve crescere il pro-capite per poter assicurare i servizi sociali indispensabili? In demografia l’effetto moltiplicatore è molto più veloce di quello aritmetico dove si passa da 2 a 2+x%.

Certo, se una economia cresce a ritmi sostenuti può permettersi ottime crescite demografiche, ammesso che poi riesca a gestire i problemi connessi…

Forse è giunto anche il momento di discutere su fino a dove siamo disposti ad assumerci come collettività il peso dell’irresponsabilità di determinati comportamenti.
I servizi sociali sono pagati da tutti in base alle proprie capacità contributive.
A usufruirne sono i singoli cittadini in relazione ai bisogni.
Chi ha tanti figli paga meno e usufruisce di più. E’ giusto perché c’è un interesse collettivo da tutelare. L’istruzione, la salute… sono interessi collettivi. Ecco perché preferisco servizi efficienti a contributi economici diretti al soggetto.

Lavorare sul principio di responsabilità è quel che dovremmo fare per costruire una società migliore e più equilibrata.
Responsabilità nell’uso delle facoltà sessuali, per ridurre i rischi di gravidanze indesiderate; educazione sessuale, affettiva…
Responsabilità, formazione, educazione… sono le paroline magiche sulle quali dovremmo lavorare di più.

L’argomento potrebbe essere esteso a educazione alimentare, attività fisica…
Strutture sportive accessibili a  tutti, palestre di quartiere, parchi attrezzati per l’attività fisica… Incentivare uno stile di vita più salutare aiuta a vivere meglio con notevoli risparmi per la spesa pubblica.
Quanto spendiamo per curare e quanto poco per prevenire?
Mentre da un lato abbiamo milioni di individui che soffrono la fame, dall’altro lato abbiamo milioni di individui che muoiono di sazietà.

La natalità era una forza, quando i bambini lavoravano, non andavano a scuola, quando costavano poco, morivano spesso e se sopravvivevano erano presto un aiuto per la famiglia.
Da qualche decennio quel mondo in occidente non c’è più, anche se rischiamo di tornarci per causa dei tanti cretini istruiti che governano in Europa.

Oggi, crescita demografica significa maggiori costi: scuola, sanità, maternità…

Qualcuno dirà: bene, così si assume nuovo personale…
Certo, ma nuovo personale significa maggiori costi… pagati da chi?
Se possiamo permetterci nuove assunzioni, perché non diamo lavoro ai tanti disoccupati? C’è forse bisogno di crescita demografica?
Abbiamo tantissime persone disperate che non sanno come assistere gli anziani malati.
Le famiglie con disabili hanno bisogno di assistenza.
L’aborto è diffuso tra donne sposate con figli… gli asili nido e i servizi alla famiglia possono aiutare?

Assumiamo tanti giovani per impiegarli nei servizi sociali se abbiamo così tante risorse…

Cominciamo a dare alle famiglie gli asili nido e i consultori.
Cominciamo a dare una scuola gratuita come prevede la Costituzione e a fornire sostegno economico ai meritevoli senza mezzi, come recita la nostra Costituzione.

La crescita demografica se accompagnata da servizi sociali dignitosi (acqua, abitazioni, scuole, sanità…) comporta l’esplosione dei costi a carico della collettività; costi che per essere sopportabili necessitano di crescita economica adeguata.
Portiamo l’Italia a crescere del 5% annuo e vedrete che le giovani coppie torneranno a fare figli con molto piacere.

La realtà è che occorre cambiare approccio al problema e abbandonare le fallimentari ricette che i cretini istruiti hanno sinora propinato, a partire dall’idea fasulla della crescita all’infinito.

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