Volge al termine un altro anno in cui i diritti sono stati i grandi assenti.
L’augurio è che con il prossimo anno inizi una nuova stagione dei diritti come l’Italia non conosce più dagli anni ’70 del secolo scorso.
Molti dicono che il lavoro è la priorità; chissà perché questa affermazione mi suona come moneta falsa, forse perché mi ricorda un ritornello dei rievocati anni ’70; si affermava, tanto per dirne una, che il divorzio non solo non era una priorità ma spezzava l’unità sindacale, sic! Per i diritti non è mai il momento giusto!
Sicuri che lavoro e diritti non possano andare a braccetto?
Sicuri che i diritti civili e individuali non aiutino l’economia?
Investire sulla fiducia e sulla dignità dei cittadini può contribuire alla crescita economica e al benessere della collettività?
Individui che hanno la certezza di essere considerati cittadini destinatari di attenzioni da parte delle Istituzioni al fine di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 della Costituzione) troveranno certamente nuove energie e motivazioni per ridefinire un solido patto sociale e riconciliarsi con la collettività.
Siamo tutti consapevoli della bassissima fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nei partiti politici, nel sindacato.
Siamo tutti consapevoli che tutto ciò non è un dato statistico: si tratta della nostra vita, delle nostre esistenze, del nostro futuro, della nostra percezione di futuro.
Siamo consapevoli delle nuove povertà e della crescente disuguaglianza. E anche queste possiamo rappresentarle con indici e parametri statistici per registrare un dato e avere la misura dei complessi avvenimenti di cui ci sfuggirebbe diversamente la portata, ma mai dovremmo guardare a questi avvenimenti con distacco, indifferenza o senso di impotenza.
Siamo consapevoli che noi tutti siamo stati privati della rappresentanza politica. Quelle che dovrebbero essere assemblee rappresentative sono in realtà assemblee dei rappresentanti dei partiti, sempre più – con qualche nobile eccezione e tentativo di ribaltare un corso storico – associazioni private in mano a un ristretto nucleo di persone che decidono al di fuori di ogni processo democratico.
Potremo in questo contesto gestire in modo democratico la difficile situazione?
Prevarranno le tentazioni di dare spallate al sistema senza ben sapere cosa edificare o prevarrà la capacità di elaborare risposte concrete e riformare radicalmente il sistema?
Ripartire dai diritti aiuterà un processo di riforma riducendo le forze demolitrici.
Ridare potere al cittadino restituendo – o meglio riconoscendo per la prima volta – il potere di scelta e determinazione del corpo legislativo. Potere democratico di scelta di chi candidare e poi selezione tra i candidati.
Ridare potere al cittadino attraverso la riforma del sistema referendario, abolendo il quorum e introducendo l’obbligo di discussione delle proposte di legge di iniziativa popolare.
Ridare fiducia al cittadino riconoscendo i diritti di ogni individuo a vivere liberamente la propria esistenza.
Riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, senza distinzione di preferenze sessuale e assortimento di genere.
Affermare il diritto di governare liberamente la propria vita dalla nascita alla morte, senza subire ricatti morali e pretese di primati etici evidentemente inesistenti. La pari dignità e la capacità d’intendere e di volere presuppongono che nessuno ha il primato dell’etica.
Da anni nulla si è fatto sul fronte del riconoscimento al diritto di disporre della propria vita.
C’è chi dice no, la vita è un bene indisponibile ma questo rispettabile punto di vista riflette una concezione della vita che non può essere imposta erga omnes non solo perché irrilevante sul piano giuridico ma perché discutibile sul piano etico, religioso, filosofico e persino logico.
La propria vita, senza eccezioni e discriminazioni, è un bene di cui l’individuo dispone e lo Stato s’impegna a preservarla e tutelarla da ogni minaccia esterna.
Diritto alla salute che significa anche diritto di scelta e diritto di rifiutare un trattamento (art. 32 della Costituzione).
Diritto alla istruzione e alla libertà di istruzione perché sia effettivamente gratuita nel periodo di obbligatorietà (art. 34 della Costituzione) ma soprattutto perché sia reso effettivo il diritto alla istruzione ai meritevoli e capaci ma privi di mezzi.
