Si fa presto a dire “famiglia” e giù valanghe di parole altisonanti sui valori della famiglia, la difesa della famiglia, il quoziente familiare…
Il termine “famiglia” assume tanti significati. Un tempo includeva le persone al servizio del padrone e signore. Indica l’insieme delle persone di un medesimo ceppo (i Visconti, gli Sforza); indica l’insieme delle persone legate da interessi (le famiglie malavitose). Si utilizza il termine famiglia in zoologia e botanica, sta sopra al genere e sotto all’ordine…
Il termine “famiglia” acquisisce significato specifico se si affianca un altro termine, ma da solo resta oggettivamente indefinito se riferito genericamente alla società umana.
Molti dicono famiglia e pensano matrimonio. Per favore, non banalizziamo.
Le civiltà umane hanno conosciuto e conoscono molte forme di famiglia e di matrimonio.
Il matrimonio in molte società e tradizioni è il luogo degli interessi e non degli affetti. Basti riflettere sull’etimologia di due termini: matrimonio e patrimonio.
La “famiglia naturale” è quella basata sulla libera scelta di due persone senza il sigillo del contratto matrimoniale.
La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio.
Il matrimonio non è un istituto “naturale” ma legale e\o sacramentale. Il matrimonio è un atto giuridico con il quale due persone si scambiano il consenso a condividere la vita e assumono reciproci impegni.
La convivenza è un’unione naturale.
I figli nati fuori dal matrimonio sono naturali.
I figli nati in vigenza matrimoniale sono “legittimi” e si “presume” essere stati concepiti dalla coppia unita in matrimonio.
La Costituzione, articolo 29, afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Riconoscere è cosa diversa da concedere; la Repubblica riconosce la preesistenza a se stessa dei diritti della famiglia che sono appunto riconosciuti e non concessi dalla Costituzione. Il concetto è già presente all’art. 2 della Costituzione: “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
La formulazione dell’articolo 29 è una evidente contraddizione in termini, con franchezza si tratta di una castroneria.
La famiglia si forma naturalmente dalla vita di coppia ed è autonoma rispetto all’ordinamento statale, nel senso che le relazioni interne alla famiglia possono essere determinate autonomamente nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento statale.
Se la famiglia è una società naturale, e lo è, non può fondarsi sul matrimonio, che è un istituto giuridico.
Deve quindi esistere un livello di tutele per la famiglia intesa come “società naturale”, a prescindere che sia suggellata o meno dal matrimonio. Quanto previsto dall’articolo 2 dovrebbe essere realizzato per assicurare tutela giuridica a tutte quelle forme associative che ormai da tempo popolano la realtà sociale e in cui il singolo esprime e svolge la propria personalità.
Può esistere un diverso livello di diritti e tutele tra le diverse tipologie di famiglia o può non esistere alcuna differenza, se non di tipo nominalistico o nemmeno questo, senza che ciò sia in contrasto con la Costituzione.
La Costituzione esprime un’opzione per la famiglia fondata sul matrimonio ma impone che siano garantiti e tutelati i diritti dell’uomo in ogni formazione sociale all’interno della quale l’individuo svolge la propria personalità.
Le convenzioni sociali e storiche hanno imposto che tra le due persone che costituiscono la famiglia vi sia assortimento sessuale ma non sussiste alcun interesse generale per impedire che l’istituto matrimoniale sia accessibile anche a persone dello stesso sesso.
L’evoluzione storica della società e del costume non può essere congelata da una norma, ancorché costituzionale, vaga e contradditoria prodotta da esigenze di propaganda politica. In ogni caso, la Costituzione non prescrive che i coniugi siano di sesso diverso anche perché all’epoca i costituenti non si curarono dell’ipotesi del matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma per ragioni di strategia politica erano interessati a introdurre in Costituzione il principio della indissolubilità del matrimonio, tentativo che abortì in extremis.
Anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 16) utilizza una formula aperta: “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.”
Uomini e donne hanno il diritto di sposarsi, non significa che il matrimonio debba avvenire tra un uomo e una donna. Diversamente avrebbero scritto: “Gli uomini in età adatta hanno il diritto di sposarsi con le donne” o in uno dei tanti modi possibili per introdurre la prescrizione della varietà di sesso per contrarre matrimonio. Il termine “coniugi” indica “uniti insieme”. Da notare che lo scioglimento del matrimonio è inserito tra i diritti dell’uomo.
Dal momento che per convenzione e consuetudine è stato utilizzato il termine “matrimonio” per intendere il contratto di unione tra due persone di sesso diverso, può benissimo adesso essere utilizzato per indicare validamente “le due parti contraenti”.
In tal senso, netta la posizione della Corte europea per i diritti dell’uomo secondo la quale “all’interno del concetto di “vita familiare”, il cui rispetto è garantito dall’articolo 8, devono potersi ricondurre anche le relazioni sentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso. Pertanto, costituirebbe una violazione dell’articolo 8 in combinato disposto con l’articolo 14 la mancanza di tutela e riconoscimento adeguato all’interno di uno Stato membro delle coppie omosessuali”.
In Italia i rapporti familiari non fondati sul matrimonio danno luogo alla cosiddetta famiglia di fatto.
Queste coppie, a prescindere dal grado di assortimento sessuale, sono senza dubbio una comunità di vita e di affetti e rientrano a tutti gli effetti tra le formazioni sociali tutelate dalla Costituzione eppure non ricevono alcuna tutela giuridica. Si tratta di formazioni sociali che certamente assolvono fondamentali funzioni di socializzazione e dovrebbero conseguentemente essere tutelate dallo Stato.
Riconoscimento legale è cosa diversa dal “matrimonio” inteso come istituto di diritto civile e\o ecclesiastico. Significa che le persone interessate possono tutelare il mondo dei loro affetti senza il rischio che siano calpestati e disconosciuti solo perché non sanciti da un “contratto matrimoniale”. Significa opponibilità verso terzi.
La “famiglia” non fondata sul matrimonio (etero o omo) già esiste da tempo ma solo ai fini anagrafici.
Per famiglia anagrafica (art. 4 D.P.R. n. 223/1989) si intende “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona”.
Questa definizione di “famiglia” a me piace moltissimo e potrebbe essere un ottimo punto di partenza per il riconoscimento legale delle coppie di fatto etero e omo e per l’estensione dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali.
La “famiglia” per antonomasia cui fanno riferimento i tanti che si ricordano che esiste la “famiglia” quando si parla di diritti civili è la “famiglia nucleare” (la definizione non è mia), che nell’ultimo secolo ha sostituito la famiglia patriarcale.
La famiglia nucleare è composta da una unità coniugale e dagli eventuali figli. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 770 del 4.5.1994) ha affermato la valenza ai soli “effetti anagrafici” della definizione di famiglia contenuta nell’art. 4 del DPR n. 223/1989, sottolineando che ai fini fiscali e per determinare l’esenzione da alcuni tributi o per l’applicazione di talune agevolazioni occorre fare riferimento al concetto di famiglia nucleare, insomma allo stato civile.
In altri termini, dall’essere in unico stato di famiglia, senza essere sposati, discendono obblighi ma non diritti. Per esempio si paga il conto del ginecologo della convivente senza reddito ma non si ha diritto a detrarre le spese mediche dal proprio reddito. E la convivente non ha diritto all’esonero dal ticket sanitario perché per l’esonero si considera il reddito dei soggetti presenti nello “stato di famiglia”, ovvero la famiglia anagrafica; e se il convivente non si prendesse cura della convivente sarebbe sanzionabile per legge (obbligazioni morali, obblighi di assistenza morale e materiale). La Cassazione sentenza 20 giugno 2013, n. 15481 (ma questa è solo la più recente delle sentenze) rileva che “i componenti della coppia hanno diritto a ricevere tutela e riconoscimento prima ancora che come coniugi, come persone, sulla base della previsione di cui art. 2 della Costituzione che riconoscere e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità”.
Prima di utilizzare il termine “famiglia”, per favore riflettete.