Ripristinata la legalità mediante i diritti, trasformato il suddito in cittadino nella pienezza dei diritti di cittadinanza inevitabilmente saremo pronti a occuparci del tema che sta a cuore a ogni bravo retore: il lavoro.
Il diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione) rimarca il passaggio da una società primordiale basata sulla fatica per procurarsi i mezzi necessari alla sopravvivenza a una società evoluta e organizzata fondata sul lavoro retribuito in misura “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 della Costituzione).
Il tema lavoro non può essere ridotto a una questione privata tra datori di lavoro e lavoratore. I rapporti di forza tra datore di lavoro e lavoratore sono asimmetrici, e non basta il sindacato a riequilibrare i rapporti, anche per i limiti della rappresentanza sindacale. E anche per i sindacati, e ancor più per i partiti politici, urge una riforma radicale che sia finalmente rispettosa della Costituzione e consenta di superare le logiche oligarchiche, corporative e parastatali che da sempre ingabbiano partiti e sindacati. Serve una legge che con chiarezza definisca il quadro dei diritti e delle tutele del lavoratore al quale nessun accordo privato può derogare… se non vogliamo che anche le prestazioni sessuali diventino una caratteristica dei nuovi contratti di lavoro. In ogni caso, siamo sempre fiduciosamente in attesa di una Repubblica che promuova le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione).
In questa ottica occorre interrogarsi sulla necessità di garantire a tutti un reddito di cittadinanza: trait d’union tra lavoro, cittadinanza, dignità. Nel Paese delle pensioni d’oro, immeritate e irragionevoli, non è accettabile che ci sia ancora chi muore di freddo o si toglie la vita per la perdita del lavoro.
Una società che non sa prendersi cura di ogni suo cittadino è una società che non conosce equità e giustizia.
Occorre riflettere su quale debba essere il punto di equilibrio tra la libertà di iniziativa economica, la proprietà privata, il diritto al lavoro e i limiti accettabili alla libertà e all’eguaglianza dei cittadini. Ripristinare la legalità significa allora interrogarsi sulla portata dell’art. 42 della Costituzione che mentre afferma il diritto alla proprietà privata sancisce che la legge ne determina i modi “di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Come si concilia tutto ciò con la disponibilità sul territorio nazionale di milioni di abitazioni inutilizzate e le tante famiglie senza un tetto o gli immigrati incarcerati in strutture prive di servizi? E che dire degli innumerevoli edifici pubblici inutilizzati? Quali inconfessabili interessi impediscono di riqualificare le tante caserme militari per dare ospitalità ai senza tetto e agli immigrati? Da quando è stato abolito il servizio militare obbligatorio centinaia di caserme sono abbandonate, non più utilizzate per le funzioni militari sono lì a testimoniare plasticamente il degrado delle nostre inefficienti Istituzioni.
Parallelamente alla promozione del lavoro e restituzione di dignità al lavoro ci attendiamo che finalmente i cittadini italiani siano liberati dalle pastoie burocratiche che sviliscono e menomano l’iniziativa economica privata che è tutt’altro che libera (art. 41 della Costituzione). Serve una amministrazione pubblica al servizio del cittadino per facilitargli le pratiche della vita e le pratiche per intraprendere; una burocrazia inefficiente e vessatoria è un invito a delinquere, oltre a costituire un insopportabile costo.
Quando ci occupiamo di diritti non possiamo fare a meno di ricordare l’essenziale diritto alla giustizia e al ricorso in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 della Costituzione). Giustizia e diritto negato se i processi durano in modo irragionevole e se la complessità delle norme sembrano più a tutela di chi delinque che a tutela dei diritti e degli onesti. Né ci può confortare che un sistema giudiziario incapace di garantire giustizia riservi agli sfortunati carcerati un trattamento disumano e contrario al diritto e alle leggi (art. 27 della Costituzione).
Vogliamo giustizia e la vogliamo anche per chi sbaglia e commette crimini.
Diritti, questi sconosciuti.
Solo una nuova stagione di diritti potrà ridare fiducia nella politica, nelle Istituzioni e sconfiggere populismi e demagogie.
Buoni diritti a tutti.
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